venerdì 10 gennaio 2014

Fratel Vito col Passaporto in mano


“La disciplina! Il silenzio! Ai tempi di padre Labouré…”. Era il ritornello di fratel Vito, che si lamentava perché in casa c’era troppo chiasso (qualche bisbiglio nei lunghi silenziosi corridoi!), che non c’era più il rigore dei bei tempi di quanto padre Labouré era superiore generale (negli anni Trenta!).
“Erano migliori quei tempi, vero?”, gli dicevo quando passava dal mio ufficio e si fermava a conversare. E lui subito: “No no, sono meglio questi, anche senza il silenzio e la disciplina. Adesso ci si vuole più bene”.
I suoi tempi erano stati sofferti anche perché sussisteva la mentalità antica (non proprio cristiana ma piuttosto retaggio di usanze feudali) della rigida divisione tra i Padri e i Fratelli.
Ormai anziano e ammalato passava la giornata recitando rosari e annaffiando i fiori sui davanzali. Del passato conservava le buone tradizioni della puntualità, della fedeltà regolare alla preghiera comunitaria, del senso del sacrificio.

Quando ieri sono stato a trovarlo a Santa Maria a Vico, nel Casertano, dove da un anno si era ritirato in infermeria, mi ha accolto con il solito sorriso degli occhi. Ci ha lasciato per il Cielo 24 ore dopo. Come ogni Oblato si è presentato alle porte del Paradiso con il Passaporto: “Sono un Oblato di Maria Immacolata”. Sant’Eugenio diceva che bastava quello per entrare.

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