Così parcheggiò
in via del Pellegrino (non sapevo neppure esistesse una via del Pellegrino),
sbrigo le partiche mentre il fratello rimane in macchina, e prima di risalire vedo
proprio davanti a me la modesta facciata di una chiesetta; neppure di questo
conoscevo l’esistenza, ci sono ben altri monumenti in Vaticano! È la chiesa di
san Pellegrino. Entro e non credo ai miei occhi. Silenzioso, nella penombra, mi
appare un grande Cristo nell’abside dietro l’altare. Ne sono come magnetizzato
tanto è bello. Gradatamente scorgo gli altri affreschi. Sono entrato in un
tempio d’arte e di storia.

Ascolto Antonio
Paolucci, fino a poco tempo fa direttore dei Musei Vaticani:
“Qui i
pellegrini ringraziavano il Signore per il buon esito della loro avventura, qui
negli ospizi e nelle infermerie annesse trovavano accoglienza e conforto: un
pasto caldo e un giaciglio, cure per i malati, consigli per la visita alle
basiliche, alla Scala Santa, alle infinite prodigiose reliquie di cui
brulicavano le chiese di Roma. In ginocchio di fronte al Cristo Pantocratore
affrescato nel catino absidale e oggi dopo infinite ridipinture e restauri
ridotto all'ombra dell'ombra di quello che era, i cristiani d'Italia e d'Europa
capivano che la felicità è la fine del viaggio, che il viaggio è metafora della
vita, che il Paradiso attende ogni credente sotto il cielo”.
La chiesa in
seguito divenne la cappella delle Guardie Svizzere, poi un pollaio, ora la
cappella della Gendarmeria vaticana.
Un gioiello
piccolo, nascosto, nell’immenso tesoro vaticano. Rimane un luogo nel quale si
può pregare e contemplare, come gli antichi pellegrini, quel Cristo glorioso
che è la vera meta di ogni viaggio.
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