mercoledì 27 settembre 2017

L’amore estremo / 1


Il Vangelo di Giovanni apre l’ultima cena con frase che ne interpreta la sua profonda natura: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13, 1).
Giovani dedicherà ben cinque capitoli del suo Vangelo a quanto avvenne quella sera nella sala superiore, dove si alternano gesti e parole in un crescendo di intensità. La ricchezza e complessità di quelle pagine possono essere sintetizzate in un’unica parola: amore, in un’unica azione: amare. Un amore e un amare vissuti fino al compimento che non conoscono limiti d’intensità e profondità: un dono intero e totale.

Si dona fino a mettersi nelle loro mani attraverso il pane e il vino fatti suo corpo e suo sangue. Nell’Eucaristia di quell’ultima sera vi è il dono di tutto se stesso: corpo, sangue, anima e divinità.
Poche ore più tardi, quando nell’orto degli ulivi le guardie vogliono arrestare i discepoli, egli si frappone: «Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano». Agisce così perché, come commenta Giovanni, «s'adempisse la parola che egli aveva detto: “Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato”» (Gv 18, 9). L’amore per i suoi amici arriva a consegnarsi al posto loro.
Il suo amore estremo raggiunge anche i nemici, per i quali invoca il perdona, giustificandoli davanti al Padre: «Perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34).
Sulla croce dona anche il Paradiso al ladrone, dona la madre a Giovanni, e infine dona il suo Spirito: nella consegna del suo soffio vitale – «chinato il capo, consegnò lo spirito (Gv 19, 30) – il segno del dono del suo vero respiro, lo Spirito Santo che in lui era principio di vita. Adesso davvero tutto «è compiuto» (Gv 19, 30), l’amore è stato attivo fino all’ultimo istante e ha dato il massimo di sé: senza più lo spirito (Spirito), Gesù muore: «dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine».

La prima valenza di quel “sino alla fine” è la sua durata, fino all’ultimo istante della vita. L’amore non è la passione di un giorno. Senza durata l’amore non è amore. Una causa, se è vera, la si sposa per sempre. Non si cambia bandiera. Una volta messo mano all’aratro Gesù non si è più voltato indietro, non ha abbandonato l’impresa, anche quando gli è apparsa estremamente difficile, impossibile. Sarebbe stata vigliaccheria. Ha amato fino all’ultimo respiro sulla croce. Alla fine può davvero dire: «È compiuto» (Gv 19, 20): ha portato a termine l’opera che il Padre gli aveva affidato (cf. Gv 17, 4).

Ho visto mamme che hanno accompagnato per tutta la vita il figlio dislessico. Non sarà mai appuntata su loro petto una medaglia al merito, eppure il loro è un amore eroico, fedele, che conosce la continuità nel tempo.
Ho conosciuto un marito che per anni e anni ha accudito la moglie inferma, bisognosa di tutto, senza più conoscenza. “Perché lo fai? Lasciala morire”, gli veniva suggerito. “Ma è mia moglie”, rispondeva con semplicità. Non era consapevole di esercitare un atto eroico, continuava semplicemente ad amare, come aveva sempre fatto, “sino alla fine”.
Ci sono altri tipi ancora di fedeltà nascosta. Quella di un padre o una madre che per una vita intera ogni giorno va al lavoro per sostenere la famiglia. Si alza presto, affronta il viaggio, col bello e cattivo tempo, fatica… Quanta monotonia, quante poche soddisfazioni, eppure quella regolarità, che va avanti di anno in anno, “sino alla fine”, è l’espressione di un amore sincero. 

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