mercoledì 29 gennaio 2014

Francesco, un papa “glocal” 1/3


“Glocal”. Il neologismo coniato dal sociologo Zygmunt Bauman mi è venuto alla mente leggendo l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium. La glocalizzazione o il glocalismo, barbara traduzione italiana, tendono a comporre globalizzazione e localizzazione come esigenze correlate della società contemporanea: tutelare e valorizzare identità, tradizione e realtà locali nel più ampio orizzonte mondiale.
Ho associato la parola “locale” a papa Francesco quando, dal primo istante della sua elezione, ha voluto dare rilievo al fatto che gli veniva conferito un compito d’ordine locale: era stato nominato vescovo di Roma. Tale si è subito dichiarato, la sera stessa, dalla loggia vaticana, rivolgendosi alla folla radunata in piazza san Pietro. Nel suo saluto ha volutamente omesso la parola “papa”, che richiama la funzione universale del ministero petrino. Da allora, come vescovo di Roma, nelle omelie e nei discorsi, ha continuato a usare esclusivamente la lingua italiana, nonostante sappia parlare altre lingue, a cominciare da quella materna, lo spagnolo. Tanti dei suoi gesti concreti tendono a demitizzare una immagine troppo ieratica del papa. Nell’Esortazione apostolica invita a non parlare «più del Papa che della Parola di Dio» (n. 38), affermazione ovvia, ma non molto ricorrente.
Come tiene a sottolineare che è vescovo di Roma, così papa Francesco mette sempre più in luce la responsabilità e la corresponsabilità degli altri vescovi locali, avvertendo, come afferma esplicitamente nell’Evangelii gaudium, «la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”» (n. 16). Si tratta, a suo giudizio, di «una conversione del papato»: «A me spetta, come Vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione» (n. 32).
Nello stesso n. 32 ripete la necessità di «una conversione pastorale» da parte del papato e delle strutture centrali della Chiesa universale. Riferisce in proposito il pensiero del Concilio Vaticano II che le Conferenze episcopali, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, «possono “portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente”». Ma questo auspicio «non si è ancora pienamente realizzato, perché non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria».
Pochi numeri prima Francesco aveva affermato: «Non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”» (n. 16). Analogamente scrive che «Non è compito del Papa offrire un’analisi dettagliata e completa sulla realtà contemporanea, ma esorto tutte le comunità ad avere una “sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi”» (n. 51).

Un ulteriore segno rivelatore della sua volontà di collegialità sono le frequenti citazioni e i riferimenti ai documenti dei vari episcopati che appaiono nella sua Esortazione. Prima di tutto alla V Conferenza generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi e al Documento di Aparecida del 31 maggio 2007; egli stesso ne aveva curato la redazione; ma anche al Documento di Puebla (23 marzo 1979). Riferisce inoltre il pensiero delle Conferenze episcopali e delle loro commissioni di studio degli Stati Uniti (n. 64, 220), Francia (n. 66, 205), Brasile (n. 191), Filippine (n. 215), Congo (n. 232), India (n. 250), Argentina (n. 263). Anche quando cita le esortazioni apostoliche post-sinodali pontificie, ha sempre cura di ricordare che sono stati i vescovi a suggerire quella o quell’altra affermazione, così per Ecclesia in Oceania, in Africa, in Asia, in Medio Oriente, in Europa.

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