mercoledì 31 agosto 2011

Papini e il Beato Angelico



Nella stanza del “predicatore” del ritiro le suore che ci ospitano, qui a Camaldoli, hanno messo una serie di libri religiosi, come d’uopo. Tra Bibbie e Breviari scorgo anche Papini. Oggi chi legge più Papini! Prendo in mano il libro e lo scorro. Sono brevi appunti, riflessioni, piccole esperienze… Il caustico toscanaccio non si smentisce neppure in questi scritti stesi poco prima di morire. Ce n’è per tutti, Leopardi, i frati della Verna… Trovo anche tanti piccoli gioielli, come quello sul Beato Angelico, di cui trascrivo uno stralcio:

Il Beato Angelico non si proponeva di raccontare, bensì di commuovere, non di commentare, bensì di convertire. Egli non ha mai pensato di creare opere d’arte per il piacere degli occhi altrui e per la propria gloria, ma si è servito del linguaggio pittorico come i suoi confratelli Giovanni Dominici o Antonino da Firenze o Giacomo Savonarola si servirono del linguaggio parlato nelle loro predicazioni. Il suo vero scopo era la cura e la trasformazione delle anime… Pitturava con la speranza di far piangere, di far pregare, di far soffrire, di far godere, di capovolgere e di rinnovare gli affetti dell’uomo interiore. L’Angelico non è un esteta, ma un apostolo, non è un pittore puro, ma un confessore della fede; non fa decorazioni, ma ardenti sermoni, Non vuole istruire o dilettare i cristiani, ma vuole riscaldarli, bruciarli, intenerirli, piegargli, farli inginocchiare e lagrimare… Nel suo amoroso cuore di vero domenicano dominavano due sentimenti: il dolore dinanzi allo strazio atroce del Dio crocifisso e la gioia pregustata della beatitudine eterna. Perciò egli non adopera nelle sue opere che due colori forti in mezzo alle tinte semplici e di umile tono: il vermiglio vivissimo del sangue che scorre giù dal costato di Cristo e l’aureo fulgore come sfondo naturale dei dolcissimi volti degli angeli e dei santi che affollano il Paradiso… Le sue prediche senza parole sono capolavori di grazie vasta e di gentilezza ariosa, miracoli di tener essa verginale e di estasi lucida, testi esemplari di quell’arte che Dante felicemente definì Il visibile parlare”.

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