mercoledì 3 maggio 2017

Il segreto di Mario Borzaga: Gesù Abbandonato


 Nella prima pagina del diario, 1 ottobre 1956, Padre Mario ricorda la visita di un focolarino, ingegnere dell’Olivetti: “Dopo cena parlava a studio e ognuno era libero di andarlo a sentire: io non ci sono andato, benché mi osi spacciare, davanti alla folla del mio, d'essere il primo focolarino d'Italia unicamente perché vicino di casa della Fondatrice. L'amore di Gesù sostituisce tutto, dalle conferenze mancate alle vicinanze di casa.”. Pochi giorno dopo, il 7 ottobre, a P. Galletto, un gesuita venuto per una serie di conferenze, domanda udienza  “per chiedergli cosa ne pensasse lui del focolare: ne era entusiasta”.
Il 22 gennaio 1957, vedendo le proprie incoerenze, si domanda: “Tante belle meditazioni sulla carità, sull’amore, sono dunque state inutili?” e prosegue: “Altro che Focolare, che ideale!”. Il 22 febbraio 1957, giorno dell’ordinazione sacerdotale, benedice i focolarini che sono venuti a trovarlo. Pochi giorni dopo andrà anche in focolare a Torino. Invidia l’atmosfera che vi si respira (10 marzo). Accoglie con gioia “Angiolino dei focolare perché stasera faceva la conferenza sul Papa. Mi piacque moltissimo il discorso di Angiolino: il Papa dell'Unità: anche il Papa, come già il Cristo, ci raccomanda di amarci; di vedere Gesù nel fratello; di amare Gesù ovunque” (12 marzo).

Presto i contatti con il Focolare si affievoliscono, anche perché qualcuno dei suoi compagni, troppo petulante e fervente, glielo rendono un po’ antipatico. Ma soprattutto Mario non se la sente di legarsi a un Movimento, vuole essere un uomo libero: “Lo andavo pensando da tempo. Avevo impiegato cinque anni per conquistare, a prezzo di sforzi, l'ideale del Focolare; ma quando più mi sentivo tranquillo e ben stabilizzato, tutto è crollato, ma ora mi è perfettamente indifferente. Gesù è grande! Non è legato a nessuna formula, ad alcun sistema, ad alcuna idea” (28 marzo 1957). Mario è un uomo indipendente e cerca una sua vita di santità. Ne rimane però segnato dall’esperienza. Il 11 dicembre 1958, ad esempio, “secondo l’uso del focolare mi sono scelto una frase della scrittura…»,
Ciò che soprattutto eredita da Chiara Lubich è il cuore della sua spiritualità: Gesù Abbandonato.
Già il 26 ottobre 1956 il diario registra il primo accenno a Gesù abbandonato, quando esprime il desiderio «che la mia infedeltà diventi Amore e Luce sull'altare di Gesù abbandonato e sofferente per le mie colpe». 23 novembre 1956: “Anche i miei peccati Egli ha assimilato a sè, Egli se ne è totalmente caricato, cosicché un giorno sul Golgota, questo divino peccatore scontò un'atrocissima pena, gustando e assapo­rando l'amarezza del mio peccato con l'abbandono da parte del Padre. Quando io pecco, ancora risiedo nel suo Cuore, non vengo respinto dal Padre; Dio non m'abbandona più, perché in questo dolorosissimo abbandono s'è sostituito Gesù sul Calvario: Gesù s'è lasciato abbando­nare al mio posto (…). Voi poi, fratelli miei, sappiate che i vostri dolori sono i miei dolori, le vostre gioie, gioie mie; (…) voglio essere simile a Gesù abbandonato, voglio prendere su di me tutte le vostre colpe, il vostro male (…) per annullare il vostro abbandono”.
Il 7 dicembre 1956, si sente “carico di colpe” e di domanda se non sia “come Gesù abbandonato”. 27 maggio 1957 parla ancora di Gesù abbandonato e di nuovo il giorno successivo.

Giunto nel Laos, Mario avverte il grido del dolore che gli si innalza attorno e si sente quasi schiacciato dalla miseria materiale e spirituale che lo circonda. I testi sono numerosi. “Ora è veramente notte, la notte di uno dei tanti venerdì della mia vita religiosa: assomiglio un po' di più a Gesù abbandonato. (…) La mia notte ha solo una fiaccola: la Fede. Ancora mi piace credere. E' impossibile che Gesù mi abbandoni, che lo Spirito Santo non venga a riempire il mio cuore” (14 giugno 1957). “… nella nostra anima, si frammischiano il tutto e il nulla: il supremo tutto e l'infimo nulla. ... Intanto medito Gesù abbandonato perché mi ha preceduto in questa via” (17 giugno 1957).

Il Diario della mia solitudine comincia con queste parole: “Il grido del dolore. Impossibile non sentirlo. È davanti al mio cuore di sacerdote e di Padre. Vorrebbero essere guariti subito, dovrebbe passare Gesù tra di loro. Io lo sostituisco il divino Maestro che passava facendo del bene a tutti. Almeno lo dovrei sostituire. E il grido del male che sale al mio cuore. L’urlo al quale nessuno può rimanere insensibile. È grande come la terra e straziante come il Dolore di Gesù sulla Croce. Perciò lo devo intimamente sentire. Il mio grido”
Non si sarebbe mai immaginato che il contatto con la gente lo facessi soffrire così tanto. Sapeva che gli Oblati sono, per vocazione, i missionari dei poveri, ma che i poveri fossero così poveri non se lo sarebbe aspettato.
In quel contesto di miseria, di solitudine, di incomprensione, il grido di Gesù in croce, che Mario aveva sentito riecheggiare nella sua gente, diventa il suo stesso grido: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?. È il grido di Gesù. Io non mi ritrovo più perché non ritrovo più il Signore. È la solitudine. In marcia verso Phon Hom con la fame che urlava nello stomaco; in marcia verso Nong Lieng con l’acqua fino alle cosce; in marcia di ritorno verso Keng Sadok con la disperazione di essere infinitamente mediocre. Ma non è nulla. Cammineremo ancora” (12 agosto 1958).

Quante volte, negli anni di formazione, aveva ripetuto: «Ho un solo sposo sulla terra: Gesù abbandonato». Glielo aveva suggerito uno scritto di Chiara Lubich, intitolato proprio Ho un solo Sposo sulla terra. Il testo sarà pubblicato soltanto nel 1959, ma Mario l’aveva letto su un quadernetto ciclostilato che girava per i focolari. La spiegazione del senso di questo mistero, “Gesù Abbandonato”, lo aveva ritrovato nel libro di Igino Giordani, La divina avventura, che ha sempre portato con sé, anche nel Laos, e che raccomandava alla sorella. Quella meditazione di Chiara l’aveva imparato a memoria, come racconta lui stesso.
Negli anni di studio ritornavano sovente nel diario citazioni esplicite di questa pagina di Chiara, quali: “Tutto ciò che mi fa male è mio”; “ma occorre essere come Lui, nel momento presente della vita”; o ancora: “Voglio vivere Gesù abbandonato”; “Voglio essere simile a Gesù abbandonato”.
Allora era un desiderio, un proposito. Ora, nel Laos, è una realtà, dura e vera. Non c’è più poesia nel suo diario, ma soltanto smarrimento, desolazione, buio. Non poteva essere diversamente per un giovane lasciato solo in villaggi sperduti sulle montagne, in mezzo a difficoltà di ogni genere, tra un popolo dalla lingua difficile. Il 27 agosto, giorno del suo 26° compleanno, scrive: “Avevo detto e imparato a memoria che «tutto ciò che mi fa male è mio». È passato il tempo felice della speranza di essere santi: è venuto il tempo di esserlo; è passato il tempo soave delle belle promesse: è venuto il tempo atroce di mantenerle”.

Una delle ultime pagine del diario, subito prima del martirio, è eloquente: “Io mi sento molto cattivo, brutale, nervoso nelle risposte e pessimista nei miei pensieri. (…) oh, se fossi capace di amare: «Tutto quello che mi fa male è mio, ho un solo sposo qui sulla terra Gesù abbandonato». Oh, se sapessi attendere ognuno che viene a trovarmi come si attende la visita dell’amato! Se fosse qua il Signore in persona forse lo amerei un poco di più. Avanti caro Mario, fa di tutto con entusiasmo per guadagnarti anche un pezzetto di Paradiso. Gesù o si ama con entusiasmo o non lo si ama per nulla” (29 marzo).
Gesù abbandonato non è più una realtà da contemplare, non è più soltanto un modello a cui tendere, non è nemmeno il negativo di chi gli sta attorno; è la verità della vita di Mario, il suo segreto: Mario stesso è divenuto Gesù abbandonato. Proprio adesso che si sente così lontano dal diventare santo si compie il suo cammino di santità. La conclusione a cui giunge è lapidaria: «È assurdo ma posso essere santo. Quindi lo devo».


Nessun commento:

Posta un commento