Al direttore della rivista Citta Nuova è arrivato questo
messaggio: «Stamane era una giornata un po’ triste ed avevo mal di schiena. Mi
è arrivata città nuova di febbraio e dopo pranzo l’ho sfogliata leggendo
qualcosa. Più mi avventuravo in essa e più ritrovavo la voglia di vivere e di
amare. Mi ha cambiato l’anima e mi ha spinto a guardare la giornata con occhi nuovi
e con desiderio di vivere bene il presente. Mi ha spalancato il cielo la
meditazione di Fabio Ciardi».
Ecco allora la mia “meditazione”:
Che ci sto a fare a questo mondo? Ci sarà qualcuno che pensa
veramente a me, che mi vuol bene, col quale posso stabilire un rapporto
autentico, personale, che dia senso alla mia vita? Domande metafisiche eppure
ogni tanto ci assillano. Non andrò certamente a cercare risposte in una
edizione critica, erudita, per gli addetti ai lavori, come quella pubblicata un
paio d’anni fa del libro “Meditazioni” di Chiara Lubich. E invece sì! Vi scopro
un brano di poche righe che mi spalanca un orizzonte infinito. Nelle precedenti
edizioni si presentava come un pensiero un po’ vago, astratto. Si tratta in
realtà di un bigliettino scritto a mano che, passando alla pubblicazione, era
stato edulcorato, in una scrittura che oggi diremmo politically correct.
Rileggerlo nella sua forma originaria è un tuffo al cuore.
«Ed io, Focherello, m’accorgo sempre più che “passeranno
i Cieli e la terra…”, ma il disegno di Dio non passa. Ciò che solo
pienamente ci soddisfa è sempre rivedervi là dove Dio ab aeterno ci ha
sognati. E lì rimaniamo per tutta l’eternità”. Chiara di G.A.».
Dal punto di vista letterario balza subito una variante: là
dove l’edizione a stampa metteva un prosaico banale «rivedersi sempre», il
manoscritto dice di «sempre rivederci»: più duro dal punto di vista letterario
e più asciutto.
Ma vi sono varianti di ben altro
spessore. Così, al posto di «Dio ab aeterno ci ha pensati», troviamo:
«Dio ab aeterno ci ha sognati».
Spesso spiego che ognuno di noi è stato pensato da Dio, da
sempre, nel momento stesso in cui egli pensa il Figlio suo. Egli “dice” la
nostra parola, il nostro verbo, in nostro essere, nell’atto di pronunciare la
Parola, il Verbo, il Figlio suo e in lui ci rende suoi figli, chiamati
all’esistenza con la vocazione ad essere in lui dio come lui è Dio. È
straordinario sapersi pensati da Dio! Come, lui che ha creato le galassie,
davanti alle quali sono meno di un pulviscolo, pensa a me! Ma chi sono io per
essere oggetto del suo pensiero? La cosa mi incanta! Tuttavia, quando ne parlo,
spesso avverto una reazione da parte di chi mi ascolta, quasi urtato dal fatto
che Dio, agendo così, avrebbe già fatto tutto, condizionandoci, privandoci
della libertà di diventare quello che vogliamo essere. Questo mi meraviglia,
perché a me sembra così bello – oltre che così vero – sapere che Dio mi ha da
sempre pensato e amato, come un bambino che, prima ancora di nascere, è già
pensato e amato dalla mamma la quale, così facendo, non lo condiziona, o meglio,
lo pone in maniera più adeguata nella condizione di diventare veramente sé
stesso.
Eppure, sapersi oggetto del “sogno” di Dio – come si legge
nella stesura originaria del biglietto – suona diverso dal sapersi “pensato” da
lui. A me sembra una gran bella differenza! Sapere
che non soltanto sono stato “pensato”, ma “sognato” da Dio: sono oggetto di un
desiderio piuttosto che di una determinazione inappellabile. Sono il sogno di
Dio! Poi mi lascia libero, che ne faccia quello che voglio della mia vita. Ma
intanto lui continua a sognare. Non sarà libero di sognare per me un’esistenza
straordinariamente bella?
Questo bigliettino, che quando fu
pubblicato sembrava disincarnato, una meditazione fuori del tempo e dello
spazio, si rivela scritto a Igino Giordani, chiamato familiarmente
“Focherello”: «Ed io, Focherello, m’accorgo sempre più che “passeranno i Cieli
e la terra…” ma il disegno di Dio non passa». Focherello? Gli aveva dato un
“nome nuovo”, “Foco”, che traduceva la sua anima infuocata d’amore. Ma Igino
Giordani è una persona di peso, un parlamentare, membro della Costituente, un
grande scrittore… E lei, Chiara Lubich, lo chiama con un vezzeggiativo che
tradisce un rapporto amichevole e dolce. D’altra parte Chiara Lubich era solita
chiamare con questi nomi affettuosi. (Ma nell’edizione critica “Focherello” è
stato di nuovo depennato, troppo compromettente!). Eppure, nonostante o proprio
grazia a questa intimità, Chiara guarda a Igino Giordani nella sua realtà più
vera, in quel disegno che Dio ha su di lui e che non passerà mai, perché lo
costituisce in tutta la sua dignità e, se egli è fedele nell’attualo, lo
soddisferà, lo appagherà pienamente; ed è la “sola cosa” che può appagarlo,
mentre tutto il resto lascia dei vuoti, non porta alla pienezza.
Poche righe per svelare la bellezza di un rapporto profondo
con Dio e di un rapporto profondo con l’altro. È questo che dà pienezza al
vivere!
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