venerdì 28 febbraio 2025

Parva ma sancta Congregatio

Sì, per sant’Eugenio la sua famiglia è piccola e tanto limitata, ma nello stesso tempo è “santa”. Nella formula di oblazione ci insegna a dire: “faccio voto di perseverare fino alla morte nel santo Istituto e nella Società…”. Ogni mattina, pronunciando questa “formula”, penso a quanto noi Oblati siamo fragili, peccatori, “una specie di Gesuiti di campagna”, come li definiva il dizionario Larousse. Tante volte a sant’Eugenio, guardando i suoi compagni, cascavano le braccia! È come quando guardiamo la Chiesa: è una Chiesa di peccatore, ma una delle sue note caratteristiche è quella di essere Santa, perché in essa c’è il Santo, è il corpo di Cristo, il tempio dello Spirito!

Così gli Oblati. Più uno ci sta dentro più ne scopre le debolezze e povertà. Ugualmente, più uno ci sta dentro più scopre la bellezza di questa vocazione. È una famiglia santa: se la sono formata il Salvatore e Maria Immacolata. È una famiglia di santi e beati. Allora vale la pena perseverare, fino alla morte, in questa famiglia, così com’è, così come Dio l’ha pensata e amata.

giovedì 27 febbraio 2025

Parva Congregatio

Per il mio ufficio sto facendo un lavoro di edizione minuzioso e puntuale, più adatto a un certosino che a un oblato. Comunque questo mi rimette tra le mani tanti fonti preziose, come la Regola di sant’Eugenio del 1825. Gli Oblati si stanno infatti incamminando verso i 200 anni dall’approvazione della Regola e della loro famiglia. Allora non c’erano fotocopie o pdf e sant’Eugenio arrivò a Roma con una sola copia della Regola che voleva fare approvare dal Papa. L’aveva copiata in bella scrittura p. Jeancard, un letterato. Ma quella copia doveva rimanere nell’Archivio del Vaticano e occorreva un’altra copia da riportare a casa. Un po’ per i tempi stretti, un po’ per mancanza di soldi sant’Eugenio pensò che faceva prima e gli costava meno copiarsela tutta lui in tempo di record.

Oggi ho ripreso in mano quella copia. Non è scritta con la bella grafia di p. Jeancard, le righe tendono un po’ verso il basso… ha fatto quello che ha potuto. È comunque un un'opera preziosa. Ma soprattutto vale il contento. A cominciare dalla prima riga, anzi dalle terza parola: “Finis hujus parva Societatis…”. Il fine di questa “piccola” Congregazione. Piccola, commentava già pochi anni dopo p. Yanveaux, non si riferisce all’esiguità del numero dei suoi membri, ma alla “loro umiltà, alla loro modestia e alla loro semplicità”, senza rivalità nei confronti degli altri ordini o congregazione, verso i quali occorre invece mantenere una grande stima.

“Parva” mi fa pensare anche a tutti i nostri limiti, alle fragilità che ci sono tra di noi. Chi è all’altezza della vocazione? Sapienza è accettare le nostre debolezze, l’inadeguatezza, essere riconciliati con le nostre povertà. E come sarà il futuro? Avremo energie e capacità per affrontare le sempre nuove sfide? Fiducia e speranza è fidarsi di Dio che nella sua provvidenza vede e provvede anche ai fiorellini del campo.

Sì, “parva”, piccola congregazione, senza pretese: servi inutili che svolgono la missione che Dio ci ha affidato, con gioia e con le forze che abbiamo, fino all’ultimo, “usque ad internicionem”, come scriveva sant’Eugenio nella Regola.

mercoledì 26 febbraio 2025

Da 100 anni gli Oblati nel Chaco

 

Con una pubblicazione all’anno Oblatio Studia (il supplemento della rivista Oblatio) è arrivato al 13° volume. Complimenti! Ho infatti appena pubblicato l’opera di Miguel Fritz: 10 anni di presenta Oblata nel Chaco.

Arrivarono in 5, dalla Germania. Vivevano sulle rive del fiume Pilcomayo, di fronte all'Argentina, in una zona occupata dai soldati boliviani. Sapevano poco o nulla del fatto che quella regione era oggetto di contesa tra Bolivia e Paraguay. Arrivarono nel Chaco boliviano, su richiesta del presidente boliviano Saavedra e inviati da “Propaganda Fide” del Vaticano.

Il libro offre un saggio di cosa sia stata quell’epopea, con lo scoraggiamento (infatti, presero la decisione di abbandonare la missione, ma poi sono rimati…), i vari ostacoli: il caldo, le inondazioni, gli incendi, le povertà; ma anche da parte delle autorità militari ed ecclesiastiche… Senza dimenticare le prove causate dai limiti e dagli errori umani.

Fu un incredibile mix di tenacia, obbedienza, creatività e certamente anche di Spirito Santo che protesse gli Oblati in questa parte del Chaco, che da “boliviano” divenne “paraguaiano”, un bel cambiamento. Ma il cambiamento maggiore fu quello della visione missionaria: dal “salvare le anime” al salvare un’intera cultura, un gruppo etnico. “Ci hanno salvati”: è quanto è rimasto immortalato nella memoria viva del popolo Nivaĉle. Si allargava anche il territorio nel quale gli Oblati operavano, raggiungendo altri popoli indigeni (e non indigeni). Quando, alla fine degli anni '30, a seguito della guerra del Chaco, gli indiani Guaraní furono portati nel Chaco paraguaiano, si aprì ancora un altro campo di missione…

Nell’introduzione il Padre Generale scrive: «Se in questo libro sono evidenti le diverse e numerose occasioni in cui l’azione dei missionari riesce a salvare un popolo dall’estinzione, possiamo anche leggere come quello stesso popolo “salva” i missionari dalle loro idee e perfino dalla loro ecclesiologia, chiamiamole etnocentriche. In questo senso, non solo i Nivaĉle possono dire che i missionari “ci hanno salvato”, ma anche i missionari possono dire che i Nivaĉle “ci hanno salvato”, perché leggendo questi documenti possiamo vedere l’evoluzione della mentalità dei missionari prodotta grazie al contatto e al cammino mano nella mano con i popoli indigeni».

martedì 25 febbraio 2025

Testimoni della grandezza e piccolezza di Dio

 

Oggi, con la visita ai luoghi dove ha vissuto la Piccola sorella di Gesù, sr. Magdeleine,  è terminato il corso sui Fondatori a Roma con 85 studenti. L’accoglienza delle Piccole sorelle è sempre una testimonianza eccezionale. Quella di cui parlò Giovanni Paolo II quando il 22 dicembre 1985 andò a trovare la piccola sorella Magdeleine. Dopo aver pregato in silenzio nella cappella il Papa con la Piccola Sorella nel suo ufficio… Rimasero un po’ soli a parlare, ma presto Mons. Stanislas Dziwisz, il segretario, fece cenno alla piccola sorella Carla, la responsabile, di entrare e insieme andarono in sala dove, rivolgendosi alle suore, il Papa disse, tra l’altro:

"… voi siete “piccole” sorelle, quindi dovete avere un rapporto con il “piccolo” Gesù, soprattutto con lui, il piccolo, il “piccolissimo” Gesù… Voi volete dare una testimonianza in silenzio, volete testimoniare Gesù Cristo, la grandezza e la piccolezza di Dio. Voi date questa testimonianza senza parole… dovete dare testimonianza, anche senza parole. Dovete testimoniarlo attraverso la vostra identità. A volte mi sono anche chiesto perché sono sempre in silenzio, perché non parlano? Ma capisco sempre di più che è giusto, che dobbiamo - in questa grande ricchezza, in questa grande diversità di vocazioni nella Chiesa - anche questa vocazione del tutto eccezionale, questa vocazione di presenza, l’apostolato di presenza per testimoniare la verità, la realtà di Dio, di Dio che non può essere espresso con nessuna parola umana… Quindi è un buon modo per esprimerlo senza parole, per esprimerlo nel silenzio, nella contemplazione, nell’adorazione, nell’amore".

lunedì 24 febbraio 2025

Ancora dalla Theotokos

 

Ancora una volta accompagno al giubileo, in Santa Maria Maggiore. Ancora guido alla visita della basilica… E racconto la solita bella storia…

La leggenda racconta che la mattina del 5 agosto 352 gli abitanti del colle Esquilino ebbero una strana sorpresa: durante la notte era caduta la neve ed un soffice manto ne ricopriva un tratto. Con tale prodigio la Vergine Maria aveva indicato, ad un patrizio di nome Giovanni ed a sua moglie, che in quel luogo desiderava fosse eretto un tempio in suo onore.

Da gran tempo i due anziani coniugi, che non avevano avuto figli, desideravano impiegare le loro ricchezze in un’opera che onorasse la Madre di Dio e, a tal fine, la pregavano con fervore affinché mostrasse loro in qual modo potessero esaudire il desiderio. La Vergine, commossa dalla pietà dei due, sarebbe apparsa loro in sogno dicendo che nel luogo ove la mattina seguente avessero trovato la neve caduta miracolosamente durante la notte, dovevano edificare, a loro spese, una chiesa dedicata al nome di Maria.

Emozionato dal prodigio, il mattino seguente Giovanni si recò da papa Liberio (352-366), a narrargli l’accaduto: il pontefice aveva, durante la notte, sognato la medesima cosa! Liberio, seguito dal patrizio Giovanni e da un grande corteo di popolo e prelati, si recò sull’Esquilino e, sulla neve ancora intatta, segnò il tracciato della nuova chiesa, che fu edificata a spese del patrizio e di sua moglie.

I mosaici medioevali della facciata narrano questa leggenda di fondazione e proprio dal nome di questo papa prende anche il nome di basilica Liberiana.

Della basilica di papa Liberio non abbiamo più traccia. L’attuale è dovuta a papa Sisto III, ed è iniziata nel 432, un anno dopo il concilio di Efeso, celebrato nel 431. L’intenzione di papa Sisto III, nel progettare la basilica, nel dedicarla a Maria e nell’ispirarne la decorazione è chiaramente programmatica: vuole che celebri in Roma la verità riconosciuta dal concilio, cioè che Maria deve essere giustamente detta Madre di Dio, perché madre dell’unica persona divina di Gesù.

 

 

domenica 23 febbraio 2025

Un futuro di gioia e di speranza

 

Sto cercando una foto conservata in qualche disco esterno: come cercare un ago in un pagliaio. Non l’ho ancora trovata, in compenso ne ho riviste tante altre che non ricordavo di avere.

Come questa, del 2010. Ma che staranno guardando tutti questi religiosi? Mi sembrano tutti protesi verso un futuro pieno di gioia e di speranza. Alcuni, almeno quattro, hanno già raggiunto il futuro definitivo. Gli altri… siamo protesi verso quel traguardo… pieni di gioia e di speranza.

sabato 22 febbraio 2025

La croce oblata di Giovanni Santolini

 

Sto preparando il ritiro mensile per la comunità oblata di Marino. Questa volta sarà sulla Costituzione 4: la croce oblata. Così mi è tornata tra le mani la lettera che p. Giovanni Santolini scrisse il 7 agosto 1978, ben tre anni prima dell’oblazione perpetua, per chiedere se poteva avere la croce oblata di p. Roger Buliard, l’autore di un fortunato libro, Inuk, sulla storia delle missioni degli Oblati nelle terre artiche. Era il libro che aveva aiutato Giovanni nel discernimento per la vita missionaria. La lettera era indirizzata a p. Michel Dupuich su suggerimento di p. Italo Miceli che lo conosceva: era stato economo generale e il quel momento si trovava in Francia dove p. Buliard era appena morto, il 4 giugno 1978.

Il superiore generale accordò che gli fosse consegnata quella croce e in un nota bene, in fondo alla lettera di Giovanni, scrisse: «Ho consegnato a G. Santolini la croce di p. Buliard, 17 novembre 1981». È bello rileggere quella lettera:

Marino 7/8/78

Reverendo Padre Michel.

Sono un Novizio della provincia italiana e con l’aiuto del Signore farò i primi voti alla fine di settembre prossimo.

Ultimamente, mentre dopo pranzo si parlava un poco, io espressi un mio desiderio, e P. Italo Miceli, che sta in comunità con noi, mi ha consigliato di rivolgermi a Lei; e ora le spiego.

Mi trovo ad aver scelto la nostra famiglia religiosa per un caso particolare. Ero in Seminario a Genova e dovevo essere ordinato Diacono, quando decisi di farmi Missionario. Ma quale istituto scegliere? La scelta non era facile, anche perché constatavo che ormai ogni nazione è paese di missione, e tanto valeva restare ad evangelizzare la mia città. Però sentivo forte la chiamata per i poveri; ma chi erano?

Nel bel mezzo di questo travaglio venni a conoscere le “Missioni del Nord” anche grazie al libro di P. Roger Buliard: “Inuk”. Ecco che il Signore mi suggeriva una strada per concretizzare il desiderio che mi aveva messo in cuore. Gli Esquimesi erano veramente “i più poveri”. Quindi io dovevo scegliere quella famiglia che aveva pensato a loro.

Scrissi subito al P. Generale e conobbi gli Oblati personalmente. Mi piacque molto lo spirito del Beato Eugenio e sentii che era anche il mio. Fu così che decisi di entrare.

Quest’estate con rammarico e dolore appresi la notizia della morte del P. Buliard con il quale mi sentivo particolarmente legato per motivi di stima e di affetto.

Penso che sarebbe bello continuare con lui questo rapporto così intimo che mi ha generato alla nostra famiglia, e per questo mi era sorto il desiderio di avere la sua croce di Oblato.

Penso che Lei stando lì in Francia avrà la possibilità di sapere se essa è già stata destinata per qualche museo o è già stata affidata a qualcuno. Nel caso non ci fosse nessun impegno per la sua destinazione gradirei portarla io.

So che Lei per i suoi impegni ha molti contatti con monasteri di vita contemplativa. Voglia affidare a quelle anime la nostra prima oblazione che faremo il prossimo 29 settembre.

La ringrazio per tutto quello che può fare per me e le assicuro un ricordo nella mia preghiera.

Sempre uniti nel carisma del nostro fondatore porgo i miei più sentiti ossequi.

devotissimo Giovanni Santolini

venerdì 21 febbraio 2025

Festa della Cattedra di San Pietro Apostolo

Tre pensieri a partire dal Vangelo della festa:

1. Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».

Pietro vive la C 2 della Regola degli Oblati (è uno dei nostri primi padri! I nostri primi padri, diceva sant’Eugenio, sono gli apostoli…): «Gli Oblati si impegnano a conoscere Gesù più intimamente…».
A ognuno è richiesta una conoscenza-esperienza personale sempre più profonda, in crescita costante. La conoscenza che Pietro ha di Gesù in quel momento non è ancora completa, tanto da essere rimproverato perché non pensa come lui; gli rimane da vivere un’altra parte della C 2: «Gli Oblati si impegnano… a immedesimarsi con lui, a lasciarlo vivere in loro».
Per arrivare alla vera conoscenza di Gesù Pietro deve passare attraverso la prova…

2. E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli».

La conoscenza di Gesù avviene soltanto attraverso “rivelazione”: è un dono di Dio. Lo stesso per l’apostolo Paolo: «Quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo…» (Gal 1, 15). «Nessuno può dire: “Gesù è Signore!” se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1Cor 12, 3).
Lo si conosce davvero soltanto nell’intimità della preghiera, nella contemplazione

3. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa…».

Pietro riconosce Gesù e Gesù riconosce Pietro. La conoscenza di Gesù illumina la conoscenza di noi stesso, ci riconosciamo in lui: «Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione» (Gaudium et spes, 22).
Comprendo appieno la mia vocazione, ossia la mia identità, nel rapporto personale con Gesù: lo conosco, sono da lui conosciuto, mi conosco…

 

giovedì 20 febbraio 2025

Chi dite che io sia?

 

“Chi dite che io sia?”. È la domanda che abbiamo sentito rivolgere da Gesù ai suoi discepoli. Ogni risposta implica un tipo di rapporto…

Chi è per me Gesù?

Il Figlio di Dio (Mt 14, 32)
Figlio Unigenito del Padre
Pieno di grazia e di verità
Dio da Dio
Luce da Luce
L’Amato, il Prediletto
Irradiazione della gloria ed impronta della realtà del Padre
Immagine dell’invisibile Iddio
Il Cristo, il Figlio di Dio vivente (Mt 16, 16)
La Luce del mondo

Il figlio di David (Mt 9, 27)
Il figlio primogenito della Vergine Maria
Il più bello tra i figli dell’uomo
Il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea (Mt 21, 11)
Colui che solo ha parole di vita eterna (Gv 6, 68)
Colui che comanda al vento e al mare (Mt 8, 27) …
Re dei Re e Signore dei Signori

L’Emmanuele
Il Dio vicino
Il Dio in noi
Il Dio con noi
Il Dio tra noi

Via che conduce al Padre
Verità che illumina le menti
Vita che dà vita alla nostra vita
Pastore buono e misericordioso
Compassionevole
In cerca della pecora smarrita
Medico dei corpi e delle anime
Che passa facendo del bene a tutti
Maestro
Parola di vita
Pane vivo disceso dal Cielo
Acqua viva
L’Amico
Il Fratello
Lo Sposo
Sempre fedele

Amore più grande che dà la vita
Agnello di Dio
Che prendi su di te il peccato del mondo
Amore annichilito
Servo e Figlio obbediente
Il mio Salvatore
Il Signore Risorto      
Il Signore mio e il mio Dio.

Ma cosa dice Gesù di se stesso?

Io Sono (Gv 8, 24, 28, 50; 13, 19)
Io sono
il pane della vita (Gv 6, 35)
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo (Gv 6, 51)
Io sono la luce del mondo (Gv 8, 12; 9, 5)
Io sono la porta delle pecore (Gv 10, 7)
Io sono il buon pastore (Gv 10, 11, 14)
Io sono la risurrezione e la vita (Gv 11, 25)
Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14, 6)
Io sono la vite vera (Gv 15, 1, 5)
Io sono re (Gv 18, 37)
Io sono Gesù, che tu perséguiti! (At 9, 5; 22, 8; 26, 15)
Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene,
L’Onnipotente! (Ap 1, 8)
Io sono il Primo e l’Ultimo (Ap 1, 17; 22, 13)
Io sono Colui che scruta gli affetti e i pensieri degli uomini (Ap 2, 23)
Io sono l’Alfa e l’Omèga, il Principio e la Fine (Ap 2, 23)
Io sono la radice e la stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino (Ap 22, 16) …

mercoledì 19 febbraio 2025

Il fondatore e il suo carisma

Quando penso alla figura del fondatore di un’opera carismatica nella Chiesa, Istituto o Movimento, mi viene naturale il riferimento alla descrizione che ne ha dato p. Marcello Zago. Egli ci ha insegnato a guardare al fondatore, in modo particolare a quello dei Missionari Oblati di Maria Immacolata, sant’Eugenio de Mazenod, come a: 1. Un santo da imitare, 2. Un fondatore da seguire, 3. Un maestro da ascoltare, 4. Un padre da amare, 5. Un intercessore da invocare.

Ma come facevo a dire queste cose ai Legionari di Cristo quando la relazione con il loro fondatore è un po’ problematica? Oggi ho tenuto infatti una lezione alla loro università, allora ho cercato di distinguere bene tra la persona del fondatore e il carisma. I fondatori stessi sono pienamente consapevoli di tale doverosa distinzione.

Sant’Angela Marici si considera «insufficientis­sima, et inutilissima serva», della quale Dio ha usato per la costruzione di un’opera che rimane di Dio.

San Camillo de Lellis scrive: «Ho detto essere questo miracolo manifesto, questa nostra fondatione, et in particolare di servirsi di me peccatoraccio, ignorante, et ripieno di molti defetti, et mancamenti, et degno di mille inferni». Se però Dio si è comportato così, scegliendo proprio lui, è perché egli «è il patrone, et può fare quello gli piace, et è infinitamente ben fatto». Non vi è quindi da meravigliarsi se «per mezzo d’un tale instromento habbia Dio operato, essendo maggior gloria sua che di niente facci mirabilia». «Sof­friva quando era chiamato fondatore, e aggiungeva subito: Il Fondatore è Dio, ed io non sono che un vilissimo strumento».

San Paolo della Croce si sente davanti a Dio «una sporchis­sima cloaca». Egli sa, però, come gli altri fondatori, che Dio si serve proprio degli ultimi per far risplendere maggiormente «le sue infinite misericordie perché le fà al più gran peccatore». «Oh grande Iddio! — esclama ancora guardando alle origini della sua famiglia religiosa —. E chi avrebbe mai creduto che questo puzzolentissimo peccatore dovesse camminare per queste vie!». Si considerava un «semplice volante» (un postino), che porta la lettera affidatagli dal padrone.

Il beato Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia paolina, ha scritto nel tuo testamento: «Sento la gravità, innanzi a Dio ed agli uomini, della missione af­fidatami dal Signore; il quale se avesse trovato persona più indegna ed incapace l’avrebbe preferita. Questo tuttavia è per me e per tutti garanzia che il Signore ha voluto ed ha fatto fare lui; così come l’artista prende qualsiasi pennello, da pochi soldi e cieco circa l’opera da eseguirsi, fosse pure un bel divino Maestro Gesù Cristo». La stessa immagine è ripresa da Madre Teresa di Calcutta, che si reputava una semplice matita con la quale Dio scriveva quello a lui piaceva. Chiara Lubich continua in questa stessa convinzione: «La penna non sa quello che dovrà scrivere. Il pennello non sa quello che dovrà dipingere. Lo scalpello non sa ciò che dovrà scolpire. Così, quando Dio prende in mano una creatura, per far sorgere nella Chiesa qualche sua opera, la persona non sa quello che dovrà fare. È uno strumento. E questo, penso, può essere il caso mio».

Si sente qui riecheggiare il paolino infirma mundi elegit Deus (cf. 1 Cor 1, 27), che mette in evidenza la potenza di Dio. Occorre sempre distinguere tra il dono di Dio – il tesoro, in questo caso il carisma – e il vaso di creta nel quale esso è contenuto (cf. 2 Cor 4, 7).

martedì 18 febbraio 2025

Il grande Bernardo

«Dio ha fatto e patito tante cose non per un’anima sola, ma per raccoglierne molte in una sola Chiesa, per formarne un’unica sposa».

Una delle tante perle che trovo nei sermoni sul Cantico dei Cantici di san Bernardo di Chiaravalle che sto leggendo con passione in questi giorni…

Papa Francesco ad agosto ha scritto una lettera sull'importanza di leggere i classici della letteratura. Non parla della grande letteratura cristiana eppure è di una ricchezza inimmaginabile. Avevo già letto tempo fa quest'opera di Bernardo, ma rileggerla adesso... mi sembra di leggerla per la prima volta... è segno che è una grande opera letteraria!

lunedì 17 febbraio 2025

Qual è il senso dei laici nella Chiesa?

Mattinata con la Famiglia carismatica di san Vincenzo Pallotti sul tema: “L’unità del popolo di Dio e il senso ecclesiologico delle diverse vocazioni”.

Tra le altre cose ho mostrato un grafico sulla Chiesa che permette di collocare, numericamente, i sacerdoti (207.000: 0,017%) e i consacrati laici (612.000 = 0,0246%), accanto ai laici (2.400.000.000). 

Davanti a questa immagine appare un po’ problematica la solita domanda su qual è il senso dei laici nella Chiesa (come se si chiedesse qual è il posto dell’acqua nel mare!). Verrebbe piuttosto da chiedere qual è il senso dei sacerdoti e dei religiosi!



domenica 16 febbraio 2025

Per favore, riportate il presepe in basilica

Prima i bambini, poi i ragazzi, poi i giovani e oggi gli adulti. San Giovanni in Laterano, San Pietro, San Paolo, e oggi Santa Maria Maggiore. Così vivo e faccio vivere il Giubileo.

Racconto di storia, di arte, di spiritualità, perché è tutto intrecciato, umano e divino, passato e presente. Sono monumenti vivi, che parlano ancora dopo centinaia di anni, e continuano a narrare cose sempre belle.

Mi dispiace solo che il presepe di Arnolfo di Cambio l’abbiano tolto dalla basilica e confinato nel museo. L’aveva scolpito nel 1291, su commissione del primo papa francescano. Erano passati meno di settant’anni da quando san Francesco aveva ideato il presepe “vivente” a Greccio.

Il capolavoro d’arte e di fede di Arnolfo di Cambio rilegato in un museo! Ma non è nato per stare in un museo, è nato ma per stare in basilica, oggetto di contemplazione e di preghiera dei fedeli, non per la curiosità dei turisti.

Io continuo a portarmi in cuore ognuno dei personaggi di quel presepe e non so in quale di essi vorrei identificarmi. In Giuseppe, con le mani saldamente appoggiate sul bastone, fedele al suo posto, in gioiosa e semplice contemplazione? Nell’ammirazione dei due Magi riccamente vestiti che stanno parlando tra di loro, forse scambiandosi le prime impressioni nel trovarsi davanti a un re bambino che va al di là delle aspettative? In quello inginocchiato, la testa sollevata, che non toglie lo sguardo dal Bambino? Oppure semplicemente nel bue e nell’asino che, estranei, si sentono comunque protagonisti? Vorrei essere ognuno di loro.

Per favore, riportate il presepe in basilica: è nato per stare lì, per tutti! È la basilica del presepe, che conserva i resti della culla di Betlemme. E fatecela vedere la scena di quel presepe!

sabato 15 febbraio 2025

Il cardinale Pacca: chi era costui?

Anche oggi, seguendo un’antica tradizione, la Famiglia oblata di Roma si è ritrovata in santa Maria in Campitelli per ricordare il 15 febbraio 1826. Quella mattinata sarebbe stata decisiva: se i cardinali avessero dato parere positivo, il papa avrebbe certamente approvato la Regola degli Oblati. Sant’Eugenio era rimasto d’accordo con l’usciere del palazzo che appena i cardinali avessero finito lo avrebbe avvertito. L’usciere se ne dimenticò, così sant’Eugenio se ne rimase tranquillo ad ascoltare le famose nove messe, fino all’una! Intanto però il parere dei cardinali era stato positivo. Due giorni dopo giunse l’approvazione di Leone XII.

La riunione si tenne nel palazzo davanti alla chiesa, dove abitava il cardinale Bartolomeo Pacca, che oggi riposa a destra del transetto della chiesa in un bel mausoleo.

Anche oggi l’ho ringraziato!

Di antica famiglia patrizia (Benevento 1756 - Roma 1844), Pacca, grazie alla passione per le lettere e per la storia, fu ammesso, giovanissimo, all’Accademia dell’Arcadia. Fu nunzio pontificio a Colonia, a Monaco e a Lisbona dove nel 1801 ricevette la berretta cardinalizia. Entrati i francesi a Roma nel 1808 fu chiamato alla carica di prosegretario essendo il Card. Consalvi, segretario di stato, forzatamente dimesso. Fu poi arrestato con Pio VII, dopo l’assalto al Quirinale del 6 luglio 1809, e subì una dura prigionia nel forte di Fenestrelle (Pinerolo). Nel 1813 poté riunirsi a Pio VII e fu di nuovo prigioniero in Francia. Il Papa lo volle a suo fianco nel giorno del suo ritorno trionfale a Roma, il 24 maggio 1814. Di nuovo in esilio con il Papa a Genova, quando durante i 100 giorni di Napoleone, Murat invase lo stato pontificio (marzo 1815).

L’apporto del Cardinale Pacca all’approvazione delle Regole degli Oblati è stato determinante. Basta ricordare che lo stesso Leone XII lo scelse come il Cardinale “più mite della Congregazione”, per permettere una facile approvazione delle Regole. Ed è il Pacca che ottiene dal Papa il 18 gennaio 1826 la semplificazione delle formalità abituali riducendo da sette a tre i cardinali esaminatori. Gli altri due cardinali, che si riuniscono nel suo palazzo di fronte S. Maria in Campiteli, dove il Fondatore è in preghiera, erano Pedicini e Palletta.

Nel suo Diario (11 luglio 1845) il Fondatore rivelerà in seguito che il Card. Pacca nel 1825-26 aveva proposto a Leone XII di crearlo cardinale, ma Eugenio aveva rifiutato per dedicarsi completamente all’evangelizzazione dei poveri. Nel 1845 andò a pregare sulla sua tomba nella Chiesa in Monticelli, dove era stato sepolto prima di essere traslato in Santa Maria in Campitelli.

 

 

 

venerdì 14 febbraio 2025

Ma l'ho poi detta quella cosa?

Un lettore attento mi ha chiesto: “Cinquant’anni per dire la stessa cosa in 1179 modi. Ma qual è la cosa che hai detto in 1179 modi?”. 

Avrei dovuto essere più preciso e scrivere: Cinquant’anni per cercare di dire la stessa cosa… Perché chissà se poi sono riuscito a dirla, pur essendomici provato 1179 volte.

La cosa che avrei voluto dire e che vorrei comunque dire, è semplice (che poi non è neanche mia): “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito…”.

Questo sì che sarebbe il grande annuncio! Per me e per tutti.

giovedì 13 febbraio 2025

50 anni per dire la stessa cosa in 1179 modi

 

L’anno santo 1975 aveva come tema “Rinnovamento e riconciliazione”. All’inizio dell’anno aprii il numero della rivista “Missioni OMI” con un articolo che introduceva al tema: “La riconciliazione con Dio e con gli uomini”. Rievocavo – pare adesso – governi di interesse personale e nazionalisti… governi dittatoriali, guerre che sconvolgono il Medio Oriente e il Sud Est asiatico, colpi di stato in Africa, ingiustizie perpetrate in alcuni Paesi dell’America Latina...”. Parlavo poi del bene nascosto, sul quale fare leva…

Era il primo articolo che pubblicavo (da ragazzo, qualche poesia…). Sono dunque 50 anni che ho iniziato a pubblicare.

Per celebrare questo anniversario oggi mi sono stampato (2 copie) un fascicolo che raccoglie la mia bibliografia di questi 50 anni: Bibliografia 1975-2024. Cinquant’anni per dire la stessa cosa in 1179 modi…

I titoli che ho annotato sono 1179, ma in fondo ho davvero scritto sempre le stesse cose...

Comunque mi faccio gli auguri: Ad multos annos.

mercoledì 12 febbraio 2025

La nostra sola regola è l’amore

Ho tenuto due lezioni sulla Regola all'Università Popolare Mariana. 

Oggi mi imbatto in quanto diceva san Filippo Neri riguardo alla sua opera, l’Oratorio: «La nostra sola regola è l’amore». Non l’ho citato nella mie due lezioni, ma è solo una bella variazione su un tema comune a tutti i fondatori.

Mi giungono intanto dei messaggi dopo l'ascolto e la visione dei video:

- Vorrei ringraziare di cuore tutto il team UPM per la prima lezione sugli statuti. Deve essere stata una grande e intensa collaborazione! Mi ha profondamente toccato e colpito, ha cambiato completamente il mio rapporto con gli statuti, ha collocato i “nostri statuti” nel grande insieme della Chiesa di Gesù Cristo, nella storia del cristianesimo.  Soprattutto l'espressione che padre Fabio ha usato quando ha detto: “Gli Statuti sono un'introduzione al Vangelo”.  (Svizzera)

- Grazie davvero per la bellissima lezione per l'UPM. Sentendola, ci si rinnamora degli statuti e delle regole... Viverle è un miracolo di fedeltà e creatività, tradizione e apertura al nuovo, vangelo di Gesù ed esperienza incarnata del Carisma nella vita del fondatore... Solo lo Spirito poteva inventarle e, viene da dire, solo tu potevi spiegarcelo così bene. (Manila)

- Molto bello e vitale quello che hai detto. Mi piace molto e mi sembra prezioso pensare alla Regola come un passaggio che introduce al Vangelo, il fondamento a cui tornare e ritornare costantemente. (Loppiano)

- Grazie del tuo intervento sulla Regola. Semplice, ma che "prende", rispetto ad altri in cui si fa fatica. Interessante che quando don Bosco spedì i primi giovanissimi missionari continuava a ripetere loro: "Don Bosco verrà con voi". Pieni di gioia non si capacitavano della cosa finché spiegò che lui andava veramente con loro nella Regola e volle addirittura immortalare l'intuizione in un segno iconico: è la prima fotografia voluta da don Bosco nel1875. Don Bosco è nell’atto di consegnare un libro a don Cagliero, capo della spedizione: sono le Costituzioni. La posa è voluta espressamente da don Bosco stesso. Egli desiderava dare rilievo a questo gesto che per lui aveva un profondo significato. È interessante leggere quanto a questo riguardo scrive don Rua: «Quando il Venerabile don Bosco inviò i primi suoi figliuoli in America, volle che la fotografia lo rappresentasse in mezzo a loro nell’atto di consegnare a don Giovanni Cagliero, capo della spedizione, il libro delle nostre Costituzioni». (Verona)


martedì 11 febbraio 2025

Diventare come lei...

Il Servizio comunicazioni della Chiesa Cattolica di Lussemburgo ha pubblicato il seguente articolo:

Parlando dell’incontro di sabato 8 febbraio, la prima parola che viene in mente è “luce”. Luce del sole nella sala, una giornata eccezionale, mentre fuori l'inverno e il suo grigiore non finiscono mai; luce degli occhi dei partecipanti, tra cui monsignor Fernand Franck, arcivescovo emerito di Lussemburgo; luce dei testi di Chiara Lubich (1920-2008) che hanno fatto da cornice alla condivisione. Presentate da Padre Fabio Ciardi, Oblato di Maria Immacolata (OMI), le poche frasi della Serva di Dio, Fondatore dei Focolari, sono perfette per accompagnare le nostre meditazioni in occasione del Giubileo dei 400 anni di devozione a Maria, Consolatrice degli afflitti.

«Penetrare nella più alta contemplazione e rimanere uomo accanto a uomo, perdersi nella folla, per informarla del divino, segnare sulla folla ricami di luce». Certo che la vita claustrale è meravigliosa, ma non è adatta a tutti. Padre Fabio sviluppa il pensiero di Chiara Lubich, con la quale ha collaborato per diversi anni: «Maria è nella più alta contemplazione ma è rimasta in mezzo a tutti. Si mescolò alla folla. Era presente al Cenacolo, tra gli altri».

Maria porta Gesù alla cugina Elisabetta. Davanti ai Magi, prende Gesù sulle sue ginocchia e diventa il Trono della Sapienza. A Cana mostra la sua vicinanza alla gente. Presta attenzione a tutto e si accorge che manca il vino. «La contemplazione di Maria non si perde tra le nuvole -continua padre Fabio. È una persona creativa e attenta agli altri». E noi? Per conformarsi a Maria, occorre diventare come lei. «Questo va ben oltre la devozione! Dobbiamo vivere come lei, nella contemplazione, ma sempre attivi. (…) Cantare le litanie e cercate di imitarle in ciò che dicono sulla bontà di Maria».

Dopo un momento di meditazione, si susseguono quattro testimonianze, quattro esperienze molto semplici di vita quotidiana che toccano ciascuno dei partecipanti. Poi il vescovo Franck viene invitato a rivolgere qualche parola. Racconta come, un giorno in cui si celebrava la festa della Madonna Consolatrice degli Afflitti, il suo orecchio ha trasformato l'ultima preghiera. Il testo dice "lasciateci rimanere con Maria sotto la Croce", ma il vescovo Franck ha sentito: "lasciateci in Maria sotto la Croce". «È un programma per ogni giorno, spiega. Portiamo tutto a Gesù, che accoglie ciò che gli diciamo come se fosse Maria a dirglielo».

A fine mattinata, tante domande sono occasione per Padre Fabio di affinare il suo intervento e poi concludere così il suo commento: “Possiamo accogliere Gesù in tutte le sue presenze, e forse scoprire e coltivare soprattutto la presenza di Gesù in mezzo a noi».

lunedì 10 febbraio 2025

Quel che resta...

Questa sera Roma mi aspettava con un tramonto a tutto sole. Lo stesso che mi aspettava venerdì sera quando sono arrivato a Lussemburgo.

Un viaggio un po’ lungo perché l’attesa del cambio di aereo a Monaco è stato di parecchie ore. Ma quando all’aeroporto c’è qualcuno che ti aspetta il viaggio è proprio a lieto fine. E ad aspettarmi c’erano marito e moglie che non conoscevo ma che mi conoscevano. Due libanesi ormai da tanti anni a Lussemburgo. Quando entro in macchina e vedo dietro i seggiolini per i bambini capisco subito che, benché siano andati in pensione da poco, sono al lavoro come nonni, anche se fanno tante altre cose…

Approfittiamo degli ultimi raggi di sole per una passeggiata in centro: o adesso o mai più! Che bella città! La città bassa lungo il fiume e la città alta sui contrafforti rocciosi, tutto circondato dalla decorazione tutta mossa delle mura. La cattedrale è un incanto. Sul fondo l’immagine della Madonna della consolazione degli afflitti: sono venuto per lei, per preparare i 400 anni del pellegrinaggio che si rinnova fedelmente ogni anno.

Il giorno dopo – è sabato! – parlo di Maria in una sala luminosissima. Ci sono più di cinquanta persone. Parlo in francese con traduzione in lussemburghese (nella mia ignoranza non sapevo che ci fosse anche questa lingua, ma che Granducato sarebbe senza una sua lingua?).

Il vecchio arcivescovo è in prima fila. “Posso fermarmi soltanto un momento”… e poi rimane fino alla fine. La cosa più bella: la condivisione di esperienze, le domande, il dialogo… Cos’è questa gioia che tutti ci avvolge? Che sia il segno della presenza di Gesù tra noi? La gioia continua a pranzo nel focolare femminile, dove ho anche cenato la sera prima. Ritrovo vecchie conoscenze con le quali abbiamo vissuto la nostra buona battaglia…

Il pomeriggio via a Lovanio e passo al focolare maschile. La mattina presto accompagno dal fornaio: una delle cose che cerco di non omettere mai quando vado per la prima volta in una città è mettere piede in un panificio, il negozio più bello e profumato, sempre diverso e sempre in grado di farmi gustare qualcosa di nuovo.


Ma eccomi finalmente all’università! Papa Francesco è venuto da poco per celebrare i 600 anni dalla sua fondazione. In una grande aula, questa volta ci sono più di centro persone. In maniera molto simpatica mi presentano il Belgio con la sua storia e le sue caratteristiche. Seguono alcune esperienze semplici e profonde. Io come al solito dico le solite cose e questa volta traducono in fiammingo! Il pranzo a sacco, in piccoli gruppi, si rivela un momento di festa e di scambio profondo; non lasceremmo mai il grande salone...

Nel pomeriggio sento recitare, sempre in fiammingo, un mio pezzo teatrale. E come in Lussemburgo un dialogo serrato con tante domande… Anche qui la gioia ha qualcosa di speciale. Sono persone un po’ riservate, eppure tradiscono una gioia profonda, come se si fosse risvegliato qualcosa di vivo dentro. Mi giunge un solo messaggio, ma significativo:

“Penso che hai costruito alle fondamenta della nostra vita, rinvigorendole, in modo che la vita diventi più solida per avere Gesù in mezzo che risuscita. È un’avventura grande, affascinante che possiamo scoprire ogni giorno”.

Terminiamo all’imbrunire, c’è ancora un momento per due passi veloci in questa antica città. Sono belle le strade, le piazze, le case di mattino rossi, con lo stile tipico di questi Paesi Bassi. La cattedrale e il municipio sono monumenti imponenti. Resto incantato dal beghinaggio, una autentica cittadina all’interno della città, circondata da mura, attraversata dai canali… Un intrico di stradine, cortili e giardini, con le casette tradizionali. Chissà com’era la vita sette secoli fa in questo mondo tutto al femminile, abitato dalle beghine, donne nubili o vedevo, laiche, tutte dedite alla vita spirituale…






Ma forse ciò che più mi è rimasto visitando la cattedrale è stata la maestà della statua di Maria Sede della Sapienza. Avevo parlato di lei proprio il giorno prima e me la trovo davanti, così. Non ho potuto non fermarmi in preghiera davanti a lei…

A notte sono a Bruxelles. Visito subito, dal di fuori, l’immensa basilica del Sacro Cuore. È già chiusa e non posso entrare, ma mi dicono che dentro non è granché. È comunque semplicemente maestosa, la quinta chiesa del mondo per grandezza, in posizione strategica, con tutta la città davanti. Quando all’inizio del 1900 Leopoldo II la costruì ne affidò la cura pastorale agli Oblati, forse perché avevano già la chiesa del Sacro Cuore a Montmartre a Parigi.


Questa mattina, prima di riprendere l’aereo, breve visita alla città, col nevischio e il vento freddo, cominciando dalle istituzioni della Comunità Europea, fino alla galleria, il municipio...


Tutto veloce, un assaggio appena, perché sono




veduto qua per ben altro. Eppure… anche l’occhio ha avuto la sua parte e non si può non godere delle cose belle.

Tutto veloce, ma quel che resta sono i rapporti, ed questo è il bello!



domenica 9 febbraio 2025

Lo stupore per la pesca

Non è facile scrivere dopo due giorni così intensi di incontri a Lussemburgo e a Lovanio. Mi sembra sia andata bene…

Mi sento un po’ come Pietro nel Vangelo di questa domenica: «”Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore”. Lo stupore infatti lo aveva invaso, per la pesca che aveva fatto. Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”».

Per adesso possono bastare due foto dei partecipanti. In prima fila tre fratellini...

Domani ne riparliamo…



sabato 8 febbraio 2025

Sede della Sapienza e Madre di casa / 2

Eccomi finalmente a Lussemburgo, per la prima volta! Ieri sera sono stato al santuario della Madonna della consolazione e oggi il mio intervento. La prima metà l'ho già pubblicato ieri. Ecco la seconda parte:

Chiara Lubich, ha compreso che per essere conformi al “modello”, a Maria, occorre diventare Maria, essere un’altra Maria. E questo va ben oltre la devozione a Maria. Anche qui una sua esperienza, vissuta l’anno precedente al testo che abbiamo letto.

Siamo nel dicembre 1957. Lei stessa ha raccontato più volte quell’episodio. Lo ascoltiamo in una conversazione colloquiale tenuta con i giovani del Movimento dei Focolari, il 2 gennaio 1976:

Stavo alla Villa Maria Assunta [a Grottaferrata - Roma] ed ero ammalata. Di fronte al mio corridoio ci stava una cappellina con Gesù. Sono entrata per pregare il Santissimo, e lì mi è sorta spontanea una domanda da fare a Gesù, ma che io avvertivo non veniva da me, era troppo originale questa domanda, probabilmente me l’aveva messa dentro lui stesso perché gliela facessi e per darmi una risposta.
Allora io gli chiedo: «Ma Gesù - stavo tanto male mi ricordo, e dico -, ma come mai tu hai voluto rimanere su tutti i punti della terra con la dolcissima Eucaristia, sei venuto qui pure da me, e tu che sei onnipotente non hai trovato un modo per far rimanere sulla terra anche Maria, la tua madre, che ci aiuterebbe nel cammino della vita?» E sono uscita subito di chiesa senza aspettare la risposta.
Ho incontrato la Vale, una focolarina, che fa unità subito. Le dico: «Senti, Vale, sono entrata in chiesa e ho detto a Gesù così...». Come ho detto: «Senti, Vale...» s’è stabilito Gesù in mezzo e m’è venuta la risposta, perché la risposta viene da Gesù in mezzo. M’è venuta la risposta: «È perché voglio rivederla in te», e in te significa in te e in tutti, in tutta l’Opera di Maria.
Allora era lui che mi aveva fatto fare questa domanda per dirmi: «Voglio che voi siate tante piccole Maria nel mondo per l’umanità. Quindi apri le braccia e accogli tutti come fosse Maria, canta le litanie e cerca di rispecchiarti in esse. Canta le litanie e cerca di farti come le litanie», che dicono la bellezza di Maria. Da quella volta è nato il senso che noi dobbiamo essere delle piccole Maria.

Ed ecco lo scritto, frutto di quella esperienza, che pubblica poco dopo, il 5 gennaio 1958, sempre sulla rivista “Città Nuova”.

Sono entrata in chiesa un giorno e con il cuore pieno di confidenza gli chiesi: «Perché volesti rimanere sulla terra, su tutti i punti della terra, nella dolcissima Eucaristia, e non hai trovato, Tu che sei Dio, una forma per portarvi e lasciarvi anche Maria, la Mamma di tutti noi che viaggiamo?».
Nel silenzio sembrava rispondesse: Non l’ho portata perché la voglio rivedere in te. Anche se non siete immacolati, il mio amore vi verginizzerà e tu, voi, aprirete braccia e cuori di madri all’umanità, che, come allora, ha sete del suo Dio e della madre di Lui. A voi ora lenire i dolori, le piaghe, asciugare le lacrime. Canta le litanie e cerca di rispecchiarti in quelle.

“Madonna consolatrice degli afflitti”. È il bel titolo che onora questo santuario. È a lei che si sono rivolti da 400 anni generazioni di cristiani. A lei ci rivolgiamo con fiducia anche noi, sapendo che, come una madre consola un figlio, anche noi saremo consolati (cf. Is 66, 13).

Lei conosce bene ogni nostra pena e sa comprenderci, perché è stata accanto al figlio suo che pativa in croce, ed ha conseguito nella maniera più eccelsa la beatitudine promessa nel Vangelo a coloro che piangono (cf. Mt 5, 5). Poiché Dio l’ha consolata con la risurrezione di Gesù, è anch’essa in grado di consolare noi suoi figli, quando ci troviamo in qualsiasi genere di afflizione (cf. 2 Cor 1, 3).

Come ci ricorda la Costituzione del Concilio Vaticano II sulla Chiesa: «La Madre di Gesù (...) brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione» (LG 68).

Ognuno di noi è chiamato a rivivere Maria, ad essere un’altra piccola Maria, con il cuore in cielo e con i piedi sulla terra; tutti rivolti a Dio e tutti attenti alle persone che ci sono attorno. Per essere anche noi una consolazione per quanti incontriamo sul nostro cammino.