Giornata intensissima. Iniziamo con una breve visita alla
cattedrale di Mariannhill.
Poi Durban, la grande città. Con i suoi più di 3 milioni di
abitanti, si distende lungo la grande baia, uno dei più grandi porti naturali. Moderna,
ricchissima… eppure con tante sacche di povertà: persone che vivono per strada,
mercatini della miseria. Il contrasto è sottolineato dalle inferriate, i fili
spinati, i fili di corrente elettrica per proteggere le varie proprietà… Eppure
è affascinante!
Andiamo dritti alla cattedrale, costruita dal secondo
vescovo della diocesi, Oblato come il primo. Tutti i vescovi di Durban sono
stati Oblati, fino a Mons. Denis Eugene Hurley, che si ritirò nel 1992, dopo
una cinquantina di anni di episcopato. Aveva guidato la Chiesa del Sud Africa,
come presidente della conferenza episcopale negli anni esaltanti del Concilio
Vaticano II e in quelli drammatici dell’Apartheid. Nella cattedrale c’è anche
una vetrata con Santa Caterina de Ricci (qui con una sola “c”).
Nella piazza della cattedrale la tomba degli Oblati: alcuni
notissimi, altri completamente sconosciuti, eppure tutti a servizio della
medesima causa e ognuno indispensabile per la costruzione del Regno di Dio.
Accanto il grande Centro Denis Eugene Hurley che mantiene
viva la memoria del grande vescovo, con una bella mostra, ma soprattutto con conduzione
di molte iniziative per i poveri.
Una visita anche a una delle cinque parrocchie degli Oblati
in città: bella, ordinata, con tanto verde attorno…
Il momento più bello è la visita alla comunità dei nostri
Oblati anziani: una vita per la missione!
Nel pomeriggio dal livello del mare saliamo a 1000 metri,
fino a Pietermaritzburg, la capitale della provincia di Kwa-Natal. Una grande
bella città, che conserva ancora tante costruzioni in mattoni nello stile
coloniale. Una città moderna, piena di vita, molto estesa.
Quando vi arrivarono gli Oblati con mons. Allard, salendo
dal porto di Duban con i carri tirati dai buoi, somigliava più a un villaggio
che a una città. L’acqua per bere e per l’irrigazione, correva ai lati della
strada in canaletti scoperti. Le baracche erano adagiate su grandi prati con le
mucche al pascolo. Per prima cosa costruirono la cappella e dato che Allard era
vescovo, la cappella fu subito cattedrale. Quando, poco dopo arrivò p. Giuseppe
Gerard, che era ancora diacono, vi fu ordinato sacerdote. La “cattedrale” è
stata ricostruita due volte, in luoghi vicini, ma l’antica cappella è ancora
lì.
Vi sono dei bei quadri che narrano la vita del beato Gerard.
Uno in particolare mi ha colpito: lui che prega e che fa pregare la gente.
L’avevano soprannominato “Ramehlolo”, il padre dei miracoli, perché la sua
preghiera era così intensa e sincera che davvero faceva miracoli. Ho la gioia
di presiedere la Messa e di raccontare la mia esperienza sulle orme di p.
Gérard.
Infine l’Istituto St. Joseph e lo scolasticato oblato a
Cedara. Nel 1943, dopo quasi 100 anni dal loro arrivo in Sud Africa, gli Oblati
decisero di aprire il seminario di teologia. O meglio, vi furono costretti
dalla guerra: fino ad allora mandavano gli scolastici in Lesotho, Francia,
Irlanda, Sri Lanka, Roma, ma ora non potevano più mandarli all’estero. Dopo
varie peregrinazioni, nel 1953 lo scolasticato trovò la sua residenza finale a
Cedara, in aperta campagna, lontano dagli occhi della polizia, perché allora
non potevano abitare insieme bianchi e neri. Ma ai neri era comunque proibito
accedere allo scolasticato, poi piano piano…
Nel 1990 ci fu la separazione tra la comunità dello
scolasticato e l’istituzione accademica. Nel 1981 vi era già stata
l’affiliazione all’Università Urbaniana di Roma. Nel 2004 distacco
dall’Urbaniana e inserimento nel sistema nazionale universitario del governo
sudafricano.
Il nostro Istituto fa parte di un gruppo di istituti e
dell’Università di KwaZulu-Natal presenti sul territorio, di varie
denominazioni e Chiesa, uniti in molti progetti di studio e pubblicazioni.
43 gli studenti oblati, provenienti, oltre che dal Sud
Africa, dallo Zambia, Zimbabwe, Namibia, Kenia, Cameroun, Nigeria, Congo
Brazaville. Una fucina di missionari.
Guardo la foto degli scolastici del 1971. In alto a sinistra
Frank Santucci, che fra un mese sarà mio superiore alla casa generalizia. Non c’è
neppure un nero.
Oggi, su 43 studenti uno solo è bianco. È il cammino della
Chiesa…
Adesso potrei anche tornare in Italia…