venerdì 4 luglio 2014

Luoghi imprevisti, tempi inattesi / 4


Sei la donna che più di tutti l’avevi amato e l’amavi e non sei capace di riconoscerlo. Sembra impossibile. Che ti è successo, Maria di Magdala? Le lacrime t’hanno velato gli occhi?
Avete camminato un pomeriggio intero con lui, vi ardeva il cuore in petto per la sua presenza e non vi siete accorti che era il Signore. Come mai? Fino a questo punto il dolore aveva indurito il cuore tuo, Cleopa, e quello del tuo amico?
E tu Pietro, che hai vissuto così a lungo e intimamente con lui il Maestro, che t’ha fissato negli occhi dopo il tuo rinnegamento, proprio tu, là sul lago, sei incapace di intuire chi è colui che ti dice – e non è la prima volta! – di gettare le reti? Era il sole che col suo riflesso sull’acqua del mattino di accecava la vista?
Non è facile riconoscere il Signore. Occorre tornare in Galilea, per imparare a incontrarlo nella nuova dimensione che egli ha ormai acquisito. È il Risorto, Signore dator di vita. Da lì, dalla Galilea, ci metteremo di nuovo in cammino dietro di lui ed egli ci insegnerà le sue nuove dimore, come trovarlo. Ci darà occhi nuovi, quelli della fede; ci darà un cuore nuovo, capace d’amore. Nascerà un rapporto nuovo, un nuovo discepolato, una comunità nuova.
Egli si mostra sul volto di ogni persona che incontriamo, si nascondi nella più banale circostanza della vita, ci è accanto in ogni nostra giornata.
La fede, ha scritto in proposito Jean Pierre de Caussade, «vede che Gesù Cristo vive in tutto e opera per tutta l'estensione dei secoli, che il minimo momento e il più piccolo atomo racchiudono una parte di questa vita nascosta e di quest'azione misteriosa. L'azione delle creature è un velo che copre i profondi misteri dell'azione divina. Gesù Cristo dopo la sua risurrezione sorprendeva i suoi discepoli con le sue apparizioni, si presentava ad essi sotto aspetti che lo nascondevano, e non appena si era rivelato di nuovo, scompariva. Questo stesso Gesù che è sempre vivo, sempre operante, sorprende ancora le anime che non hanno la fede abbastanza pura e penetrante. (…) Tutto quello che avviene in noi, attorno a noi e attraverso di noi, contiene e nasconde la sua azione divina, seppure invisibile, e questo fa sì che noi siamo sempre colti di sorpresa e che non riconosciamo la sua operazione se non quando sussiste più. Se squarciassimo il velo e se fossimo vigilanti e attenti, Dio si rivelerebbe a noi incessantemente e noi godremmo della sua presenza in tutto quel che ci accade; ad ogni cosa diremmo: Dominus est, è il Signore!» (L'abbandono alla divina Provvidenza)
L’alibi è la tentazione più forte per evadere l’incontro. Lo cerchiamo sempre altrove, perché il luogo nel quale ci troviamo sembra troppo ordinario. Possibile che Dio si renda presente proprio qui? È quanto mai attuale l’invito di sant’Alfonso de’ Liguori a «evitare l’inganno di taluno che perde il tempo a pascersi col dire: se stessi in un deserto, se entrassi in un monastero, se andassi in un altro luogo fuori da questa casa, lontano da questi parenti o compagni, mi farei santo, farei le tali penitenze, farei tanta orazione. Dice: farei, farei, ma intanto, soffrendo di malavoglia quella croce che Dio gli manda, insomma non camminando per quella via che vuole Dio, non si fa santo».

Romano Guardini ha portato la riflessione sul luogo per eccellenza: il proprio essere. Questo, forse più di ogni altro luogo, vorremmo abbandonare, per essere altri da come siamo. Così scrive: «Al principio della mia esistenza intendendo il “principio” non solo in senso temporale, bensì anche essenziale, quale radice e ragione di essa non sta una decisione di esistere presa da me stesso. Tantomeno semplicemente ci sono, senza che necessiti d’alcuna decisione d’essere. Tutto ciò è così soltanto in Dio. Bensì al principio della mia esistenza sta un’iniziativa, un Qualcuno, che ha dato me a me stesso. In ogni caso sono stato dato, e dato come quest’individuo determinato. Non semplicemente come uomo, ma come questo uomo: appartenente a questo popolo, a questo tempo, di questo tipo e con queste attitudini, fino a quelle ultime determinazioni, che semplicemente esistono una volta soltanto e cioè in me; a quella peculiarità ultima che fa sì che in tutto quanto faccio io riconosca me stesso, e la quale s’esprime nel mio nome… Non posso evitare questo compito assegnatomi; per esempio fuggendo nella fantasia, e sognando d’esser un altro… C’è la sensazione che non valga la pena d’esser se stessi… sono soltanto così, eppure vorrei essere di più. Ho solo questo talento e ne vorrei di maggiori, di più brillanti. Sempre devo fare lo stesso. Sempre urto contro i medesimi limiti. Sempre commetto i medesimi errori, sperimento lo stesso fallimento… Debbo rinunziare al desiderio d’essere altrimenti da come sono o addirittura un altro da quello che sono… Alla radice di tutto sta l’atto mediante il quale accetto me stesso. Debbo acconsentire ad essere quello che sono. Acconsentire ad avere quelle qualità che ho. Acconsentire a stare nei limiti che mi sono tracciati» (Accettare se stessi, p. 13-17).
Non è facile arrendersi all’evidenza che Dio ci attende nella quotidianità e nella ordinarietà della nostra vita. Pensiamo sempre che occorra un luogo speciale per incontrare una Persona così speciale – almeno essere diversi da come siamo. Come Nahaman il Siro, generale  del re di Aram. Quando il profeta Eliseo gli mandò a dire che per guarire dalla lebbra avrebbe dovuto bagnarsi sette volte nel fiume Giordano, si infuriò: «Forse l'Abana e il Parpar, fiumi di Damasco, non sono migliori di tutte le acque di Israele? Non potrei bagnarmi in quelli per essere guarito?» (2 Re, 5, 11). Attendeva un gesto straordinario, un luogo più degno di quel rivolo d’acqua – così a lui appariva – chiamato Giordano.
È il mistero del Dio onnipotente che si manifesta in un povero fiume come il Giordano, in un piccolo popolo come quello d’Israele, che si incarna in un bambino in un luogo sconosciuto, ai margini della storia, nella nostra stessa piccolezza.
«Spesso lui si fa trovare proprio là dove non si sperava che stesse», ricorda Guglielmo di Saint-Thierry.
Che non sia proprio questo mio luogo, nel quale vivo una vita così ordinaria, il luogo per l’incontro segreto e impensato con Dio?

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