Dopo il sole, la nebbia, la pioggia, sui poggi attorno a Loppiano è scesa la neve, preludio d’inverno. Bellezze diverse come diverse le stagioni della vita.
Termina oggi il breve intenso corso sulla teologia spirituale. Parlando del cammino spirituale non poteva mancare uno dei suoi topos caratteristici: la prova, la notte...
Tutti i santi sono passati per la prova, paragonata a una notte, quando non c’è più luce, non si vede più… Quali santi?Dovremmo iniziare
dal “Santo di Dio”, Cristo Gesù: un Dio a cui si oscura la presenza di Dio. Una
notte, la sua, resa manifesta dalle tenebre che dal mezzogiorno sino alle tre
del pomeriggio coprirono tutta la faccia della terra (cf. Mc 15, 33).
Dovremmo iniziare
dalla “Tutta santa”, la Vergine Maria, che ai piedi della croce si è sentita
trapassare l’anima da una spada e ha condiviso il buio dell’abbandono del
figlio suo.
Da loro prendono
significato tutte le altre notti sperimentate dai santi.
Dai santi dell’Antico Testamento, innanzitutto, a cominciare da quella grande prova collettiva che fu l’esilio, la notte sperimentata da tutto il popolo, che si è visto abbandonato da Dio, privato del tempio, luogo d’incontro con lui, della terra, dono di lui. A partire da questa esperienza vengono poi rilette le notti dei patriarchi e dei profeti, quasi personificazione della grande notte collettiva.
Potremmo ricordare
le notti di Abramo: quella che precede l’alleanza, quando «si era fatto buio
fitto» e «un oscuro terrore lo assalì» (Gen 15, 17.12); oppure la notte dell’immolazione
del figlio Isacco, quando Dio lo «mise alla prova» (cf. Gen 22, 1).
Anche Giacobbe
conosce due notti, quella di Betel, nella fuga verso Carran, in un luogo che
definisce «terribile» e dove ebbe «timore» (Gen 28, 17), e quella al guado
dello Yabbok, quando lotta con un uomo «fino allo spuntare dell’aurora» (Gen
32, 25).
Potremmo proseguire
con le prove di Mosè e di tutto il popolo nei quarant’anni nel deserto «per
umiliarti – dice il testo rivelando il senso della prova – e metterti alla
prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i
suoi comandi» (Deut 8, 2), fino alle notti di Geremia, per poi approdare alla teologia
dell’abbandono di Dio dei libri sapienziali, di Giobbe in particolare, e del
Cantico dei Cantici.
In questi e analoghi testi troviamo delle costanti, che poi saranno ripresi nell’elaborazione della teologia spirituale: Dio si fa presente nella vita del popolo e delle singole persone, poi si ritira – ecco la prova, la tentazione, la notte –, quindi riappare di nuovo e nasce una più profonda reciproca conoscenza e un più intenso rapporto d’amore.
Il Nuovo Testamento offre una base ancora più solida alla
tradizione cristiana. I testi di riferimento sulla purificazione e la necessità
di passare attraverso il vaglio della prova sono molteplici: perdere la vita
per ritrovarla (cf. Mc 8, 35); la morte all’uomo vecchio per accedere alla vita dell’uomo nuovo (cf. Rom 6,
6-11); il chicco di grano che deve morire per portare frutto
(cf. Gv 12, 24); la potatura dei tralci perché portino più frutto (cf. Gv
15, 2); i discorsi di addio con l’annuncio da parte di Gesù che «ancora un poco
e non mi vedrete; un po’ ancora e mi vedrete» (Gv 16, 16); e non finiremmo più, tanto è ricco l’insegnamento
neotestamentario al riguardo.
Se viene la notte… non
siamo soli, siamo sempre in buona compagnia…







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