martedì 15 aprile 2025

Padre Minimo

Il 14 maggio sarei dovuto andare a Milano per celebrare i 100 anni di p. Angelo Lazzarotto, PIME, per noi “Minimo”: era il “nome nuovo” che gli aveva dato Chiara Lubich quando lui glielo aveva chiesto: “Mi basta un nome piccolo piccolo, anche minimo…”: “Minimo!”.

Ha deciso di lasciarsi prima: oggi è partito per il Cielo.

Ricordo quando agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso ci incontravamo insieme la domenica pomeriggio nel grande convento francescano di via Merulana, nella stanza di p. Novo. C’era p. Andrea Balbo (Novo), don Giuseppe Savastano (Micor), p. Sante Bisignano… e Minimo! Assieme costituivamo il “Centro dei religiosi”, a servizio di quanti aderivano al Movimento dei Focolari. Novo preparava il caffè, uno portava dei biscotti, un altro la Vecchia Romagna... Per me è stato uno dei periodi più belli, perché tutto vita, tutto freschezza. Ci raccontavamo cose belle, ascoltavano o leggevamo qualcosa di Chiara... Poi le lettere di religiosi provenienti da tutto il mondo. Per me era una scoperta straordinaria vedere religiosi di così varie famiglie, in Paesi lontani, che vivevano la medesima divina avventura. Tornavo a casa sempre pieno di gioia, portandomi dietro un po’ di letterine alle quali dovevo rispondere.

Nel 2004, quando ero direttore di “Unità e Carismi”, gli di scrivere la sua esperienza. Eccone alcuni stralci:

«Nel 1950, per l’Anno Santo, era stata organizzata a Roma una Mostra Missionaria. Io studiavo Missiologia all’Università Urbaniana e fui coinvolto per questo progetto, per cui dovetti passare l’estate a Roma. Un giorno venne a trovarmi un vecchio amico, un professore venuto in pellegrinaggio dal Veneto con un gruppo di studenti della FUCI. Ad un certo punto mi disse: “Abbiamo visitato basiliche e monumenti. Ma ciò che mi ha colpito di più è un’altra cosa. Ho scoperto qui dei giovani che vivono il Vangelo così com’è...”. La cosa mi folgorò: “Davvero? Voglio conoscerli anch’io!”.

Così il giorno dopo mi portò a Piazza Lecce, dove da pochi mesi era stato aperto il primo Focolare maschile. Suonammo il campanello di un appartamento, al primo piano mi pare. Il giovane che ci aprì ci accolse con un sorriso. Non ricordo esattamente chi fosse. Rispondendo alla mia curiosità, mentre continuava a preparare la cena, raccontò semplicemente cosa era successo a lui, e come la sua vita era cambiata dopo aver sentito parlare una ragazza, e incontrato altri giovani che avevano scelto di vivere il Vangelo insieme.

La cosa mi affascinava. Io ero prete già da tre anni, felice della mia vocazione missionaria. Alla domenica andavo a fare apostolato in una cappella di periferia, preparandomi con impegno il commento al Vangelo. Avrei voluto convertire il mondo, ma i frutti non si vedevano. E qui c’erano dei semplici laici, dei professionisti che avevano lasciato tutto, ma che non avevano alcun impegno specifico, e riuscivano a compiere miracoli di conversione... Cominciai a frequentare il focolare, affamato di quelle esperienze di vita vissuta e mi chiedevo qual era il segreto di tanta fecondità.

In settembre dovevo andare a Milano per fare gli Esercizi Spirituali con i miei confratelli del PIME. C’è anche a Milano chi vive così, mi dissero. E mi diedero un numero di telefono. Finiti gli Esercizi, prima di tornare a Roma telefonai a quel numero. Mi rispose Ginetta, che aveva aperto a Milano il primo focolare femminile. Mi invitò a celebrare la Messa il mattino seguente per il gruppetto che si ritrovava quotidianamente nella chiesa dei Padri Stimmatini. Dopo la Messa ci si ritrovò in una saletta e Ginetta, che era tornata da poco dall’incontro estivo con Chiara a Tonadico, parlò con molta semplicità ma con molta forza, e io ne rimasi affascinato. Ricordo ancora l’argomento: L’Eucaristia è Gesù che è Dio e ha concesso a Maria il privilegio unico dell’Immacolata Concezione. Noi non siamo immacolati, ma l’Eucaristia, che è lo stesso Gesù, ci immacolatizza. Erano presenti Piero Pasolini, Guglielmo Boselli, Oreste Basso, e qualche altro studente o professionista, che dovettero presto scappare per recarsi al lavoro.

Ritornato a Roma per concludere i corsi di Missiologia e Diritto Missionario, continuai a frequentare il focolare (che non era molto lontano dalla Casa generalizia del PIME in Corso d’Italia) e conobbi così Antonio Petrilli, Clari, Giulio Marchesi e altri.

Prima di partire per Hong Kong in dicembre 1956, passai alcuni anni tra Milano (dove fui impegnato nelle riviste missionarie) e Roma (dove tornai nel 1954 per finire la tesi di laurea). Continuavo con decisione a vivere e diffondere l’Ideale».

«La partenza per Hong Kong – scrisse in un’altra occasione – non mi presentò alcun problema, pur sapendo che in quella parte del mondo non c’era allora alcuna esperienza di vita cristiana, impostata secondo l’intuizione dei Focolari. Il vescovo di Hong Kong, al quale non mancai di confidare l’Ideale cui mi ispiravo nell’apostolato, mi confortò con la sua benedizione, e qualche tempo più tardi fu lieto di aprire le porte della diocesi ad un primo Focolare».

Il giorno della partenza per Hong Kong , Chiara gli scrisse:

«Roma, 1.12.1956. Carissimo P. Minimo,
Le scrivo mentre è appena all’inizio del Suo volo in aereo.
La Sua partenza ha avuto per tutti noi alcunché di strano: ci siamo trovati quasi tutti con un nodo alla gola, quando Lei ci mandò il Suo ultimo saluto da Ciampino. E da ciò abbiamo capito quanto ci abbia legati la “carità” di Gesù e come, l’esser fratelli in Lui, sia molto più che essere fratelli di sangue.
Ora: nuovi orizzonti, nuovi volti, nuova vita! Ma per chi ama è sempre la stessa cosa, vero Padre? Perché ogni orizzonte è aperto all’amore di Dio, ogni volto si chiama “Gesù”, ogni dolore: “Gesù Abbandonato”.
Così, partendo per così lontano, facciamo le prove per far l’ultimo viaggio, quello per l’eternità, ove fra pochi anni saremo nel Focolare della Trinità.
Lei lo sente vero, padre, che non c’è distanza per noi, che l’unità accorcia talmente lo spazio che quasi non lo fa esistere.
Continui ad amare, Padre, come ha fatto qui, e anche lì troveremo i frutti di Gesù fra noi.
Le dico questo non perché Lei non lo sappia, ma perché “amando” siamo tutti in un unico clima divino e tanti dolori non si sentono. E noi vorremmo con tutta l’anima che Lei avesse sempre la pienezza del gaudio.
Io so cosa significa “incominciare” da soli e per questo ho voluto scriverLe subito perché ci senta tutti vicini.
Ci mandi qualche foto del posto perché possiamo farcene una idea e ci scriva sempre.
Con infiniti auguri
In G.A. Segreto nostro, Chiara».

Una volta p. Minimo ha scritto: «Sento di poter affermare che non ho mai sperimentato alcun conflitto fra la vocazione missionaria, vissuta nel mio Istituto, e la partecipazione ad iniziative specifiche nate nell’ambito dell’Opera di Maria. La ricerca sincera della volontà di Dio nell’attimo presente mi ha aiutato per un discernimento pratico».

lunedì 14 aprile 2025

Compassione

Il catechista, dopo aver spiegato la Settimana Santa, ha chiesto ai bambini di scrivere un pensierino da portare alla processione della domenica delle Palme per poi attaccarlo sul cartellone in chiesa.

Emma, pensando alla Passione di Gesù, ha scritto: “Poverino”.

sabato 12 aprile 2025

Un povero somaro, ma Gesù ne ha bisogno

Cantavo a tutta voce “Púeri Hebræórum, portantes ramos olivárum”. Sì, in latino, in gregoriano, perché in quei primi anni Sessanta del secolo scorso la liturgia era ancora in latino. Mi rivedo ragazzo durante la processione delle palme che si svolgeva nella piazza del duomo con tutta la gente che ci guardava… Mi sentivo importante e pensavo che la gente guardasse me.

Proprio come accadde all’asino che portava Gesù in groppa. Di sicuro quell’asinello si sarà montato la testa. Vedendo che tutti battevano le mani, stendevano i mantelli sotto i suoi zoccoli, agitavano davanti a lui rami in segno di festa, avrà pensato che tutto questo fosse per lui: “Guarda quanto sono bravo, come mi acclamano!”.

L’asino è un animale testardo, sembra poco intelligente, eppure, sorprendentemente, Gesù dice che ne ha bisogno: «Troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”» (Lc 19, 30-31). 

Anch’io come quell’asino. Gesù ha bisogno di me? Ma io sono un asino! Proprio per questo ha bisogno di me. Quello che deve apparire non è l’asino ma colui che l'asino porta su di sé. L’asino vale solo e in quanto porta Gesù. Come me, valgo solo e in quanto porto Gesù.

Non montiamoci la testa. Che non ci venga in mente di mettere in mostra noi stessi. Sì, Gesù ha bisogno di noi, ci usa come vuole, ci fa fare cose alle quali non avremmo mai pensato. Rimaniamo comunque dei poveri somari, non contano le nostre doti, i nostri meriti, le nostre qualità. Vale solo colui che portiamo sulle nostre spalle, valiamo solo se siamo strumenti del suo amore. Siamo a suo servizio. Eppure, bontà sua, ha comunque bisogno di noi... troppo grande il suo amore che ci prende in seria considerazione.

venerdì 11 aprile 2025

Tenere viva la tensione verso la meta

 

Ho scritto tante volte che non c’è viaggio vero senza meta. Senza una meta non si parte neppure. Deve essere ben chiara, seducente per accendere il desiderio, far bruciare dall’ansia di raggiungerla, infondere il coraggio per affrontare i rischi che il cammino certamente implica.

L’aveva ben capito questo padre del deserto: «A un anziano fu chiesto: “Come può un monaco pieno di zelo non restare scandalizzato quando vede qualcuno ritornare nel mondo?”. Ed egli rispose: “Bisogna guardare i cani che cacciano le lepri: uno di loro, avvistata la lepre, la insegue finché non l’abbia raggiunta, senza lasciarsi trattenere da nulla; gli altri invece vedono soltanto il cane che insegue e corrono con lui per un po’, poi ci ripensano e tornano indietro. Solo quello che ha visto la lepre la insegue finché non l’abbia raggiunta e nel perseguire la meta della sua corsa non si lascia trattenere da quelli che sono tornati indietro, né si preoccupa dei precipizi, dei rovi o delle spine. Così anche colui che cerca Cristo, fissando incessantemente la croce, supera tutti gli ostacoli che incontra, finché non abbia raggiunto il Crocifisso”».

giovedì 10 aprile 2025

Non amiamo la via più della patria

Nelle lezioni all’Internoviziato dei Castelli oggi sono arrivato alla fine del primo millennio, passando attraverso i monaci itineranti che attraversavano l’Europa come autentichi pellegrini, che con la loro vita testimoniavano il cammino verso il cielo. Tra gli altri ho letto questo passo si san Colombano che dall’Irlanda è sceso fino all’Italia…

Non amiamo la via più della patria, per non perdere la patria eterna (…). Conserviamo salda in noi questa convinzione, così da vivere nella via come viandanti, come pellegrini, quali ospiti del mondo, senza legarci ad alcuna passione, senza desiderio alcuno dei beni terreni, ma in modo tale da colmate le nostre anime della bellezza delle realtà celesti e spirituali, cantando con la virtù e con la vita: «Quando verrò e apparirò davanti al volto di Dio? Infatti l’anima mia ha sete del Dio forte, vivo» (Sal 42, 3). (San Colombano, Istruzioni, VIII, 2)



mercoledì 9 aprile 2025

Fare strada insieme

Che bel libro! Fa capire la bellezza del camminare insieme, questa famosa sinodalità… Un libro idealista e realista, come il suo autore. Inizia col fare vedere l’importanza dell’essere insieme, uguali e diversi, “un’unità nella quale le differenze si esaltino e si integrino nello stesso tempo”, nella complementarietà tra società e la persona che “quando si integra cordialmente in una comunità, non si annulla ma riceve sempre nuovi stimoli per il proprio sviluppo”. Belle le pagine sulle diversità delle culture e sul bisogno di accogliersi così come si è, scoprendo il bello dell’altro…

Poi si passa alla Chiesa come popolo di Dio in cammino, in una solidarietà che va ben al di là dei ruoli. Quindi la vita consacrata come persone mescolate tra tutti, con il loro apporto peculiare. E avanti con le modalità concrete della sinodalità, per una missione comune…

La tematica si fa vicina, interessante, attraente, concreta, perché affrontata tenendo presente le difficoltà, le remore… In definitiva camminare insieme sembra proprio possibile, basta solo un po’ di buona volontà e tanta voglia di conoscere, di imparare gli uni dagli altri…

Grazie al Preside del Claretianum, Maurizio Bevilacqua, per averci dato questo piccolo prezioso libro: Fare strada insieme. La sinodalità nella vita consacrata.

Buon cammino!

martedì 8 aprile 2025

La nostra vita un pellegrinaggio

La vita consacrata può essere letta come un’espressione profetica del cammino e del pellegrinaggio umano e soprattutto cristiano: un pellegrinaggio. Essa, convenzionalmente, nasce con il mettersi in cammino di Antonio del deserto. Il suo è un itinerario che lo porta nel deserto, sempre più lontano dal villaggio di origine. La Vita Antonii descrive le tappe progressive del viaggio, che acquista una valenza teologica e si trasforma in un autentico pellegrinaggio: è un cammino verso Dio, verso una comprensione e una immedesimazione sempre più profonda di Cristo: diviene “l’amico di Dio”; ha una valenza antropologica: è la progressiva liberazione della propria umanità da ogni condizionamento per trovare l’armonia e la purezza delle origini, fino a far nascere l’”uomo nuovo”; ha una valenza ecclesiale: più egli si allontana dal consorzio umano più la sua vita diventa feconda per la Chiesa sbocciando in autentica paternità, fino a farlo diventare “apa” Antonio. La sua motivazione iniziare è decisamente evangelica, rispondente all’invito: “Va, vendi tutto, dallo ai poveri, e seguimi” (cf. Mc 10, 21). È una interpretazione letterale della sequela Christi.

L’itineranza fisica verrà presto guardata con sospetto, a favore della stabilità, anzi sarà espressamente condannata, almeno in certe sue evidenti deviazioni. Basterà ricordare la Regola di Benedetto che ostracizza i “girovaghi” «perché per tutta la vita passano da un paese all’altro, restando tre o quattro giorni come ospiti nei vari monasteri, sempre vagabondi e instabili, schiavi delle proprie voglie e dei piaceri della gola, peggiori dei sarabaiti sotto ogni aspetto» (1, 10-12). Nello stesso tempo la stabilitas, intesa come perseveranza, che si attualizza nel radicamento nella propria cella, nel monastero, nella comunità, è sempre una stabilitas in peregrinatione; il monaco rimane uno straniero, perché la sua patria è il cielo.

Eppure il richiamo al viaggio e al pellegrinaggio fisico, anche in considerazione dei modelli biblici, continua ad attrarre. A volte si esprime in maniera personale, devozionale, basti pensare alla monaca (?) Egeria “pellegrina” che dalla Spagna va in Terra Santa, e al suo scritto Itinerarium o Peregrinatio. Presto la peregrinatio pro Christo diviene una vera e propria istituzione, soprattutto a partire dall’Irlanda. Non vi sono deserti nella verde Irlanda, né monti su cui ritirarsi – vi sono soltanto dolci colline. Ecco allora che il viaggio si compie sul mare, come per Brendano, o verso le isole, o in terre straniere come per Colombano. Molti monaci, già inclini alla vita nomade, si fanno pellegrini ed emigrano verso la Scozia, la Gallia, la Germania, l’Italia. Mossi da una iniziale motivazione ascetica, si trasformano presto in grandi evangelizzatori. Il movimento missionario non caratterizzerà soltanto il monachesimo irlandese, ma diverrà una caratteristica di gran parte dei monaci e successivamente delle più differenti forme di vita consacrata.

lunedì 7 aprile 2025

domenica 6 aprile 2025

La vita è come uno specchio


La vita è come uno 
specchio:

Ti sorride se la guardi
sorridendo.

E' una delle tante frasi che affiancano la lunga strada pedonale che da Valle Aurelia conduce a Monte Mario, disegnate dai ragazzi delle scuole...

sabato 5 aprile 2025

Semplicemente: "il missionario"

Qualche volta accompagna una persona a Roma. Le porta pacchi e valigie, aspetta con pazienza in piedi tutto il tempo voluto dall’altro, e sempre con grazia. “Dovere!”.

Rialza da terra un bambino spaurito e in lacrime e lo porta alla mamma un po’ lontana, magari tenendolo in braccio e accarezzandolo finché la mamma non abbia finito un lavoro urgente.

Si priva della frutta per portarla ai bambini e racconta loro delle novelle per tenerli buoni.

Se accompagna una persona anziana o sofferente, le dà delicatamente il braccio, va piano per non stancarla, fermandosi di tanto in tanto, portando lui stesso quanto necessario. Porta il tabacco ai vecchi, si presta a cercare gli oggetti smarriti…

È il padre buono. Anzi, per tutti è semplicemente “il missionario”: lo chiamano così.

Giorno di festa. Ha terminato la terza messa in campagna. Naturalmente non aveva preso nulla con sé da mangiare. Una famiglia amica lo invita in casa e la signora gli prepara una tazzina di caffè con un uovo con tre cucchiaini di zucchero. Per quanto sbatta, l'uovo non cresce. C'è poco zucchero, pensa la signora: e giù un altro cucchiaino di zucchero, poi un altro e un altro ancora, fino a sette. Senza fretta, p. Armando, un cucchiaino dopo l'altro, centellina il preparato, come per meglio gustarlo. Il suocero mette lo zucchero nel suo caffè: al primo sorso fa una smorfia e chiede alla nuora: “Cosa ci hai messo?”. Distrattamente aveva vuotato nella zuccheriera un pacchetto di sale raffinato!... Piovono i rimproveri e lui si intromette a scusare con una pietosa bugia: “Per me andava benissimo; altre volte l'ho preso così, in alta Italia”.

Era fatto così p. Armando. Sì… è p. Armando Messuri.


venerdì 4 aprile 2025

Le belle foto di una volta

Ho terminato di scrivere un piccolo libro su p. Armando Messuri. Cercando tra le foto ecco apparirne una del 19 marzo 1920: che bella squadra. Tutti in posa! I più disinvolti sono i più piccoli, seduti in prima fila.

Ci sono gli Oblati, gli apostolini, ossia i giovani seminaristi che si preparavo a diventare “apostoli” (hanno tutti la veste nera e un piccolo crocifisso), e i collegiali: la Scuola apostolica e il Convitto di Santa Maria a Vico al completo.

Impalato, terzo da destra nella terza fila a partire dall’alto, Armando Messuri, dallo sguardo un po’ incerto; ha 18 anni e non sa ancora bene cosa farà nella vita. Comunque il mese successivo sarà già in Valle d’Aosta per iniziare il noviziato.

La foto dentro gliel’ha fatta il superiore, p. Giuseppe Drago: “Timido per natura, spesso mostra meno di quel che sa. In compenso è dotato di una grande bontà di cuore e di ottima volontà, cosa che ci ha fatto passar sopra a qualche difettosità dal lato dello studio. Con il riposo dagli studi potrà riacquistare robustezza e sviluppo di intelligenza, e potremo avere in lui un buon missionario”. Niente di straordinario. Comunque avanti. Riuscirà? Diventerà davvero un buon missionario? Vedremo… Lo racconto nel libro!

Intanto ci godiamo questa bella foto. Da quei bambini e ragazzi, oltre che a grandi missionari, sbocceranno magistrati, avvocati, medici, professori, farmacisti, amministratori, impiegati, sacerdoti…

giovedì 3 aprile 2025

Solidarietà

Oggi, parlando alla comunità di Marino, mi sono reso contro dell’importanza di una parola che non è molto messa in evidenza: la “solidarietà”. La nostra Regola la usa quattro volte, assieme al termine “solidali”. Una parola che non trova molto impiego nel linguaggio corrente, eppure nasconde grandi potenzialità. La prima volta compare nella C 38: “Uniti dall’obbedienza e dalla carità, tutti, Sacerdoti e Fratelli, sono solidali gli uni gli altri nella loro vita e azione missionaria anche se, sparsi per il bene del Vangelo, possono solo per brevi intervalli gustare i benefici della vita comune”.

Le attività possono completarsi a vicenda ed essere portate avanti l'una accanto all'altra, ma a volte senza profondi rapporti tra loro. In questo caso c’è una coesistenza più o meno pacifica, ma non molto di più! Non basta stare attenti a non pestarsi i piedi e far bene ognuno il suo lavoro. Perché ci sia una perfetta coesione nella missione comune, è necessario che ci sia la solidarietà, ossia intesa, stima, incoraggiamento reciproco, sostegno, attenzione e interesse al lavoro dell’altro...

Sant’Eugenio sentiva molto intensamente la solidarietà in questo senso e la chiedeva a tutti per il bene di tutti. Nel gennaio 1850, scrivendo a padre Baudrand, superiore a Longueuil, in Canada, gli dava notizia dell'attività degli Oblati in Inghilterra, aggiungendo: “Rallegriamoci di tutto il bene che viene fatto dai nostri nelle quattro parti del mondo. Tutto è solidale tra noi. Ciascuno lavora per tutti e tutti per ciascuno. Oh, quanto è bella e commovente la comunione di santi!”. Anche nella lettera ai neo-professi, il 24 luglio 1858: “Calcolo, per così dire, in anticipo tutto il bene che farete nel corso della vostra vita. Non solo sarete arricchiti da questi meriti, ma nella solidarietà della nostra famiglia, sarete arricchiti da tutto ciò che sarà meritorio nell'opera dei vostri fratelli in tutte le parti del mondo”.

Inviando le sue ultime raccomandazioni alla prima comunità di Oblati in partenza per il Canada, il 9 ottobre 1841, aveva scritto: “Siamo tutti membri di uno stesso corpo; ognuno di noi contribuisca con tutti i suoi sforzi e sacrifici, se necessario, al benessere di questo corpo e allo sviluppo di tutte le sue facoltà”.

La nostra Regola riprende questi pensieri e afferma: “Siamo tutti responsabili in solido della vita e dell'apostolato della comunità” (73) e richiede la partecipazione di tutti per realizzare insieme la missione (C 96).

Questa solidarietà presuppone una “unità di spirito e di cuore” radicata in Cristo, che ci fa una cosa sola e ci invia ad annunciare il suo Regno (C 37 § 3). Essa richiede accoglienza, sostegno e condivisione nella fiducia reciproca, come è scritto nella C 39: “Ciascuno metterà a servizio di tutti i doni di amicizia e i talenti ricevuti da Dio. Questa comunione contribuirà a intensificare la nostra vita spirituale, la crescita intellettuale e l’azione apostolica”.

Sono suggerimenti semplici e profondi: comunicare quello che si vive, diventare amici, mettere in comunione i doni ricevuti…

Mi piace leggere la rubrica quotidiana “Una parola al giorno”. La parola “solidarietà” è stata commentata il 7 giugno 2013, come al solito con un bel commento:

La solidarietà è il sostegno reciproco, al modo in cui ogni parte di un solido è retta e tenuta salda da tutte le altre: nessuna si ritrova sola nel vuoto. La solidarietà è quindi la compattezza del corpo sociale, il suo essere massiccio - e ci spiega che la forza di un corpo sta nella sua coesione. Coesione che si esprime innanzitutto nella mutua assistenza, in una fratellanza che scaturisce dalla coscienza di far parte di un uno.

Quando non ci curiamo di qualcuno che sta male o è in difficoltà - càpita -, ecco che nel solido si apre una crepa: una sola, una crepa da nulla. Ma di crepa in crepa il corpo si indebolisce, le fenditure si allargano fino a renderlo fragilissimo, incoerente - che perde pezzi, fra i quali ci siamo anche noi. Il modo in cui questa parola viene usata ci dice che è l’aiuto il cemento del corpo in cui viviamo, il venirsi incontro nella partecipazione di un destino comune in cui nessuno dovrebbe essere lasciato indietro o dimenticato: una società solidale è una società solida. (E pare che sia un valore di un certo rilevo, da qualche milione di anni a questa parte.)

 

mercoledì 2 aprile 2025

Il presente

Ho preparato le lezioni per domani, il ritiro per la comunità oblata di Marino, un altro ritiro per sabato, ho lavorato all’ultima stesura della biografia di Armando Messuri, ho fatto una bella chiacchierata con uno dei nostri studenti… 

E il blog? E se non ci fosse niente da scrivere perché oggi ho già scritto tanto? Il passa parola di oggi dice: “Vivere l’attimo presente”. Che vuoi di più? Forse basta aver vissuto un po' quello…

martedì 1 aprile 2025

Diceva ciò che viveva

Mi sono capitati tra mano due libri su p. Giovanni Giuseppe Françon, una missionario oblato della seconda metà del 1800. Sant’Eugenio lo stimava e sapeva il gran bene che faceva nella sua predicazione nelle campagne, ma lo riteneva un po’ troppo rozzo e grossolano. Eppure il suo primo biografo scrive di lui un elogio che mi pare straordinario:

«Padre Françon era prima di tutto un missionario santo; uomo di preghiera e di orazione, viveva di Dio, in Dio, per Dio. Non si mai allontanato dalla sua presenza». Ed ecco ciò che più mi ha colpito: «Era penetrato fino al profondo dell'anima dalle verità che annunciava. Non predicava le sue letture; i suoi discorsi non erano tanto frutto dei suoi studi, quanto delle sue meditazioni quotidiane e dei suoi ritiri».

Diceva ciò che viveva! Ti pare poco?

lunedì 31 marzo 2025

Il silenzio di Gesù e il nostro

Ristampa del libretto "Testamento di Luce. Le ultime parole di Gesù".

Prima di ricordare le “sette parole” di Gesù in croce ho ricordato i sette silenzi di Gesù nella sua passione. Mi piace contarli e ripassarli a uno a uno. 

In quei silenzi vedo Gesù che condivide il silenzio di quanti non sanno o non possono difendersi per far valere la propria innocenza. Condivide la sorte di quanti sono abbandonati da chi dovrebbe proteggerli. 

Nei giorni del lockdown provocati dalla pandemia del coronavirus il silenzio delle nostre strade e delle nostre città a volte era divenuto fatto surreale e aveva generato paura, sgomento. Anche questo Gesù ha condiviso, appieno. Ha condiviso il silenzio che calò a Hiroshima dopo la violenta esplosione della bomba, il silenzio dopo gli eccidi di villaggi interi ad opera di bande criminali dai nomi noti, il silenzio del mare che inghiotte profughi disperati…

Quanti altri silenzi, quante domande senza risposta nella vita d’ogni persona. Cosa rispondere davanti a situazioni assurde? Si è impotenti. Manca la parola. È quanto ha vissuto Gesù con la sua afonia: condivide la nostra impotenza e la nostra afonia. È il silenzio del sabato santo, che sta germinando la Pasqua di Resurrezione.

domenica 30 marzo 2025

Santa Maria in Campitelli

17 luglio 523, a Roma, Galla, figlia del Prefetto Simmaco, nel portico della sua casa, come ogni giorno aveva a mensa dodici poveri che serviva di persona. D’improvviso nella dispensa del palazzo apparve un improvviso bagliore. Il coppiere si precipitò ad avvertire la padrona. Galla accorse immediatamente e vide con stupore quell’insolita luce. Corse al Laterano, dove risiedeva il papa Giovanni I e lo pregò di andare a casa sua. Il Papa si recò processionalmente accompagnato da vescovi e cardinali e dal resto del clero e popolo romano, portando candele accese. Giunto nella casa di Galla entrò e vide anch’egli la meravigliosa luce con in mezzo due angeli che gli consegnarono un’immagine della Madre di Dio. Allora tutte le campane della città di Roma cominciarono a suonare.

Adesso, dopo varie peripezie, l’immagine è conservata nella chiesa di Santa Maria in Campitelli e invocata come “Porto sicuro dei romani”: un’immagine piccolissima in una chiesa grandissima.

Per la prima volta, per una minuscola scala a chiocciola, sono potuto salire fino all’icona… toccarla, pregarla...









sabato 29 marzo 2025

Un piccolo seme qua, un piccolo seme là…


Un piccolo seme qua, un piccolo seme là… qualcosa nascerà. Oggi con una quindicina di giovani per le vie di Roma sulle orme di sant’Eugenio. È sempre bello raccontare storie belle…

Compresa quella di sant’Eugenio che Pio IX nel 1854 invita a passare un mese al Quirinale con lui in occasione della proclamazione del dogma dell’Immacolata. Si era fermato all'hotel Minerva, in piazza omonima, ma vi dormì una notte soltanto perché il papà lo mandò subito a chiamare. Che dono potere stare in casa del papa! Lo incontrerò personalmente in udienza il 30 ottobre e il 26 dicembre, gli scrisse diverse lettere, invitandolo a non preoccuparsi dei dubbi e dell’opposizione di alcuni prelati alla definizione del dogma…

Matteo Casaretto, il fotografo, vuole una menzione speciale sul blog. Oltre a essere un bravo fotografo è anche un bravo ragazzo…

Un piccolo seme qua, un piccolo seme là…



venerdì 28 marzo 2025

Per la carità perfetta


 Dopo aver perorato a lungo la causa della preghiera, Caterina da Siena, nel suo “Dialogo”, mette i puntini sulla i. Fa dire al Padre : “La preghiera vocale e interiore è voluta da me perché l’uomo giunga alla carità perfetta di me e del prossimo e per rimanere in essa”. 

Biasima poi quelli che perdono la pace se devono abbandonare le preghiere nei tempi stabiliti per andare a servire chi ha bisogno: “Certamente costoro mi offendono di più abbandonando la carità del prossimo che rinunciando in quel momento alla preghiera e alla pace interiore. Infatti nella carità del prossimo incontrano me, mentre, nel piacere, dove mi cercano, mi perdono… Il peccato non consiste… nell’abbandono della preghiera per il soccorso del prossimo ma nell’essere privi di carità per il prossimo, che si deve invece amare e servire per amor mio”.

giovedì 27 marzo 2025

Fratello, in cammino con noi

Faccio meditazione sul libro “Meditazioni” di Chiara… da 50 anni. Adesso però utilizzo l’edizione critica, ricchissima di spunti. In questo periodo sto leggendo anche “Il dialogo della divina Provvidenza” di Caterina da Siena. Che diversità, almeno nella forma. Quest’ultimo è un trattato sistematico, al volte pesante, comunque di peso. Ha delle pagine straordinarie; oggi ho letto sulla preghiera: tiene testa a Teresa d’Avila. L’altro, “Meditazioni”, è una rapsodia leggera… comunque, ugualmente di peso! Ormai un classico della spiritualità cristiana come quello di Caterina.

Di quest’ultimo oggi ho letto una pagina che mi è sembrata in continuità con quanto avevo scritto ieri sul blog riguardo a Gesù che cammina con noi: https://fabiociardi.blogspot.com/2025/03/con-passo-sicuro.html

Leggo di Gesù che nell'ultima cena, dopo aver chiamato i suoi discepoli “figliolini miei”, una volta risorto li chiama “fratelli”. Che Dio sia Padre lo si capisce, ma che si faccia fratello «è un tale mistero da potersi intravedere solo se si pensa che Dio è veramente l’Amore: l’Amore che dopo aver meritato, come Uomo, tutti i titoli di paternità verso gli uomini…, al limite della sua vita terrena, si mette a fianco degli altri…».

Gesù compagno di viaggio perché nostro fratello… Poteva esserci più vicino? Accanto a noi, a fianco a noi, in cammino con noi…

mercoledì 26 marzo 2025

Con passo sicuro

Sto disperatamente cercando l’immagine per la copertina di Oblatio Studia 14, un commento alle Costituzioni e Regole degli Oblati, preparato in occasione dei 200 anni della loro approvazione pontificia.

L’idea è quella di un cammino, perché le Regole sono questo, l’indicazione di un percorso.  Mi è venuto in mente il “compagno” ideale per questo cammino. Chi altro se non Gesù in persona, lui che si è definito la “Via”? L’immagine non potrebbe essere quella di Gesù che accompagna i due discepoli verso Emmaus? Chissà se gli Oblati si riconosceranno nei due discepoli e non volessero essere accompagnati da Gesù stesso?

Quale immagine di Emmaus? Ne abbiamo una molto bella nella nostra comunità di Marino. È un quadro che ci regalò tanti anni fa una Pia Discepola, Cesarina Giordani, una grande artista. Ho parlato di lei qualche anno fa sul blog: https://fabiociardi.blogspot.com/2022/11/le-madonne-di-marino.html

Il dipinto è quasi monocromatico, eppure di mille sfumature. Infonde un senso di malinconia, o forse di nostalgia. Padre Marino - destinatario del dono - non ne era molto soddisfatto e lo disse all'artista: Perché la strada non si apre all'orizzonte e rimane come ostruita dalle colline lontane? Gli pareva un segno di incertezza, di poca speranza: lo leggeva nel quadro e nel cuore della pittrice...

A me piace. I due camminano controvento, ma decisi, con passo sicuro, traendo forza da colui che li accompagna: è più grande di loro ed emana luce, infonde sicurezza, senza esaltazione, con pacatezza, e forse proprio per questo con maggiore efficacia. Quello di cui abbiamo bisogno anche noi, oggi…

martedì 25 marzo 2025

Un carisma per il futuro

Due ore di lezione con una decina di dottorandi dell’Università di Macerata. Che esperienza bella e arricchente! Sapere che ci sono giovani che fanno sul serio… Il mio tema era il percorso storico del concetto di carisma, con un confronto tra il ritratto del leader carismatico tracciato da Max Weber e quello di un fondatore di un movimento religioso.

Weber utilizza il concetto biblico di carisma per descrivere e analizzare un certo tipo di potere che chiama appunto carismatico, gestito da una persona che si manifesta in particolari momenti di bisogno o di crisi, quando la gestione ordinaria del potere si mostra incapace di apportare i cambiamenti necessari. Con modi insoliti, spontanei e creativi, egli è capace di trasformare lo status quo. Rompe con determinati schemi ormai inadeguati, ed è portatore di nuovi valori e modelli di comportamento. È animato da ideali propri, distinti dalla quotidianità della vita ordinaria, e dal desiderio di diffondere il messaggio su cui si regge. Si sente investito da un compito. È un eletto, un ispirato, a cui è stata affidata una missione. Detiene qualità straordinarie che lo portano a galvanizzare attorno a sé un gruppo di seguaci-discepoli che lo riconoscono come leader indiscusso: gli accordano piena fiducia e obbedienza incondizionata…

Troviamo elementi di continuità e di discontinuità nei fondatori e nelle fondatrici rispetto al profilo del “capo carismatico” elaborato da Weber. Ho rilevato soprattutto le discontinuità. Tra le altre la non sempre evidente presenza di qualità straordinarie. Il più delle volte ci sono, ma il soggetto non fa leva su di esse; preferisce mettere in luce le proprie fragilità, inadeguatezze…, così da dare risalto all’azione gratuita di Dio in lui, che ne diventa strumento. In ciò vi è una continuità con Paolo, al quale spesso essi fanno esplicito riferimento, citando proprio il testo tratto dalla Lettera sui carismi: «quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1Cor 1,27-29). Occorre sempre distinguere tra il dono di Dio – il tesoro, in questo caso il carisma – e il vaso di creta nel quale esso è contenuto (cf. 2 Cor 4, 7).

Il carisma del fondatore ha inoltre una dimensione collettiva, che continua anche dopo la sua morte. Ed è questa una realtà sorprendente. Quando il fondatore muore, si adempie la parabola evangelica del chicco di grano che deve cadere in terra e morire per portare frutto. La sua morte è l’inizio di una nuova fecondità. Sembra di sentir riecheggiare le parole di Gesù: «È bene che io me ne vada, altrimenti non potrà venire a voi lo Spirito» (cf. Gv 16, 7); «Farete cose più grandi di me» (cf. Gv 4, 12). Perché il carisma possa sprigionare tutta la sua creatività è necessario il dono estremo della vita da parte del fondatore.

Bello il breve ma intenso dialogo con gli studenti, colpiti soprattutto dalla dimensione sociale dei carismi religiosi, che ho loro tracciato, e dal contributo da essi dato alla storia umana… Interessati (e preoccupati) delle nuove sfide che tecnologia e informatica pongono alla nuova leadership mondiale. Occasione per parlare insieme del valore dei rapporti personali, della costruzione della fraternità…

lunedì 24 marzo 2025

Annunciazione: l'inizio di tutto

 

Ho aperto il blog e ho cercato la voce annunciazione. Quanti post in tutti questi anni! Da Nazaret a Loreto, dalla Santissima Annunziata di Firenze al nostro giardino. Ho commentato tante opere d’arte che ritraggono quell’annuncio dell’angelo, le parole di Maria...

È il primo mistero del Rosario, come la porta d’entrata nella contemplazione. L’avevano capito bene i nostri antichi, per questo avevano fissato il primo giorno dell’anno al 25 marzo: l’inizio… di tutto. Tutto inizia con Dio che viene tra noi. Maria lo accoglie e ci insegna ad accoglierlo.

domenica 23 marzo 2025

Attraversare la porta santa insieme...

È bastata una porticina di cartone per fare le prove per entrare nella Porta Santa. Gliel’ho spiegata bene e poi a uno a uno sono entrati, dopo aver bussato ed essere stati aperti. Di là finalmente a casa: il Paradiso!

Qualche bambino più piccolo si vergognava un po’ o aveva paura… allora qualcuno più grande lo prendeva per mano e insieme, raggianti, attraversavano la porta. Insieme! Un cammino fatto insieme, che aiuta a superare le difficoltà: che grande insegnamento… E gli adulti che imparano dai bambini… Che bella giornata ad Arezzo!

sabato 22 marzo 2025

Sulla quarta parola

Ad Arezzo? Vedremo come andrà, speriamo bene … Intanto, dopo l’ultima delle “quattro parole”, ecco un paio di reazione:

- Grazie del Blog, solo oggi ho capito Gesù abbandonato. In quanto a dare la vita gliel’ho chiesto molte volte, la prima volta avevo 15 anni. Glielo chiedo anche adesso per far passare le guerre. Ma ho capito che la mia vita non la vuole ancora, devo ancora patire e morire qui in terra. Grazie.

Stavo riflettendo sul tuo Blog di ieri: Una volta mi sentivo "sfortunata" per essere nata in Venerdì Santo, invece della domenica di Pasqua, ma ora ne vedo la bellezza. Adesso mi sento orgogliosa di essere nata il Venerdì Santo! È il simbolo massimo dell'amore che Gesù ha avuto per tutti noi. Spero di essere anch'io in grado di avere un amore simile per gli altri.

venerdì 21 marzo 2025

Preghiera accorata


Signore, non distogliere da me il volto (Tobia 3, 6)

Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto (Salmo 4, 7)

Di te ha detto il mio cuore: «Cercate il suo volto»; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto (Salmo 27, 8-9)

Quando verrò e vedrò il volto di Dio? (Salmo 42, 3)

Su di noi faccia splendere il suo volto (Salmo 67, 2)

Non nascondere il volto al tuo servo, (Salmo 69, 18)

Fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi (Salmo 80, 4.8.20)

Beato il popolo che ti sa acclamare

e cammina, o Signore, alla luce del tuo volto (Salmo 89, 16)

Non nascondermi il tuo volto (Salmo 102, 3)

Cercate sempre il suo volto (Salmo 104, 4)

Fa’ risplendere il volto sul tuo servo (Salmo 119, 135)

Non nascondermi il tuo volto (Salmo 143, 17)

giovedì 20 marzo 2025

Quattro parole per realizzare il sogno di Dio / 4

 

Ed eccoci alla quarta parola per realizzare il sogno di Dio; una parola che dice la densità, l'intensità, la durata dell’amore. È l’amore di chi avendo amato i suoi li amò fino in fondo, fino alla fine.

Appena Chiara sente dire che il momento nel quale Gesù ha più patito, è quando grida, "Dio mio, perché mi hai abbandonato", si rivolge alla compagna accanto a lei e le dice: "Allora noi scegliamo Gesù nell'abbandono". Perché quello è il momento nel quale Gesù più ama. In quel momento è l'amore estremo: non c'è amore più grande di questo, dare la vita per gli amici.

La quarta parola non è una parola, è una Persona! Gesù Abbandonato (così come lo era l'amore vicendevole: Gesù in mezzo). L'amore non è un'idea, è una realtà seria, concreta, che domanda la vita: è Gesù, che entra nella nostra vita, in ogni nostro dolore e lo fa suo e lo redime e lo fa risorgere. Lo ha fatto quando era impotente, umiliato, povero, senza risorse…   

Tra quelle ragazze dei rifugi antiaerei si sigilla un patto: “Io sono pronta a dare la vita per te, io per te, io per te…”. Ma se sei pronta a darmi la tua vita sei pronta a darmi anche il tuo scialle, i tuoi guanti, il tuo tempo, a darmi tutto…

L'amore è entrare nella vita dell'altro, sentire i sentimenti dell'altro, “farsi uno”, riprendendo san Paolo: “Mi sono fatto giudeo con i giudei, greco con i greci, ateo con gli atei…”. Mi sono fatto ignorante con gli ignoranti, dubbioso con i dubbiosi… C'è uno che soffre? io soffro. C'è uno che ha fame? io ho fame. C'è uno che è escluso? io sono escluso. C'è un ammalato? io sono ammalato... 

Dunque: Andrò per il mondo cercandolo in ogni attimo della mia vita, nei miei dolori, in quelli delle anime accanto… Come Gesù: entrare in ogni divisione, in ogni negativo, in ogni tragedia umana, piccola o grande che sia, e condividere, pur nella nostra incapacità, e assumere, e patire, e vivere ogni situazione per farla risorgere.

mercoledì 19 marzo 2025

Quattro parole per realizzare il sogno di Dio / 3

Prima di passare alla terza parola, torniamo un attimo alla prima. Perché? Perché nel frattempo è partita per il Cielo Luciana Scalacci, una persona senza riferimenti religiosi, che si impegnata su tutti i fronti per contribuire l’unità. «Sai – diceva – questo dialogo tra persone di diverse convinzioni è nato non per convertire i non credenti, ma perché con Chiara avevamo capito che il mondo unito si fa con tutti. Che tutti siano uno. Se ne escludiamo anche solo uno, non siamo più tutti».

Tutti dunque. Cominciando da due… E cos’è che lega questi due prima e poi i tutti? L’amore reciproco. È questa la terza parola del Vangelo che è brillata in quei rifugi di guerra e che ha fatto capire la via per realizzare il sogno di Dio: «Amatevi l'un l'altro come io vi ho amato».

Non soltanto ama Dio. Non soltanto ama il prossimo. Guai se non lo facciamo. Ma l'amore è una semiretta, parte da qui e va all'infinito. L'amore reciproco è diverso: parte qui e torna qui. Va e torna. È quell'amore che fa nascere la comunità.

È l'amore tipico del cristianesimo. È il comandamento nuovo. Nuovo perché prima non c'era. L'ha portato Gesù, rispecchia la vita trinitaria, che prima non si conosceva. L’un l’altro, gli uni gli altri… Nel Nuovo Testamento lo ritroviamo declinato in mille modi: sostenetevi l'un l'altro, pregate l'uno per l'altro, servitevi l'un l'altro, stimatevi l'un l'altro, portate i pesi gli uni degli gli altri… È la reciprocità.

Questo comandamento non va vissuto soltanto tra due o tre persone, va portato a livello sociale: due parrocchie, due diocesi, tra le Chiese. Anche a livello sociale, politico, economico. E se l'amore reciproco fosse vissuto fra i partiti? Ama il partito dell'altro come il tuo. Tra i popoli? Ama il Paese dell’altro come il tuo… Eroico. Questo è martirio. Va bene, va bene, è martirio. Ma l'ideale del cristiano è il martirio.

È quella che Chiara chiama l'arte di amare. Amare tutti. Amare sempre. Amare per primi…. 

martedì 18 marzo 2025

Quattro parole per realizzare il sogno di Dio / 2

Tutti, tutti, tutti… Ma come si fa ad arrivare a tutti? È il punto di arrivo, il compimento del sogno…

Proprio oggi mi è arrivato un commento al blog di ieri: «È bello il carisma che tutti siano uno, ma difficile realizzarlo».

Ed ecco la seconda parola per attuare il sogno di Dio: due! È il punto di partenza per arrivare a tutti. Si parte in due, bastano due o tre… È questa la seconda parola che lo Spirito Santo ha messo in luce quando nei rifugi quelle ragazze leggevano il Vangelo. Sono state colpite da: «dove due o tre di voi sono riuniti nel mio nome, io sono lì in mezzo a loro».

Per arrivare a tutti si parte dalla persona che io ho accanto. Io sono uno. E il secondo chi è? Quello che Dio mi mette accanto nel momento presente. Può essere la moglie, il figlio, la cognata, il collega di lavoro, il compagno di scuola... E con lui, con lei, posso costruire l'unità.

Da qui nasce l'idea di creare quelle che Chiara chiama le “cellule di ambiente”. Perché non trovare una persona che con te vuole essere unita nello stesso Ideale? Sei un'infermiera nell'ospedale? Ma nell'ospedale, oltre a te ci sarà l'analista che la pensa come te. Voi due, nell'ospedale, anonimo, grandissimo, potete vivere un rapporto di unità tale che ci sia Gesù tra voi. Così nasce una cellula di due persone, che non sono due, ma sono tre, perché c'è un Altro in mezzo a loro. E se c'è lui, se c'è Gesù… Lo stesso nell'ufficio, a scuola, in parrocchia…

Gesù in mezzo. L'incarnazione che si fa concreta. L'ha promesso. “Io sarò con voi fino alla fine del mondo”. È l'ultima parola di Gesù prima di salire al cielo. È una promessa. E quando Dio promette si compromette. Si tratta di prendere sul serio questa presenza di Gesù. È più vera la sua presenza della nostra presenza. È più vero lui di me.

lunedì 17 marzo 2025

Quattro parole per realizzare il sogno di Dio / 1

Da Gaeta mi chiedono “le solite cose”, quelle che ho detto sabato pomeriggio… Quello che ho detto è difficile ridirlo, perché ho parlato a ruota libera, trascinato da un uditorio straordinario… Ma almeno lo schema… Ho semplicemente detto quattro parole per attuare il sogno di Dio.

Il sogno di Dio è presto detto: fare dell’umanità la sua famiglia. Lui l’ha creata così, ma in un giorno si è sfasciata. La storia umana è la storia della disgregazione, dell’odio, delle guerre e delle violenze. Il sogno di Dio è riportare tutti i figli assieme, a tavola, rifare la famiglia. Siamo sicuri che è così, perché è quello che ci detto Gesù alla fine della vita, nella preghiera del giovedì santo: “Padre, che tutti siano una cosa sola, come io e te siamo una cosa sola, anche loro in noi siano una cosa sola”.

Questa parola, che esprime il sogno, il desiderio di Dio, risuonò in maniera nuova nel rifugio dove le ragazze di Trento si rifugiavano durante bombardamenti della seconda guerra mondiale. L'unica cosa che si portavano con loro era il Vangelo, che leggevano a lume di candela. Comincia così la storia di Chiara e delle sue compagne, una storia tutta evangelica. Tutti carismi nascono dalla lettura del Vangelo, l'Evangelo, ma a un certo momento lo Spirito Santo illumina ognuno su una parola o alcune parole in modo particolare.

La parola che si illumina durante questi momenti di buio è quella che leggono al capitolo 17 del Vangelo di Giovanni: “Padre, che tutti siano una cosa sola…”. Questa è la parola che folgora Chiara. E poi lo ripeterà sempre. Per cosa siamo nati? Siamo nati per realizzare questo desiderio, il desiderio di Dio: creare l'unità fra tutti.

Come collaborare all’unità, alla realizzazione del sogno di Dio? Ecco quattro parole.

La prima è già contenuta nella preghiera di Gesù: tuttiÈ il punto di arrivo. L'unità ha una meta. Tutti. Tutti. Tutti. Tutti. Tutti. Tutti sono candidati all’unità. L'unità che ci è data non è per noi, è per costruirla l'unità.

Coinvolgere tutti, i membri dei diversi carismi, quegli antichi, quelli moderni, i vescovi, i sacerdoti, i religiosi… delle altre Chiese, delle altre religioni, il mondo della politica, il mondo della cultura, il mondo laico…

Nessuno escluso: “Tu, io, il lattaio, il contadino, il portiere, il pescatore, l’operaio, lo strillone... E gli altri tutti, delusi idealisti, mamme cariche di pesi, innamorati in prossimità di nozze, vecchiette spente in attesa della morte, ragazzi frementi, tutti... Tutti son materia prima per la società di Dio”.

I cittadini europei e gli immigrati, i poveri e i ricchi, tutti: ogni volta che vedo una persona deve avere uno sguardo nuovo nei suoi confronti; non posso dire, come mi verrebbe naturale, questo è simpatico, questo è antipatico, questo mi piace, questo non mi piace, questo parla come me, questo ha un accento straniero…

Occorre lo sguardo di Dio, che in ognuno vede un figlio suo, una figlia sua.  Essere cristiani vuol dire... Avere lo sguardo di Dio, avere gli occhi di Dio. Che tutti siano uno. Tutti. Senza esclusione di nessuno.