martedì 25 maggio 2021

Eliseo “Jun” Mercado, profeta del dialogo tra cristiani e musulmani


L’incontro più bello che ebbi con lui fu nel 2012, al palazzo del governo generale dell’ARMM (Regione Autonoma nel Mindanao Musulmano), nel sud delle Filippine.

P. Eliseo Mercado, “Jun” per gli amici, era di casa tra i musulmani e in quel palazzo perché, da buon Oblato, lavorava con tutte le forze per la pacificazione e l’autonomia della regione. Col sorriso permanente sulle labbra, un lungo pizzetto da saggio cinese, era l’uomo dei rapporti, del dialogo, della fratellanza universale, accolto, rispettato e amato da tutti. 

Dopo aver conseguito il dottorato in teologia e filosofia a Manila, giunse a Roma per continuare alla Gregoriana. Ha poi studiato al Pontificio Istituto per l’islamologia e gli studi arabi, sempre a Roma, e all’Istituto orientale del Cairo. E' stato rettore dell’Università Notre Dame degli Oblati, dove si sono formati leader presenti sui fronti opposti, in quello di liberazione nazionale musulmano e in quello del governo centrale. Erano stati proprio i suoi studenti di una volta a chiedergli di farsi garante del rispetto degli accordi tra le parti. La lista delle onorificenze, riconoscimenti, premi, dottorali è lunghissima...

Eravamo coetanei. Il Covid se l’è portato via il giorno di Pentecoste. Ormai sono una cinquantina gli Oblati morti in seguito al contagio. 


È appena partito, ma ci lascia una ricca eredità di sapienza, raccolta anche in libri, articoli, note. Ed è proprio da una corposa raccolta delle sue note che leggo questa frase, che forse sintetizza la sua vita di dialogo con i musulmani: “Cosa c’è al centro delle relazioni interreligiose? I miei lunghi anni vissuti nelle comunità musulmane mi hanno insegnato che la vera chiave o il percorso per qualsiasi tipo di vero rapporto con un vicino musulmano è il cuore. Il cuore: non è solo la chiave o il percorso... è anche il modo in cui incontriamo Dio”.

Ho con me anche il racconto della sua vita, fino al 1980. Sono un centinaio di pagine ricche di storie, aneddoti, rivelazioni del suo segreto ricchissimo mondo interiore. Riporto soltanto poche righe dell’inizio della sua storia:

“Il mio viaggio iniziò la mattina del 29 maggio 1948, quando mia madre, dopo il grande shock della morte prematura di mio padre in un incidente aereo il 5 marzo 1948 e la successiva esperienza di un quasi aborto spontaneo, alla fine diede alla luce un bambino. La grazia di una nuova nascita dopo la tragedia segnata dalla morte ha dato un nuovo inizio e una nuova speranza alla famiglia Mercado. Era, infatti, una nuova vita dopo la morte. Il velo d’oscurità e di dolore ha lasciato il posto a una nuova vita e a una nuova gioia. Non c'erano dubbi: il nome del bambino sarebbe stato quello di suo padre. Molti hanno predetto che sarebbe stato grande come suo padre. Così il ragazzo deve crescere nei ricordi vivi di suo padre. (…)


Il sogno della mia vita era diventare un politico o un militare come mio padre. Dovevo studiare legge o frequentare una scuola militare. Quello che desideravo veramente era essere un leader e aiutare a trasformare la società filippina. Ricordo ancora i tempi in cui pronunciavo discorsi politici a una folla immaginaria enunciando i miei piani su come aiutare i poveri. Tondo [il più grande e il più povero quartiere di Manila] era il mio collegio elettorale immaginario preferito. Sarei diventato il loro leader, la loro voce e il loro "salvatore". Era un sogno molto romantico, eppure mi aveva preso completamente. (…) La politica, gli studi militari e la vita matrimoniale sembravano alle porte, quando decisi di entrare nel Juniorato degli Oblati nel giugno del 1964. (…)

La chiamata di Gesù è stata una sorpresa anche per me. Era venuto un sacerdote a tenere un discorso agli studenti sulla vocazione. Era un "Americano" (padre Bertrand Demers, OMI) con una grande croce e una cintura nera. Eravamo tutti curiosi di sapere che tipo di prete fosse. Era molto dinamico ed eloquente con una voce tonante e risonante. Ci ha parlato degli Oblati di Maria Immacolata e del loro lavoro a Mindanao con i Moros, i Musulmani. Mindanao – diceva – aveva bisogno di giovani uomini coraggiosi e avventurosi. Era un'opera missionaria con tutti i pericoli di essere pionieri del luogo e lavorare con i Moros. Verso la fine, ci ha detto che gli OMI non avevano bisogno di vigliacchi, di uomini mediocri o di "mezzi uomini". L’opera missionaria aveva bisogno di uomini veri, capi di uomini e uomini forti dal cuore coraggioso. WOW! Quell'osservazione conclusiva mi ha sfidato enormemente. Subito la mia fantasia si è scatenata immaginando Mindanao: i Moros, i Juramentados, i Royalties, ecc.”

Un sogno che divenne presto una realtà.


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