giovedì 30 gennaio 2020

Un bigliettino a Igino Giordani



Era già anziano quando l’ho conosciuto. Ricordo quando, nella nostra comunità degli Oblati a Vermicino, aprendo la porta me lo trovavo davanti per una delle sue graditissime improvvisate. Oppure quando stava seduto su una panchina, nel giardino del Centro Mariapoli a Rocca di Papa, circondato da ragazzi, giovani, famiglie intere, in un dialogo semplice e intenso.
Mi sono rimasti impressi soprattutto le brevi visite agli incontri dei religiosi al Centro Mariapoli. Gli bastava darci un saluto. Spesso voleva soltanto farci sapere che aveva sempre vissuto in compagnia dei nostri fondatori e dei nostri santi, che aveva letto i loro scritti e aveva pubblicato biografie e profili su di loro. A volte ci ricordava tempi nei quali aveva sofferto per il divorzio tra noi “consacrati” e lui, laico. «Voi, ci diceva con quell’humor fine che lo caratterizzava, eravate i consacrati e noi laici gli “sconsacrati”. Ora invece siamo tutti membri della stessa famiglia, tutti affratellati». Era per lui una grande gioia costatare la profonda unità che il Movimento dei Focolari aveva creato tra tutte le vocazioni.
Naturalmente non si trovava bene soltanto con noi religiosi. Igino Giordani si trovava bene con tutti, giovani, famiglie, politici, prelati, cristiani di altre Chiese... Niente e nessuno gli era estraneo, lui che era stato padre di famiglia, insegnante, scrittore, giornalista, politico, ecumenista...

Quando l’ho conosciuto Igino Giordani che era ormai anziano. Aveva superato traversie di ogni genere ed era diventato - così appariva ai miei occhi - semplice e mite, puro di cuore, con sulle labbra quel perenne sorriso che lasciava intravedere il superamento di tante prove. Mi sembrava giunto all’approdo sereno dopo una traversata avventurosa e piena di pericoli.
Nel suo diario descrive il tempo della vecchiaia, a cui era giunto, con l’impiego di una metafora, quella dell’albero, che torna spesso nei suoi ultimi scritti.
Il venir meno di affetti e cose, il sopraggiungere di disagi e solitudine, assieme a tutto il retaggio della vecchiaia, non lo percepiva come una situazione negativa. Lo sentiva piuttosto come una “liberazione”, come un provvidenziale distacco dall’effimero. Vi riconosceva il frutto dell’amore e dell’azione di Dio che taglia il superfluo perché Lui solo splenda in pienezza come il Tutto della vita e, in Lui, un nuovo universo di rapporti non più inquinati dalla ricerca di sé o dall’interesse.
Questo è il Giordani che ho conosciuto: senza più frascame, in dialogo diretto e costante con quel Dio di cui si poteva scorgere il riflesso sul suo volto di bambino.

Colomba, dalla Corea, mi annuncia la pubblicazione di un suo libro su Igino Giordani, nel quale riporta un mio biglietto, tradotto in coreano, che avrei scritto a Giordani il 26 agosto 1977. Chissà dove l’ha pescato. Allora avrei scritto:

Ci siamo visti tante volte al Centro Mariapoli.  Prima della mia ordinazione ho avuto la gioia di stare una mezz’ora con te, nel tuo focolare.  Ma fino ad ora non ti avevo mai scritto.  Lo faccio adesso, perché oggi mi pare di avere scoperto un po’ di più: il tuo disegno e il mio rapporto con te.
Come andiamo al Padre nello Spirito Santo, così oggi ho sentito che vado a Chiara in te.
È tutto qui e non voglio sciuparlo con altre parole.  Voglio solo ringraziarti per aver seguito questa vergine.  Dietro a te ci sono anch’io.  Nel tuo patto d’unità con lei ci sono anch’io. Un’anima sola, l’Anima, un corpo solo, quello provocato dall’Eucaristia. 

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