giovedì 25 aprile 2024

Una famiglia carismatica

 

Nel 2014 venne a trovarmi p. Isidoro Murciego, Trinitario, con il quale anni prima avevo lavorato per l’Associazione dell’Unione dei Membri delle Curie Generalizie. Da poco era stato nominato responsabile dell’associazione dei laici e degli Istituti religiosi legati ai Trinitari. “Perché, mi disse, non raduniamo alcuni quelli che nelle Curie generalizie sono incaricati di seguire i laici? Potremo così scambiarci le esperienze, i progetti…” Io, gli risposi: “Sono alla casa generalizia, ma non sono un membro del consiglio generale e da noi non c’è un consigliere incaricato espressamente dei laici”. “Ma tu, mi disse, sei un focolarino e quindi sai costruire unità tra persone tanto diverse. Bontà sua!”

Cominciarono così, nella nostra casa generalizia, gli incontri con alcuni di questi incaricati dei laici. Prima una ventina, poi una trentina… E perché non chiamare anche le suore che hanno esperienze analoghe? Dopo due anni eravamo così tanti che non c’era più posto a casa nostra. Andammo dai Fratelli delle Scuola Cristiane e alla prima riunione eravamo già 200. E perché non chiamare anche i laici interessati?

P. Isidoro Murciego insisteva nel chiamare “Famiglia spirituale” le diverse “galassie” attorno al carisma. Io dicevo: Meglio parlare di “Famiglia carismatica”. Di lì a poco esce la lettera del Papa per l’Anno della Vita consacrata e parla di “Famiglie carismatiche”. Chissà chi ha suggerito al Papa questa parola…

Pensare a una famiglia carismatica oblata ci permette di pensare in grande, senza steccati, senza gerarchie. Anche nel mondo oblato ci sono tanti gruppi di laici, altri laici che non sono associati attraverso strutture organizzative e che pure si sentono parte della famiglia. Dovremmo permettere a tutti di sentirsi a casa. Non possiamo poi dimenticare che fanno parte della famiglia anche membri di Istituti di vita consacrata, come le COMI, le OMMI… Dobbiamo avere un respiro largo.

Le modalità di vivere e condividere il carisma devono rimanere ampie, aperte, altrimenti direbbe Papa Francesco, riprendendo le sue parole di Evangelii gaudium, nasce «un gruppo esclusivo, un gruppo di élite».

Questa apertura non è soltanto all’interno della famiglia carismatica, ma è molto più ampia, tra le diverse famiglie carismatiche, un’autentica comunione tra carismi diversi e quindi, tra l’altro, tra gruppi laicali diversi, ispirare da carismi diversi.

Mi sembra importante quello che il Papa raccomanda al riguardo, sempre nella Lettera d’indizione per l’anno della vita consacrata: «Mi aspetto che cresca la comunione tra i membri dei diversi Istituti. Non potrebbe essere quest’Anno l’occasione per uscire con maggior coraggio dai confini del proprio Istituto per elaborare insieme, a livello locale e globale, progetti comuni di formazione, di evangelizzazione, di interventi sociali? In questo modo potrà essere offerta più efficacemente una reale testimonianza profetica. La comunione e l’incontro fra differenti carismi e vocazioni è un cammino di speranza. Nessuno costruisce il futuro isolandosi, né solo con le proprie forze, ma riconoscendosi nella verità di una comunione che sempre si apre all’incontro, al dialogo, all’ascolto, all’aiuto reciproco e ci preserva dalla malattia dell’autoreferenzialità».

Il marchio oblato è identitario, ma non escludente. Pensiamo alla felice esperienza che abbiamo ormai da moltissimi anni, delle missioni al popolo organizzare dagli Oblati e capaci di coinvolgere attivamente persone di altri carismi. Oppure pensiamo al rapporto importate c’è stato e che c’è con i laici del Movimento dei Focolari. Tutto questo non ha mortificato, ma potenziato la nostra esperienza e la nostra identità, così come i membri degli altri gruppi.

Ci sono persone del laicato oblato che hanno lavorato e lavorano con altre espressioni carismatiche, dall’Azione cattolica alla San Vincenzo, dai gruppi di preghiera di Padre Pio al Rinnovamento nello Spirito. Io spero che non si pongano degli aut aut, ma dei et et, per giungere – come afferma il Papa – a “una comunione che sempre si apre all’incontro, al dialogo, all’ascolto, all’aiuto reciproco e ci preserva dalla malattia dell’autoreferenzialità”. In una società così frazionata e con problemi giganteschi, cosa facciamo da soli? Perché invece di tanti partitini gelosi e fazioni, non potenziamo il fronte comune?

Alcuni pensieri che vorrei comunicare sabato al Congresso dei laici Oblati iniziato questa sera a Sassone.

mercoledì 24 aprile 2024

San Marco a Roma

 

La basilica di san Marco? Quella di Venezia fu costruita soltanto nell’828. La basilica di san Marco è quella di Roma! costruita da Papa Marco nel 336. A Roma non ci lasciamo mancare niente...

Nei sotterranei si trovano ancora i muri perimetrali dell'originaria basilica paleocristiana sorta probabilmente sopra una preesistente casa romana. Dell’antico romanico rimangono i mosaici dell’abside di Gregorio IV (827-844) raffiguranti Cristo con S. Marco papa, Marco evangelista e Gregorio IV (col nimbo quadrato dei personaggi viventi) che offre il modello della chiesa e naturalmente il campanile del 1154.

Sembra fosse il luogo dove san Marco ha dimorato a Roma… Comunque a Roma c’è stato avvero. Era Marco per il mondo greco-romano, mentre i suoi connazionali lo chiamavano Giovanni, in ebraico. La prima e l’unica apparizione nei vangeli sembra essere quella sul monte degli ulivi, dove Giovanni Marco era andato con Gesù dopo l’ultima cena e dove si era addormentato nella casetta del piccolo podere. Svegliato dal trambusto delle guardie venute a catturare Gesù, si buttò addosso il lenzuolo e andò a vedere. Un soldato lo agguantò, “ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo”. O forse, come ci ha insegnato Giacomo Perego, quel giovinetto è il simbolo dello spogliamento totale richiesto al discepolo per poter seguire
Gesù? La mamma, Maria, aveva messo la casa in Gerusalemme a disposizione della prima comunità di Gerusalemme e ne divenne la chiesa domestica.

Discepolo e segretario di Pietro, che svolgeva la sua attività tra gli ebrei (erano circa 45.000), Marco gli faceva da interprete, perché Pietro non parla il greco o non lo sapeva molto bene. Clemente Alessandrino, attorno al 200, precisa che Marco compone il suo vangelo a Roma, annotando i racconti di Pietro. Così anche Papia, ma nel Vangelo di Marco si avverte anche una grande presenza di Paolo.

25 aprile. Come al solito sarà polemica politica. Intanto Marco è qui e fa dire a un pagano, un romano, il centurione, la professione di fede conclusiva del suo Vangelo: “Questi era davvero il figlio di Dio…”.

 

martedì 23 aprile 2024

Siamo nelle mano di Dio

“In che mani mi sono messo…” - Esclamazione di quando ci accorgiamo che ci siamo fidati delle persone sbagliate.

“Sono in buone mani” - Esclamazione di quando ci sentiamo con persone sicure.

“Siamo nelle mani di Dio” - Espressione che di solito indica che non c’è più niente da fare e che si potrebbe tradurre con: “Purtroppo non si può fare diversamente, allora ci rassegniamo”. Potremmo invece dire: “Che fortuna che siamo nelle mani di Dio, dove meglio si può stare?”.

Ci ho ripensato questa mattina quando nel vangelo ho sentito Gesù che diceva delle sue pecore: “Nessuno le strapperà dalla mia mano… nessuno può strapparle dalla mano del Padre". Che bello stare nelle mani di Dio, dove stare più sicuri?

 

lunedì 22 aprile 2024

Con san Domenico a San Sisto Vecchio

 

San Sisto era una basilica del V secolo, sorta su una villa romana, fuori delle Mura Serviane, in prossimità della Porta Capena da cui partivano le vie Latina e Appia. Abbandonata, fu ripristinata da Innocenzo III. Onorio III il 4 dicembre 1219 ne fa dono a Domenico, con lo scopo di fondarvi un monastero per la riforma delle monache di Roma. Domenico e i suoi frati ne prendono possesso il 27 dicembre.

È la quarta tappa del nostro pellegrinaggio per “fondatori a Roma”…

La creazione del monastero femminile fu possibile soprattutto grazie al trasferimento, il 28 febbraio 1221, di una quarantina di Suore provenienti dal vicino monastero di S. Maria in Tempulo alle quali Domenico consentí di portare nella nuova sede l’icona  della Madonna acheropita (in seguito denominata “Madonna di S. Sisto”), alla quale le suore tributavano una grande venerazione.

E dov’era questo monastero di S. Maria in Tempulo? Ne rimane un casolare a lato della Passeggiata Archeologica, oggi usato dal comune di Roma per celebrare i matrimoni civili. Così abbiamo ripercorso il breve cammino di Domenico e delle monache spendendo mezza mattinata, tante sono le “distrazioni” di questi luoghi antichi ricchi di storia.

Al convento di San Sisto abbiamo riletto alcuni ricordi che ci ha lasciato suor Cecilia, che al tempo di Domenico aveva 16 anni.

«Il padre Domenico — racconta la suora — consacrava il giorno a conquistare le anime predicando e ascoltando le confessioni o dedicandosi a qualche altra opera di misericordia. Ma la se­ra si portava dalle sue suore e, alla presenza dei frati, teneva loro un’istruzione o un sermone per ammaestrarle sulla na­tura dell’Ordine; perché esse non avevano altri che le potesse formare alla vita dell’Ordine».

Un aneddoto – sempre narrato da sr. Cecilia – illustra il rapporto che s’era stabilito. «Giunse una sera più tardi del solito; per cui le suore, pensando che ormai non sarebbe più arri­vato, avevano smesso di pregare e si erano recate in dormito­rio. Ma ecco che improvvisamente i frati suonano la campa­nella che serviva per adunare le suore quando giungeva il beato padre. A quel richiamo tutte le suore ritornarono prontamente in chiesa, si aprì la grata, e lo trovarono già seduto con i suoi frati ad attenderle... Egli fece allora una lunga istruzione mostrandosi molto consolato. Dopo questa conversazione disse: Sarebbe bene, figlioli, prendere qualche cosa di fresco. E chiamato fra Ruggero, il cellerario, gli ordinò di portare del vino e un boccale. Il frate portò quanto gli era stato richiesto e il beato Domenico gli ordinò di riem­pire il boccale fino all’orlo. Poi lo benedisse, ne bevve per primo e dopo lui tutti i frati presenti... Quando i frati ebbero bevuto, il beato Domenico disse: Voglio che anche tutte le mie figlie bevano. E chiamata suor Nubia soggiunse: Va’ anche tu, prendi il boccale e dà da bere a tutte le sorelle. Quella andò insieme a un’altra suora e riportò il boccale colmo fino ai bordi. E benché fosse così pieno non se ne versò nemmeno una goccia. Tutte le suore bevvero dunque, a cominciare dalla priora, poi via via le altre quanto ne vol­lero. E il beato padre ripeteva loro spesso: Bevete a vostro piacimento, figliole!».

Suor Cecilia ha lasciato anche la famosa, unica, descrizione dell’aspetto fisico di S. Domenico: «Il Beato Domenico aveva questo aspetto: era di media statura ed esile di corpo; aveva un bel viso e la carnagione un tantino rosea; i capelli e la barba tendevano al rosso; gli occhi erano belli.


 Dalla sua fronte e di fra le ciglia irradiava un cer­to splendore che a tutti ispirava rispetto e simpatia. Rimane­va sempre sereno e sorridente, tranne quando era addolorato per qualche angustia del prossimo. Aveva lunghe e belle ma­ni ed una voce forte ed armoniosa. Non fu mai calvo, ma aveva la corona della rasura tutta intera, cosparsa di qualche capello bianco».

 


domenica 21 aprile 2024

Sono nudo

 

“Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”.

Povero Adamo, si ritrova nudo, al pari di Eva. Segno di fragilità, povertà. Ha perso tutto, si ritrova a terra, con niente, ha bisogno di protezione, di difesa, di sostegno…

Quante volte anche noi ci ritroviamo in questo stato di prostrazione, di inadeguatezza, di debolezza, di bisogno… nudi.

“Il Signore Dio fece all'uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì”.

Che gesto pieno di attenzione, di misericordia. Dio che si fa sarto per proteggere, riscaldare, sollevare dall’indigenza… per fare sentire la sua vicinanza.

Copre anche le nostre nudità…

sabato 20 aprile 2024

Nel nome di Gesù

 

Domenica scorsa mi sono sbagliato – normale – è ho anticipato il Vangelo di oggi, quello del buon Pastore:

https://fabiociardi.blogspot.com/2024/04/non-siamo-un-branco-di-pecore.html

Allora questa volta mi lascio conquistare da una parola della prima lettura. Pietro deve rispondere per spiegare come ha fatto a guarire il paralitico. Semplice: “Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno”.

Basta il suo nome: Gesù! Non è già una preghiera? Soltanto chiamarlo: Gesù!

Il nome di Dio, nel mondo ebraico, non poteva essere pronunciato. Ora poiché Dio è sceso sulla terra, s’è fatto uomo, lo si può chiamare per nome. Il nome dice la persona, la sua identità: Gesù è ciò che dice il suo nome: “Dio che salva”. Lo proclama l’apostolo Pietro in questo momento, subito dopo la resurrezione: «non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (Atti 4, 12).

Paolo nella Lettera ai Filippesi parla della Resurrezione di Gesù come della sua esaltazione da parte del Padre, espressa proprio dal dono del nome, «il nome che è al di sopra di ogni nome»: Gesù. Gesù, il Dio che salva, è la sua vera identità. Per questo «nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”, a gloria di Dio Padre» (2, 9-10).

Nell’Oriente cristiano, fin dai primi secoli, è fiorita la tradizione della “preghiera del Nome”, la ripetizione costante del nome di Gesù. Anche in Occidente, a partire dal tardo Medioevo, si sviluppa la spiritualità del Nome di Gesù. San Bernardino sceglie le tre prime lettere greche del nome di Gesù, IHS, per disegnare le tavole con le quali parla di Gesù. L’ha messo su tutte le case.

Basta il suo nome: Gesù! Non è già una preghiera? Soltanto l’invocazione: Gesù!


venerdì 19 aprile 2024

P. Michel Coquelet, martire nel Laos

20 aprile del 1961. Due giorni dopo il martirio di p. Louis, ecco il martirio di p. Michel Coquelet, anche lui proclamato beato!

Era nato il 18 agosto 1931 nel nord della Francia. Nel 1945 entrò nel seminario minore di Solesmes e nel 1948 iniziò nel noviziato dei Missionari Oblati di Maria Immacolata. Ordinato sacerdote il 19 febbraio 1956, dopo il servizio militare ai confini del Sahara, il 25 febbraio 1957 ricevette il foglio di obbedienza per il Laos.

I quattro anni di vita missionaria di p. Michel nel Laos sono stati una dura prova. Per ammissione degli stessi superiori, il villaggio al quale fu assegnato era molto povero, composto da neofiti che non avevano potuto seguire le catechesi in modo regolare. Le sue riflessioni su questo argomento, annotate nel diario della missione, danno un’idea delle dimensioni delle sue sofferenze come missionario, ma anche del suo spirito di fede, colorato da un umorismo che era uno dei tratti accattivanti del suo carattere. Visse con la gente, semplicemente; facendosi tutto a tutti…

Il 20 aprile del 1961, mentre stava compiendo un viaggio a Ban Houay Nhèn, giunsero i soldati per arrestarlo, insieme al capo del villaggio cristiano e al suo segretario. Condotti sul sentiero verso Ban Sop Xieng furono uccisi sul bordo della strada.

Il 1° ottobre 1956 aveva scritto al Superiore generale:

Reverendo e amatissimo Padre,

“Alla fine degli studi, ogni Oblato si metterà a disposizione del Superiore generale”. Dopo aver letto e riletto su quest’articolo delle nostre Sante Regole prendo la penna per scrivervi non una “richiesta” di obbedienza secondo il mio estro, ma l’offerta di me stesso al servizio del Signore della Messe, nel campo che vorrete indicarmi.

Così, mi sarei limitato volentieri a ripetervi la vecchia formula: “Eccomi, manda me!”. Temo, però, che questa indifferenza possa sembrarvi una mancanza di entusiasmo per i diversi ministeri della Congregazione. D’altra parte, so anche che volete conoscere le aspirazioni messe dal Signore nel nostro cuore e, soprattutto, che inviate in Missione solo i volontari.

Allora vi dico semplicemente: sono volontario per la Missione, specialmente per quella del Laos! Nutro questo desiderio fin dal noviziato, dove mi ricordo di essere stato molto colpito da una conferenza di padre Morin, morto laggiù di tifo. Si sprigionava da questo padre un non so che di soprannaturale. Parlava, poi, della sua “povera missione”, proprio nella linea della Congregazione, con un tono tale che mi sono sentito pronto a seguirlo. Facile entusiasmo giovanile? Forse. Tuttavia, doveva esserci dell’altro, perché la cosa persiste dopo sette anni e questo pensiero mi ha aiutato nella mia vita di lavoro e di preghiera allo scolasticato.

Le affido questi pensieri con umiltà, felice di rimettermi alla vostra decisione, poiché sarebbe per me difficile – essendo ognuno cattivo giudice della sua causa – capire cosa viene dalla natura e cosa dalla Grazia. Ora chiedo al Signore nella preghiera la grazia di essere pronto ad accettare la vostra decisione, qualunque essa sia, conforme o no alle mie aspirazioni, per la sola ragione di obbedire al suo beneplacito.