martedì 4 ottobre 2016

Ancora su Padre Marino Merlo

Sulla Rivista Missioni OMI è apparso un ritratto di p. Marino Merlo attraverso le testimonianze di quanti lo hanno conosciuto e apprezzato.

Una presenza nascosta, lo sguardo profondo, il sorriso discreto. Silenzioso, di poche parole, senza orpelli, essenziale”. Sono le prime linee, asciutte come lui, del ritratto che ho sentito tracciare appena dopo la sua ‘partenza’. Come anche: “capace di accogliere, ascoltare, comprendere, incoraggiare, discernere, guidare”; una manciata di verbi che parlano di un lavoro in profondità. Per tanti è stato “guida, padre e testimone”, come colgo in una delle tante confidenze. “La stima che si è guadagnato sul campo ne faceva un faro indiscutibile”. La sua collocazione storica è parsa chiarissima: “Ha saputo guidare la transizione da uno stile di vita in declino ad un altro post conciliare, con una visione centrata più sui dettami evangelici che sulle tradizioni di famiglia. È stato per noi un po’ quello che Paolo VI è stato per la chiesa. Magari ha dovuto soffrire perché tutto il corpo accogliesse la sfida del nuovo che veniva dallo Spirito, ma ce l’ha fatta... È stato strumento di un passaggio epocale”.

A Marino laziale.
La parabola della vita di p. Marino Merlo ha raggiunto il suo apogeo negli anni trascorsi nella comunità di Marino (Roma), al punto che egli si identifica, in certo modo, con quella straordinaria avventura destinata a ridare ossigeno agli Oblati italiani. “Quando abbiamo cominciato nel 1967-1968 - era solito ricordare - erano gli anni della contestazione globale, nei quali tutto un passato sembrava crollare. Non si capiva più niente. Anche dentro le nostre istituzioni religiose tutto crollava. Nel giro di poco tempo le case di formazione degli Oblati si sono chiuse. Bisognava ricominciare. Eravamo all’indomani del Concilio Vaticano II, nella novità della sua proposta. Bisognava lasciare le sicurezze del passato e intraprendere un cammino nuovo: una grazia che ci attendeva”. Due anni dopo aver dato vita alla nuova comunità, fu nominato maestro dei novizi, compito che svolse fino a quando venne nominato superiore provinciale, nel 1983. Successivamente, dopo alcuni anni nei quali si è dedicato a visitare e aiutare i missionari OMI italiani sparsi nel mondo, nel 1996 è approdato allo scolasticato di Frascati-Vermicino dove è rimasto fino alla sua partenza per il Cielo, il 23 maggio scorso. In pratica è stato formatore degli Oblati per tutta la vita, a cominciare dagli anni precedenti la sua andata a Marino, quando lavorava nella comunità dei giovani aspiranti a Firenze.
Una biografia che, coerente con il carattere, non presenta eventi sensazionali, giocata tutta in un profondo rapporto interiore con Dio, nella costruzione paziente della comunità e nella formazione delle persone.

Esempio per i giovani
Lasciamo la voce agli Oblati più giovani, gli scolastici, in mezzo ai quali e per i quali p. Marino ha vissuto in questi ultimi anni. «Ciò che maggiormente mi ha edificato sono stati i suoi ‘lunghi silenzi’, a volte imbarazzanti. Il suo atteggiamento mi faceva comprendere che, per cogliere la Volontà di Dio, più che parlare bisogna ascoltare. Mi è capitato spesso di confessarmi con lui e ogni volta facevo l’esperienza “dell’abbraccio del Padre Misericordioso”».
Così Giovanni Giordano, colpito anche per un ulteriore atteggiamento di p. Marino, la profonda passione e l’interesse per la chiesa universale e il mondo intero. «Seguiva con estrema attenzione papa Francesco, i suoi discorsi, le catechesi, i suoi viaggi e pregava tanto per lui e per la chiesa. Aveva a cuore le sorti del suo Paese, ma anche gli altri popoli. Alcuni mesi prima della sua partenza per il cielo si era svolto il referendum abrogativo sulla “durata delle trivellazioni in mare”, questione che poco avrebbe potuto interessare ad un ultraottantenne; egli invece, anziano, ammalato e quasi cieco, mi chiese di accompagnarlo al seggio elettorale per esercitare il suo diritto di voto».
Per Patrick Vey, scolastico della Germania, il segreto stava nel profondo rapporto con Dio: «Aveva dato il primo posto a Gesù e tutto era centrato su di Lui. Mi impressionava il suo modo di celebrare la messa. Sottolineava spesso l’importanza della celebrazione eucaristica per costruire una comunità con Gesù Cristo come centro. Ci dava una vera testimonianza di come Gesù possa essere veramente tutto: amico, fratello, maestro, Signore, Dio». Il rosario!
È rimasto impresso anche in Marcel T. Sarr, del Senegal: «Ogni pomeriggio verso le 5 o le 6 lo trovavi in giro a recitare il rosario. Era segno di una forte devozione a Maria e del desiderio di pregare per gli altri. Spesso consigliava anche a noi di recitare sempre il rosario».
Anche p. Alessandro Scaglia, che ha vissuto la sua formazione con lui per sette anni, porta con sé il ricordo di una persona di profonda e costante preghiera. «Era affezionato soprattutto al rosario. Ne recitava più di uno al giorno. Più volte mi sono recato da lui per chiedere consiglio in qualche situazione particolare e sempre mi ha indicato il rosario come via per affidare a Gesù, per le mani di Maria, le mie paure, i desideri, le aspirazioni».
Ugualmente Andriy Havlich, dell’Ucraina: «Tante volte l’ho visto con il rosario in mano, in cappella, a pregare da solo. Era di poche parole e quelle volte che ho parlato con lui, quanto mi ha detto mi ha segnato profondamente. Le sue omelie, erano centrate su Gesù e su Gesù in mezzo a noi. Una volta, durante la giornata, mi aveva ripreso. Nello stesso giorno alla sera, mi ha cercato per chiedermi scusa. Diceva che non poteva andare a dormire se prima non si riconciliava con il fratello».
Il forte timbro spirituale ha toccato Joseph Sene del Senegal: «Spesso negli incontri di accompagnamento spirituale, puntava fondamentalmente su tre pilastri che per lui, reggono la nostra vita. Il primo, da cui dipendono gli altri due, e che per lui era il più importante, è il rapporto con Gesù. Spesso i nostri incontri cominciavano con questa domanda: «Come va con Gesù?» Gesù era per lui il centro di tutto il nostro vivere e stare insieme, o meglio, la nostra ragione di essere. Poi seguiva con il secondo punto, «Come va con i fratelli?». Il rapporto con Gesù aveva evidentemente conseguenze nelle relazioni fraterne. Infine domandava: «Qual è il tuo rapporto con te stesso?». L’amore per Gesù lo spingeva ad annunciarlo con zelo e passione. Si intuiva che aveva vissuto e stava vivendo una vera e reale storia d’amore».
Joel Faye, senegalese: «di p. Marino mi sono rimaste impresse soprattutto le sue omelie, la loro profondità e chiarezza. Anche se a volte mi ‘urtavano’, mi hanno portato a riflettere di più sulla vita di fede. Mi erano talmente utili rapporto con la Parola di Dio».
Dopo i giovani in formazione, la parola al loro superiore, p. Gennaro Rosato, che in questi ultimi anni è stato anche superiore di p. Marino: «Di lui si potrebbero mettere in rilievo tante cose. Ad esempio la sua volontà ferma ad avere come punto centrale della vita il Signore Gesù, l’impegno a seguirlo fedelmente, la disponibilità radicale a fare la propria parte per lasciarlo vivere in comunità. O anche la sua intelligenza illuminata dalla fede che lo ha reso punto di riferimento per tante persone; la sua capacità discorsiva, mai banale; la profondità dei suoi interventi formativi... Ciò che però mi ha toccato particolarmente è stata la sua umiltà e la sua pronta disponibilità a realizzare, a volte con mia sorpresa, quello che, come superiore della comunità, gli chiedevo; fosse anche qualcosa che gli sarebbe costato».

Un sì costante
In uno scritto del 21 settembre 2007, p. Marino rivela il segreto della sua vita: un "sì" costantemente ripetuto.
Gesù, il mio primo "sì" 59 anni fa!
Questi anni li considero meno di un giorno.
Gesù, oggi il mio "sì"
come fosse il primo, come fosse l'ultimo
come fosse l'unico, e nient'altro.
Gesù, grazie d'avermi svelato il tuo Amore Abbandonato.
Gesù oggi il mio sì per questo Amore che tu vuoi vivere in me. Vieni così, come vuoi, quando vuoi. Gesù ti chiedo solo di aiutarmi a riconoscerti subito per poterti dire sempre di "sì".

Il ricordo della nipote Chiara Merlo
È difficile esprimere ciò che p. Marino è stato per noi famigliari durante il suo pellegrinaggio terreno: di certo una guida spirituale su cui poter contare, ma ancor più una stella polare, alla quale guardare per costruire rettamente le nostre famiglie, le nostre esistenze.
Pensando a p. Marino ci vengono in mente alcune parole, alcuni atteggiamenti da lui incarnati.

PRESENZA. Di certo nei confronti dei confratelli, ma presenza costante anche per la famiglia d'origine e per quelle che si sono poi costituite. Non ha mai mancato di accompagnarci con la preghiera e di guidarci nei momenti più difficili e faticosi delle nostre esistenze, aiutandoci a restare nella retta via nelle situazioni più ingarbugliate e per noi senza speranza. TESTIMONIANZA. Nella sua vita terrena è stato, e resta ora, testimone credente e autentico di Cristo, capace di tradurre a tutti il Vangelo con parole semplici e comprensibili. Riflesso dell'amore del Signore e di quel centuplo che promette a chiunque lo segue. FEDELTÀ. Un altro atteggiamento di cui non possiamo non far memoria: fedele a Cristo in ogni cosa e alla madre chiesa, fedele anche dinanzi a richieste apparentemente inspiegabili. MISSIONARIETÀ. Pellegrino nel mondo, il continuo 'girare' in terra di missione, nelle nostre famiglie è stato fondamento di apertura all'altro, sensibilizzazione verso i problemi dei poveri non vicini, spinta ad una carità autentica. DONO. La sua vita in una parola.

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