domenica 23 ottobre 2016

San Silvestro al Quirinale, dimora romana di sant’Eugenio

Mai visto la “Madonna della catena”? È una stupenda tavola del 1200 riproducente la Virgo lactans (la bizantina Galaktotrophousa), la Madonna che allatta Gesù Bambino. Ha preso questo nome perché si racconta che tra il 1646 e il 1650 un giovane uscito di senno, tenuto in ceppi per due anni, fu miracolosamente guarito dalla sacra immagine, presso la quale lasciò come ex voto la catena che lo aveva avvinto. Vale la pena entrare nella chiesa di san Silvestro al Quirinale anche solo per contemplare questo capolavoro.
La chiesa rimane fuori del giro turistico e apparentemente è inaccessibile. Si trova sulla strada che da Piazza Venezia porta al Quirinale. Una chiesa piuttosto bizzarra, con una bella facciata… ma puramente ornamentale, senza porta d’entrata. La cosa è dovuta al fatto che nel 1877, quando il Quirinale, che fino alla conquista di Roma da parte dei Piemontesi era stato la sede del papa, divenne la reggia del re d’Italia, la strada che passava davanti alla chiesa fu allargata e abbassata, tagliando la parte frontale: la facciata e le prime due cappelle laterali. La chiesa è rimasta così “per aria”, nove metri più in alto rispetto al livello stradale. Per entrare occorre suonare alla casa dei Padri della Missione, salire le scale, entrare nel loro appartamento, e da lì in chiesa.
Fu il punto di approdo di sant’Eugenio quando venne a Roma la prima volta, nel 1825, per chiedere al papa l’approvazione della sua Regola. Aveva scelto di abitare con i Padri della Missione per essere più vicino alla casa del papa, il Quirinale, appunto, in maniera da sbrigare più facilmente le sue pratiche. «Alloggio a S. Silvestro, presso il palazzo del Quirinale – scrive appena arrivato il 26 novembre 1925, appena arrivato a Roma –. È il noviziato e lo studentato dei missionari di S. Vincenzo de' Paoli». Era contento di avere insieme «l'altare e la mensa», e anche di trovarsi proprio in mezzo ai figli di quel san Vincenzo de’ Paolo, che amava in un modo tutto particolare: era uno dei santi che lo avevano ispirato nella fondazione dei Missionari di Provenza.
Nella prima lettera scritta al futuro primo compagno, p. Tempier, era già nominato come un santo da imitare: «Vivremo assieme in una casa da me comprata sotto una Regola che adotteremo di comune intesa, ispirandoci agli statuti di S. Ignazio, di S. Carlo, di S. Filippo Neri, di S. Vincenzo de’ Paoli e del b. Alfonso dei Liguori» (9 ottobre 1815). Due anni più tardi, scrivendo alla comunità da Parigi, dopo la data, 19 luglio 1817, aggiunge: «Festa del nostro santo patrono S. Vincenzo de’ Paoli» (fino al 1969 la celebrazione liturgica era in quel giorno). In seminario aveva scelto un santo al giorno, durante la settimana, da invocare come patrono: a san Vincenzo era dedicato il martedì. Finalmente ad Amiens incontrò per la prima volta i Padri della Missione: avevano la direzione del seminario nel quale fu accolto per la preparazione all’ordinazione sacerdotale. Fu lì che venne attratto dallo stemma e dal motto dei Vincenziani, che poi avrebbe fatto proprio, trasmettendolo ai Missionari di Provenza.


Si trovò bene in questa casa e in questa chiesa di Roma, al punto che vi ritornò altre tre volte, nei successivi viaggi. Era edificato dai novizi che vivevano in quell’ambiente: «Vedo qui noviziati che mi fanno invidia». Anche gli studenti di filosofia gli fecero bella impressione: «Devo dire che questi giovanotti sono meravigliosi e mi procurano grande edificazione; prego il Signore che ci dia il conforto di averne di simili» (6 dicembre 1825).
Si trovava bene anche perché dalla sua stanza aveva una meravigliosa vista su tutta Roma: «Sono contento del bello spettacolo che scopro dalla mia finestra da dove spazio su tutta la città vedendo davanti a me, sotto il giardino della casa dove abito, i giardini di Palazzo Colonna; di fronte, a poca distanza, le cupole del Gesù e di altre chiese; un po’ più lontano S. Andrea della Valle; a sinistra la Colonna Traiana, a poca distanza da lì il Campidoglio, a destra S. Ignazio, il Collegio Romano e l’osservatorio; più lontano la Colonna Antonina, Montecitorio, piazza del popolo e tanti altri notevoli edifici; al di sopra di tutto questo bel Vaticano e questa incomparabile cupola di S. Pietro: tutta la città insomma» (Diario, 13 dicembre 1825).
Non proprio tutto era perfetto in questa casa, per esempio la cucina. «Nonostante ogni sforzo – scriveva all’amico p. Tempier –, non posso mandar giù l'olio pessimo in uso a Roma. Durante le Quattro Tempora si osserva lo stretto magro con proibizione di uova e latticini, ed io ho ringraziato il Signore di non essermi avvicinato a quell'olio orrendo, contentandomi a pranzo di un pezzo di pesce bollito su cui ho spremuto mezzo limone» (18 dicembre 1825). La cosa non cambiò con il passare dei mesi. Il 16 marzo 1826 torna sull’argomento: «Terminata la quaresima riprenderò le forze, perché vi confesso che in vita mia non ho fatto una quaresima come questa. Mi capita spesso di passare una giornata con in corpo due uova cotte male, e per giunta è vietato mangiarne più di tre volte alla settimana. Provo una ripugnanza invincibile a inghiottire l'olio pestifero usato in casa: quando mi passano il pesce lo butto giù senza condimento, ma qualche volta non scende; anziché inghiottire vomiterei i tre pezzetti di un'altra specie di pesce che hanno macerato nell'aceto insieme a erbe aromatiche, qualcosa che rivolta lo stomaco. Di frequente la minestra è disgustosa al massimo: è un miscuglio di formaggio pane ed erbe; la caccio in gola per forza, poi mi rifaccio con la frutta, mangio pane e noci, mandorle e di solito due pere che non rifiuto mai».
In compenso la conversazione con i religiosi della casa lo edificava: «Ho fatto la ricreazione con p. Collucci, uno dei nostri Lazzaristi, di 74 anni. Gliene avrei dato sessanta. Non posso esprimere quanto sia stato edificato dalla sua bella semplicità, dalla bellezza della sua anima e dai sentimenti che esprimeva con ammirevole dolcezza. (…) Mi diceva che (…) tutti i giorni ringraziava Dio della sua vocazione. Avevo già notato la carità con cui, tutti i giorni, era pronto ad andare al confessionale e i suoi modi rispettosi verso tutti. Credo che questo prete sia un grande servitore di Dio. Mi diceva anche che ciò che più contribuiva alla sua felicità era ricevere tutto dalle mani di Dio» (6 dicembre 1825).

Si trovò subito a casa anche perché, con sua sorpresa, scoprì che nella chiesa si conservava la tomba del suo maestro Bartolo Zinelli, al tempo dell’esilio a Venezia. Così scrive a Courtès il 6 dicembre 1825: «Non vi ho pure ritrovato il ricordo, il busto e il corpo stesso sepolto in chiesa di quel santo sacerdote, di cui hai sentito parlare così spesso, il grande servo di Dio Bartolomeo Zinelli che fu mio maestro a Venezia ed è morto in odore di santità sotto questo tetto? La sua causa di beatificazione sarebbe già iniziata da gran tempo se la Società di cui era membro non fosse stata disciolta (…).Lui non aveva che virtù, e il Vescovo del luogo dove diede l'ultima missione volle che si stilasse l'atto autentico di una profezia fatta nella sua diocesi e verificatasi a puntino. (…) È per me una consolazione respirare la medesima aria, offrire il santo sacrificio sugli stessi altari, pregare sulla sua tomba». La tomba non c’è più, sparita con la demolizione di parte della chiesa in seguito all’ampiamento della strada.

Si sentiva a casa sua anche perché nella chiesa c’è una cappella nella quale è affrescata la sua Provenza. Attualmente è l’ultima a destra. Vi sono raffigurate la vita contemplativa e quella attiva, rappresentate rispettivamente da Maria Maddalena e Caterina da Siena.
Secondo la tradizione Maria Maddalena, assieme al fratello Lazzaro e alla sorella Marta, dopo aver lasciato la loro terra per sfuggire alla persecuzione, trovarono rifugio nella Provenza. A San Massimino, vicino ad Aix, sulla grotta dove Maria Maddalena era rimasta in penitenza per trent’anni, nel XIII secolo fu innalzata, su precedenti luoghi di culto, una grande basilica, oggetto di pellegrinaggi continuati fino alla Rivoluzione francese, quando il culto venne meno. Sant’Eugenio si adoperò molto perché esso tornasse in auge. L’affresco mostra Maria Maddalena immersa in un meraviglioso scenario provenzale.
Santa Caterina da Siena è raffigura ad Avignone, nella città dei papi vicini ad Aix, mentre dialogo con il papa per riportarlo a Roma: ancora una volta l’affresco descrive luoghi cari ad Eugenio.

San Silvestro al Quirinale: la casa e la chiesa romana di sant’Eugenio. Se sommiamo tutti i suoi soggiorni, vi ha dimorato per più di un anno. Vale la pena salire alla chiesa: buona visita, in compagnia di sant’Eugenio.


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