lunedì 26 gennaio 2015

A Saint Pierre d'Aosta vita consacrata e Chiesa locale

Castello di Saint Pierre
Priorato di Saint Pierre

Ieri Torino mi ha accolto piena di luce, con un cielo limpidissimo. Dall’alto  ha fatto sfoggio di tutta la sua bellezza, mostrandosi in ogni più minimo dettaglio, da Superga alla Mole Antonelliana, dal Po che l’accarezza ai palazzo reale. Poi su nella Valle d’Aosta, tra le montagne innevate, con i castelli che da destra a sinistra salutano al passaggio.
Oggi, per la prima volta sono stato a Saint Pierre, il paese che accoglie l’antico priorato dei Monaci di san Bernardo, ora casa di incontri e di spiritualità della diocesi. Una struttura che conserva il fascino delle pietre antiche e delle architetture massicce della montagna.
Gli Oblati, scacciati dalla Francia dalle leggi anticlericali del 1902, vi giunsero l’anno successivo portandovi il loro noviziato. Era la loro prima casa in Italia, dopo quella di Roma. Vi sono rimasti fin dopo la prima Guerra mondiale.

Ho trascorso la mattinata con una ottantina di sacerdoti e religiosi della diocesi, vescovo in testa. Ho potuto donare loro una visione positiva della vita consacrata oggi nella Chiesa e la bellezza di questa vocazione, così come Dio l’ha pensata.
Ho terminato evidenziando la reciprocità dei doni che possono scaturire dal comune cammino ecclesiale della vita consacrata e della Chiesa locale.


Le persone consacrate possono offrire la testimonianza del primato di Dio, della sequela di Cristo, dell’essenzialità del Vangelo come regola suprema di vita, della fraternità, e insieme condividere le vie della santità aperti dai loro fondatori e fondatrici. Possono arricchire la Chiesa locale dei più vari ministeri e offrire le competenze di servizi apostolici, pastorali, caritativi specializzati. Aiutare a leggere i segni dei tempi. Essere disponibili per compiti difficili e ingrati. Tenere aperta la Chiesa locale sul mondo intero, fare da ponte con le altre Chiese, dilatare la carità e l’orizzonte missionario. In una parola possono svolgere una funzione di segno e insieme di profezia.

A sua volta la Chiesa locale può offrire una tradizione di fede radicata sul territorio, la religiosità popolate, la concretezza del contatto con le persone, così urgente per i consacrati e le consacrate per superare il rischio «di essere talmente universali che diventano non-particolari. La vera universalità si esprime, prende corpo, nel particolare. Un “buon particolare” non è mai astrazione dall’universale... è vita concreta in cui è già presente l’universale». La Chiesa locale quando sente le persone consacrate non come corpo estraneo, ma come parte della propria comunità, può offrire la condivisione di gioie e difficoltà, può assumere i loro problemi, e può «collaborare con esse, nella misura del possibile, per il perseguimento del loro ministero e della loro opera, che sono poi quelli dell’intera Chiesa». Di qui l’invito rivolto da papa Francesco: «Fate sentire loro l’affetto e il calore di tutto il popolo cristiano».


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