È stata
pubblicata appena la biografia di p. Camillo Bianchin. Ecco la mia
presentazione:
Una calma olimpica, quella di Camillo. Una volta andammo
insieme in piscina. Ci sedemmo sul bordo, scambiammo alcune parole, poi mi
gettai in acqua. Io avevo già fatto due, tre vasche e lui, ancora seduto sul
bordo, continuava a bagnarsi lentamente e lentamente cominciò a immergersi
nella piscina: gli ci voleva un tempo infinto. Una volta in acqua, un delfino… E
quando arrivava regolarmente in ritardo ad ogni incontro, ad ogni appuntamento?
A volte, devo dire la verità, la cosa mi irritava un po’. Ma quando appariva
con il suo solito sorriso disarmante ricompensava di ogni attesa.
Capitano di lungo corso, Camillo, fatto non per lo sprint
dei centro metri, ma per la durata della maratona. E di strada ne ha percorsa,
fino agli ultimi anni della sua presenza serena e operosa a Saccolongo, con i
frati anziani e ammalati, con i quali ha saputo stare al passo, infondendo gioia
e pace. Le ultime volte che ci siamo incontrati è stato proprio in questa sua
comunità, ormai persona luminosa, che aveva raggiunto una grande umanità e
profondità spirituale.
Una vita, la sua, che testimonia una stagione ecclesiale
tumultuosa e insieme ricca, creativa, guidata da idealità e speranza; speranza
teologale, che è certezza nonostante tutto, perché sa che il disegno di Dio si
realizza comunque. L’ha descritta bene Paolo Baldisserotto, l’amico di sempre,
a cui va tutta la nostra gratitudine. Scrivendo di p. Camillo ha fatto rivivere
a tanti di noi tratti fondanti della vita che con lui abbiamo condiviso.
Mi sembra significativo il primo scritto di Camillo
riportato in queste pagine. Certamente prima di allora avrà scritto altre cose,
ma questa lettera, indirizzata a p. Andrea Balbo il 19 maggio 1969 per
comunicargli l’esperienza vissuta nella Mariapoli di Bassano, è come il
preludio in una sinfonia, enuncia il tema di tutta l’opera, in questo caso, di
tutta la sua vita: «È stata quell’unità “divina” che spirava in Mariapoli a
darmi una svolta decisiva. La chiamo “divina” perché non riesco a spiegarla a
parole. È una realtà troppo bella e perfetta. È stato l’amore parlato in ogni
circostanza, calato in ogni attimo presente che lentamente mi ha liberato da
tutti i complessi psico-fisici e che mi ha reso semplice e bella, bellissima la
vita francescana. Più bella di quella ideata in noviziato: più bella, perché
più semplice!». C’è già tutto: unità, amore, vocazione francescana; saranno le
coordinate che daranno l’orientamento costante al suo cammino. Unità da una
parte, vita francescana dall’altra, in mezzo l’amore. Con queste tre parole
Camillo ha sintetizzato il cammino fatto da tanti religiosi che fin dagli anni
Quaranta erano venuti in contatto con il Movimento dei Focolari – come lui a
cominciare dalla Mariapoli di Bassano.

Religiosi nei quali brillava la propria vocazione, il dono
che Dio aveva riversato su di loro attraverso il carisma dei fondatori. Per
Camillo era il dono che gli era giunto attraverso san Francesco. Può esserci
vocazione più bella di quella francescana? E allora che cosa gli mancava, per
dover andare dai focolarini? Non gli mancava niente, perché ogni dono di Dio è
completo in sé. Ma Camillo, come prima di lui tanti altri Francescani, a
cominciare da Bonaventura Marinelli, Raffaele Massimei, Angelo Beghetto, Andrea
Balbo, e da religiosi di tante altre famiglie, ha scoperto un “di più”: la
possibilità di vivere la propria vocazione in “unità” con altre vocazioni –
questa la grande scoperta! –, condividere il dono ricevuto, perché nella
comunione ognuno si arricchisce del dono dell’altro e vede risplendere il
proprio di luce nuova.
Ecco dunque la terza parola, la più semplice, la più
profonda, la più vera: “amore”. Cos’è che lega religiosi di ordini e istituti
tanto diversi? L’amore reciproco. Il Movimento dei Focolari ha questo come
proprio dono specifico da condividere nella comunione con gli altri doni:
offrire lo spazio perché il comandamento nuovo dell’amore reciproco venga
vissuto non soltanto tra le singole persone, ma tra le più diverse realtà
ecclesiali, prime fra tutte le differenti famiglie e comunità religiose. Lo
scriveva già nel 1950 la fondatrice, Chiara Lubich, che fra l’altro, come
testimonia questo libro, ha avuto tanta parte proprio nella vicenda personale di
p. Camillo. Quale frutto dell’esperienza di comunione che lei viveva con tanti
religiosi e della sua intuizione carismatica, afferma: «Noi dobbiamo soltanto
far circolare fra i diversi Ordini l’Amore. Si devono comprendere, capire,
amare come Si amano [tra di loro] le Persone della Trinità. Fra essi c’è come
rapporto lo Spirito Santo che li lega, perché ognuno è espressione di Dio, di
Spirito Santo». Ella può offrire “la tecnica dell’unità”, “l’arte di amare”, il
rapporto con Gesù Abbandonato espressione massima dell’amore, di cui il suo
carisma la rende maestra. La sua è come la missione di Maria che nel cenacolo
lega tra loro gli apostoli senza avere la missione dell’apostolo.
Camillo ha imparato ad amare, con una concretezza
proverbiale, che lo ha reso attento a ogni persona. Per lui ogni persona era
unica e a lei si dedicava con pazienza, con la sua solita calma, diventata ormai
una virtù provvidenziale, che gli consentiva di cesellare ogni anima, di non
lasciare da parte nessuno, di accompagnare fino in fondo, fino al compimento
della missione.
Amore personale che è diventato amore “collettivo”, verso il
popolo della parrocchia, delle comunità di cui faceva parte, dei gruppi che gli
venivano affidati. Amore verso le altre famiglie religiose, che lo ha portato a
dare vita a iniziative intelligenti e creative, ben al di là della propria
famiglia.
Proprio questo esercizio d’amore e d’unità, con tutti e
verso tutti, ha avuto come effetto quello di renderlo autentico francescano,
una persona libera, generosa, nella perfetta letizia.
Un percorso che può continuare ad essere specchio per tanti
che vogliono vivere in pienezza la propria vocazione, qualunque essa sia. Basta
che sia vissuta in unità e nell’amore.