“L’anno prossimo a Gerusalemme”. Questo l’augurio che ogni anno, per secoli, gli Ebrei si sono rivolti al termine della celebrazione della Pasqua. Era il sogno che li ha sostenuti nella diaspora, aiutandoli a superare quel senso di isolamento e di diffidenza, quando non di persecuzione, che spesso ha accompagnato la loro storia tormentata. Non so se anche oggi si ripete quell’antico augurio. Gli Ebrei, da qualsiasi parte del mondo, possono andare a Gerusalemme quanto vogliono, anzi l’hanno eletta a capitale dello stato di Israele. Città santa per le tre religioni monoteiste, Gerusalemme vive il travaglio di una convivenza multietnica e multireligiosa che sembra impossibile. Lo testimonia il muro innalzato intorno alla città per difenderla dai Palestinesi, che poi si snoda lungo attorno allo stato di Israele. E pensare che sulla croce, come spiega l’apostolo Paolo, Gesù aveva distrutto il “muro di separazione” fra gli ebrei e gli altri popoli… Attorno alla tomba di Rachele il muro è più alto che altrove. Una donna palestinese, a cui esprimo il mio sconcerto per non poter accedere alla tomba, mi risponde mestamente: “Rachele si nasconde per non mostrarsi ancora in pianto per i suoi figli… Anche questo muro crollerà, come è crollato quello di Berlino”.
Così inizia la mia meditazione su “Gerusalemme città chiamata all’unità” (vedi qui), alla vigilia della partenza per la Terra Santa. Domani, con 70-80 lettori della rivista “Città Nuova” partirò in volo per Tel Aviv. Spero di raccontare, giorno per giorno, il pellegrinaggio.
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Che sorpresa poter seguire il pellegrinaggio dei miei genitori! grazie!!!
RispondiEliminaElisabetta