Sabato, presentando il libro sui santi di Prato ho detto che tra di loro ho collocato anche padre Evangelista da Prato, al secolo Tommaso Ciardi. Perché l’ho incluso? Perché è un mio prozio! E cosa ha fatto di straordinario? Nulla. Era un frate ordinario. Bisogna fare qualcosa di straordinario per essere santi?
Il Concilio Vaticano II ricorda che «Tutti i fedeli di ogni
stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una
santità la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste» (n. 11). L’idea di
una universale chiamata alla santità – “tutti” – aiuta a scoprire tanti
santi nascosti, a riconoscere quella santità nel popolo santo di Dio, così cara
a papa Francesco, presente «nei genitori che crescono con amore i figli, negli
uomini e nelle donne che svolgono con impegno il lavoro quotidiano, nelle
persone che sopportano una condizione di infermità, negli anziani che
continuano a sorridere e offrire saggezza». Sono i santi “della porta accanto”
(Gaudete et exultate, 7), o addirittura quelli “della porta di casa”.
Ora che le feste sono finite si continuano a fare le solite
cose: sistemare la stanza, preparare il pranzo, accompagnare figli e nipoti a
scuola, preparare la lezione, studiare, andare al lavoro… le solite cose di
ogni giorno. Il segreto è “come” si fanno (vanno fatte bene, vero?) e “per chi”
(per amore delle persone che ci vivono accanto e anche per amore dell’Amore).
Non cose straordinaria, ma fatte in modo straordinario!
Come dice la lapide sul muro di cinta della villa Becherini a Galciana, dove Cesare Guasti passava le vacanze: “operosa quiete”, “virtuose fatiche”.
Nessun commento:
Posta un commento