Come vivere il “nulla-tutto” dell’amore, è il titolo dell’articolo che ho appena pubblicato su “Nuova Umanità” XXXII (2010) 185-215. Ecco la prima pagina che ne spiega le origini.
Il mistero della kenosis del Verbo che si fa uomo per farci dio, ha affascinato ogni generazione cristiana. Per radunare l’umanità dispersa e orientarla verso il Padre, egli non ha esitato a spogliare se stesso, ad assumere la condizione di schiavo, giungendo fino alla morte e alla morte di croce. I mistici d’Occidente, leggendo la Lettera agli Efesini nel latino della Vulgata, trovavano il termine ekénosen tradotto come exinanivit, e lo modularono a loro volta in molte espressioni: annichilarsi, annientarsi, raggiungere il vuoto, il nulla… Si sentivano attratti dalla kenosis di Cristo, fino a volerla rivivere in sé per avere il pieno possesso di Dio; un annullamento di sé totale, come via per l’infinita, totale pienezza di Dio.
Anche negli scritti di Chiara Lubich torna sovente il tema del “nulla” come elemento fondamentale nell’esperienza spirituale. Nel 1997 scrissi un articolo in proposito e glielo sottoposi. Ella volle che fosse letto insieme con tutti i membri della Scuola Abbà, perché venisse cesellato nella luce che emana la presenza di Gesù tra quanti sono uniti nel suo nome. Era il 28 marzo 1997, Venerdì santo; eravamo a Mollens, in Svizzera. A mano a mano che procedevo nella lettura, Chiara, nel suo profondo ascolto attento e amoroso, mi appariva icona di quel “vuoto d’amore” di cui stavo trattando. La trascrizione dei suoi interventi, puntuali, durante la mia lettura, hanno continuato ad essermi di luce. Mentre citavo Maister Eckhart sullo spogliamento completo di sé, commentava: «Noi non possiamo fare contemporaneamente due cose: svuotarci e riempirci. Noi possiamo solo riempirci, riempiendoci…». Dopo un ulteriore richiamo a sant’Agostino: «… è un vuoto sempre pieno il nostro. È la religione della pienezza, del Risorto, non dell’Abbandonato, l’Abbandonato è la strada per arrivare… E nella nostra spiritualità questo positivo è tantissimo in evidenza…». Infine rifletteva con noi sull’incidenza che la spiritualità dell’unità ha nella società attuale proprio perché non presenta allo stesso tempo vuoto e pieno, ma solo «il pieno, persone realizzate, persone che hanno un’idea, una cultura, una fede. Pienezza». In definitiva, concludeva, «Io non sono, perché sono nell’amore».
A Mollens avevo promesso un secondo scritto su “Come vivere il nulla”, su come lasciare che, sul “nulla di noi”, Dio sia davvero il nostro Tutto. Lo preparai subito dopo ma è rimasto in computer tutti questi anni, in attesa di poterlo leggere con Chiara… Forse è arrivato il momento di pubblicarlo comunque, anche se mancherà il suo ritocco carismatico.
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