venerdì 4 aprile 2014

Apa Pafnunzio: La finzione letteraria più vera della realtà storica

Serata di incontro con una sessantina di artisti di teatro e televisione e operatori nel campo dei media. Ho raccontato una mia piccola storia:

Nel 1975, terminati gli studi di teologia, iniziai la mia specializzazione nella storia del  monachesimo e nella teologia della vita consacrata. Uno dei primi libri che lessi fu un’operetta piccola piccola, ma ispirata, di Giuseppe Turbessi, in quegli anni abate del monastero benedettino di san Paolo fuori le Mura: Ascetismo e monachesimo prebenedettino, Studium, Roma 1961, £ 1.000. Tra l’altro il testo XVI delle Vite dei Santi Padri mi fece quasi tenerezza. Mi piacque anche la traduzione del primo 1300, a opera di Domenico Cavalca, nel suo Volgarizzamento delle Vite de’ SS. Padri:
“Sette probatissimi monaci che abitavano in quell’ermo che confina co’ Saraceni, e divisi ciascuno per sé in una cella, ma uniti insieme per vincolo d’amore (...). Questi benedetti stando in quella solitudine sterile e diserta quasi inabitabile, e tanto arida, una fiata la settimana si convenivano insieme, cioè lo sabato in sulla nona, e ciascuno procurava alcuna coserella da mangiare, chi noci, e chi fichi, e chi datteri, e chi erbe, e chi pastinache, e così insieme facevano carità e delle predette cose vivevano continuamente e non era mai loro esca, né mai usavano pane, vino, né olio, ma pure di pomi e d’erbe si nutricavano (...) e acqua in quello diserto non si trovava e non bevevano altrimenti, se non quello che la mattina raccoglievano dalla rugiada che veniva in quel’erbe la notte, e di quella bevevano.

Quest’anno ho pubblicato I detti di apa Pafnunzio. Il libro inizia proprio con quelle parole lette per la prima volta quarant’anni fa: “Sette probatissimi monaci che abitavano in quell’ermo che confina co’ Saraceni, e divisi ciascuno per sé in una cella, ma uniti insieme per vincolo d’amore…”. Invece di dire che si tratta di una traduzione del Cavalca, mi sono permesso la licenza di indicare come riferimento un libro del 1700.
Pochi giorni fa incontro un professore che ha seguito la tesi di dottorato su uno dei padri dell’antico monachesimo. Mi racconta che appena saputo dell’apparizione del mio libro si è affrettato a raccomandarlo allo studente. Quando poi lo ha preso in mano e ha cominciato a leggerlo qua e là, si è detto: “Ma non è possibile, apa Pafnunzio non scriveva così. Sicuramente questo è un riadattamento del prof. Ciardi”. Allora – così mi racconta – è passato alla pagina d’introduzione: “Quando leggo: Sette probatissimi monaci che abitavano in quell’ermo che confina co’ Saraceni…, ho subito capito che era una finzione letteraria. Queste parole non potevi che essertele inventate tu”.
Eppure di tutto il libro queste sono proprio le uniche parole autentiche dell’antico monachesimo!
Potenza della finzione letteraria, più vera della realtà storica.


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