lunedì 6 gennaio 2025

E ora che le feste sono finite?

 

Sabato, presentando il libro sui santi di Prato ho detto che tra di loro ho collocato anche padre Evangelista da Prato, al secolo Tommaso Ciardi. Perché l’ho incluso? Perché è un mio prozio! E cosa ha fatto di straordinario? Nulla. Era un frate ordinario. Bisogna fare qualcosa di straordinario per essere santi?

Il Concilio Vaticano II ricorda che «Tutti i fedeli di ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste» (n. 11). L’idea di una universale chiamata alla santità – “tutti” – aiuta a scoprire tanti santi nascosti, a riconoscere quella santità nel popolo santo di Dio, così cara a papa Francesco, presente «nei genitori che crescono con amore i figli, negli uomini e nelle donne che svolgono con impegno il lavoro quotidiano, nelle persone che sopportano una condizione di infermità, negli anziani che continuano a sorridere e offrire saggezza». Sono i santi “della porta accanto” (Gaudete et exultate, 7), o addirittura quelli “della porta di casa”.

Ora che le feste sono finite si continuano a fare le solite cose: sistemare la stanza, preparare il pranzo, accompagnare figli e nipoti a scuola, preparare la lezione, studiare, andare al lavoro… le solite cose di ogni giorno. Il segreto è “come” si fanno (vanno fatte bene, vero?) e “per chi” (per amore delle persone che ci vivono accanto e anche per amore dell’Amore). Non cose straordinaria, ma fatte in modo straordinario!

Come dice la lapide sul muro di cinta della villa Becherini a Galciana, dove Cesare Guasti passava le vacanze: “operosa quiete”, “virtuose fatiche”. 

È così che ci si fa santi.


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