lunedì 3 febbraio 2025

Sono il sogno di Dio

 

Al direttore della rivista Citta Nuova è arrivato questo messaggio: «Stamane era una giornata un po’ triste ed avevo mal di schiena. Mi è arrivata città nuova di febbraio e dopo pranzo l’ho sfogliata leggendo qualcosa. Più mi avventuravo in essa e più ritrovavo la voglia di vivere e di amare. Mi ha cambiato l’anima e mi ha spinto a guardare la giornata con occhi nuovi e con desiderio di vivere bene il presente. Mi ha spalancato il cielo la meditazione di Fabio Ciardi».

Ecco allora la mia “meditazione”:

Che ci sto a fare a questo mondo? Ci sarà qualcuno che pensa veramente a me, che mi vuol bene, col quale posso stabilire un rapporto autentico, personale, che dia senso alla mia vita? Domande metafisiche eppure ogni tanto ci assillano. Non andrò certamente a cercare risposte in una edizione critica, erudita, per gli addetti ai lavori, come quella pubblicata un paio d’anni fa del libro “Meditazioni” di Chiara Lubich. E invece sì! Vi scopro un brano di poche righe che mi spalanca un orizzonte infinito. Nelle precedenti edizioni si presentava come un pensiero un po’ vago, astratto. Si tratta in realtà di un bigliettino scritto a mano che, passando alla pubblicazione, era stato edulcorato, in una scrittura che oggi diremmo politically correct. Rileggerlo nella sua forma originaria è un tuffo al cuore.

«Ed io, Focherello, m’accorgo sempre più che “passeranno i Cieli e la terra…”, ma il disegno di Dio non passa. Ciò che solo pienamente ci soddisfa è sempre rivedervi là dove Dio ab aeterno ci ha sognati. E lì rimaniamo per tutta l’eternità”. Chiara di G.A.».

Dal punto di vista letterario balza subito una variante: là dove l’edizione a stampa metteva un prosaico banale «rivedersi sempre», il manoscritto dice di «sempre rivederci»: più duro dal punto di vista letterario e più asciutto.

Ma vi sono varianti di ben altro spessore. Così, al posto di «Dio ab aeterno ci ha pensati», troviamo: «Dio ab aeterno ci ha sognati».

Spesso spiego che ognuno di noi è stato pensato da Dio, da sempre, nel momento stesso in cui egli pensa il Figlio suo. Egli “dice” la nostra parola, il nostro verbo, in nostro essere, nell’atto di pronunciare la Parola, il Verbo, il Figlio suo e in lui ci rende suoi figli, chiamati all’esistenza con la vocazione ad essere in lui dio come lui è Dio. È straordinario sapersi pensati da Dio! Come, lui che ha creato le galassie, davanti alle quali sono meno di un pulviscolo, pensa a me! Ma chi sono io per essere oggetto del suo pensiero? La cosa mi incanta! Tuttavia, quando ne parlo, spesso avverto una reazione da parte di chi mi ascolta, quasi urtato dal fatto che Dio, agendo così, avrebbe già fatto tutto, condizionandoci, privandoci della libertà di diventare quello che vogliamo essere. Questo mi meraviglia, perché a me sembra così bello – oltre che così vero – sapere che Dio mi ha da sempre pensato e amato, come un bambino che, prima ancora di nascere, è già pensato e amato dalla mamma la quale, così facendo, non lo condiziona, o meglio, lo pone in maniera più adeguata nella condizione di diventare veramente sé stesso.

Eppure, sapersi oggetto del “sogno” di Dio – come si legge nella stesura originaria del biglietto – suona diverso dal sapersi “pensato” da lui. A me sembra una gran bella differenza! Sapere che non soltanto sono stato “pensato”, ma “sognato” da Dio: sono oggetto di un desiderio piuttosto che di una determinazione inappellabile. Sono il sogno di Dio! Poi mi lascia libero, che ne faccia quello che voglio della mia vita. Ma intanto lui continua a sognare. Non sarà libero di sognare per me un’esistenza straordinariamente bella?

Questo bigliettino, che quando fu pubblicato sembrava disincarnato, una meditazione fuori del tempo e dello spazio, si rivela scritto a Igino Giordani, chiamato familiarmente “Focherello”: «Ed io, Focherello, m’accorgo sempre più che “passeranno i Cieli e la terra…” ma il disegno di Dio non passa». Focherello? Gli aveva dato un “nome nuovo”, “Foco”, che traduceva la sua anima infuocata d’amore. Ma Igino Giordani è una persona di peso, un parlamentare, membro della Costituente, un grande scrittore… E lei, Chiara Lubich, lo chiama con un vezzeggiativo che tradisce un rapporto amichevole e dolce. D’altra parte Chiara Lubich era solita chiamare con questi nomi affettuosi. (Ma nell’edizione critica “Focherello” è stato di nuovo depennato, troppo compromettente!). Eppure, nonostante o proprio grazia a questa intimità, Chiara guarda a Igino Giordani nella sua realtà più vera, in quel disegno che Dio ha su di lui e che non passerà mai, perché lo costituisce in tutta la sua dignità e, se egli è fedele nell’attualo, lo soddisferà, lo appagherà pienamente; ed è la “sola cosa” che può appagarlo, mentre tutto il resto lascia dei vuoti, non porta alla pienezza.

Poche righe per svelare la bellezza di un rapporto profondo con Dio e di un rapporto profondo con l’altro. È questo che dà pienezza al vivere!

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