lunedì 10 novembre 2025

La stanza di sant'Eugenio diventato bambino

La stanza di sant’Eugenio! Viveva qui nei primi anni di Aix, e qui tornava di tanto in quando da quando si era trasferito a Marsiglia ed era diventato vescovo. Una stanza come le altre? Sì e no… È un “luogo carismatico”, secondo un’espressione che mi piace.

Ne lo immagino qui pieno di vita e di creatività. Ma anche da vecchio, quando tante illusioni erano cadute e il cuore lentamente si era purificato e semplificato, dopo aver attraversato tante prove. Cosa rimaneva? La fede pura, l’amore vero, Dio solo.

Lo disdegno ritornato bambino. Sì, perché bambini si diventa, come dice Gesù: “Se non diventerete come bambini…” (cf. Mt 18, 3). Bambini non si nasce, bambini si diventa col passare degli anni, con la scoperta della propria inutilità, del proprio fallimento, quando tutto sembra spegnersi in noi e attorno a noi, quando si è imparato a convivere con Gesù Abbandonato.

Lo Spirito Santo mette allora sulle nostre labbra la parola “Abbà” e ci introduce in un rapporto nuovo con lui (cf. Gal 4, 6). Possiamo allora ripetere con più profondità, con la prima lettera di Giovanni: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (3, 1).

Il salmo 72 sempre mi incanta. La liturgia ce lo ha riproposto oggi, ancora una volta, in questa prima settimana del salterio. È un salmo scritto da una persona delusa, scontenta, ma che finalmente alza gli occhi e si accorge che non può esserci persona più felice di lui, perché ha Dio. Tante volte mi sento “stolto” come il salmista, perché preoccupato per mille cose, e non mi rendo conto di quanto sono amato da Dio, «lui roccia del mio cuore, mia sorte per sempre». Allora appare, come nel salmo, l’immagine di Dio che «mi prende per la mano destra», «mi guida con il suo consiglio» e mi fa dire, tutto contento: «Io sono con te sempre». Questa persona adulta, diventato bambino, non si preoccupa di altro, perché ormai sa dove Dio lo conduce: «Mi accompagnerai nella tua gloria», in Paradiso! Il salmista è tranquillo, si lascia condurre per mano come un bambino e ripete la sua gioia: «Il mio bene è stare vicino a Dio». Dio è davvero Padre e noi figli, oggetto del suo amore e della sua cura.

Eccoci finalmente bambini, come sant’Eugenio, perché crediamo veramente all’amore di Dio.

domenica 9 novembre 2025

Gli antenati degli Oblati

La Sainte Garde a St. Didier è ormai lontana, ma mi piace ricordare la storia dei Missionari che la abitavano, perché in un certo senso sono gli antenati degli Oblati.

Nel 1657, il giovanissimo sacerdote Alexandre Martin (nato il 9 giugno 1630 a Robion, Vaucluse) fu nominato parroco di Saint-Didier, dove sarebbe rimasto fino alla morte, avvenuta nel 1703. Il villaggio, piuttosto trascurato, contava allora circa 200 abitanti ed era rimasto senza sacerdote per diversi anni. Un giorno, durante la messa domenicale, Padre Martino udì una voce che gli ordinava di costruire una serie di oratori che rappresentassero i 15 misteri del Rosario. Gli oratori furono eretti nel 1665 tutt'intorno al villaggio, agli incroci. Gli oratori attuali furono ricostruiti nel 1880 sui loro siti originali, la maggior parte lungo “Via degli Oratori”.

L'oratorio dell'Ascensione doveva essere situato nel punto più alto del percorso. Tuttavia, la nicchia crollò più volte. Padre Martino udì di nuovo una voce che gli disse: "Non è un oratorio che voglio qui, ma una cappella intitolata a Nostra Signora della Santa Guardia". Chiese consiglio al suo direttore spirituale che, dopo tre giorni di riflessione, gli disse: "Non solo devi costruire una cappella, ma anche delle stanze per i sacerdoti che Dio manderà a predicare il Vangelo in varie parti della cristianità".



Trent’anni dopo, nel 1698, padre Bertet, professore al seminario di Avignone, si recò in pellegrinaggio in questo luogo, dove ebbe una visione: "Ho visto il cielo aprirsi sopra questa stessa cappella con un'esplosione di luce, e ho visto tre globi di fuoco... Inginocchiandomi, ho benedetto Dio per tale meraviglia. Avvicinandomi sempre di più, ho visto da vicino, attraverso le finestre, la cappella straordinariamente illuminata". Il 6 gennaio 1700, padre Bertet, assieme ad altri due pronunciarono i voti di stabilità e si consacrarono per sempre al servizio della Beata Vergine. Il 26 ottobre 1705, il vescovo di Carpentras erige i Missionari di Sainte Garde come comunità ecclesiastica di diritto diocesano.

I sacerdoti dividevano il loro tempo tra missioni "nelle città, nei villaggi e nei villaggi e una vita più ritirata nella solitudine di Sainte Garde", dove però accoglievano persone per momenti di ritiro, colloqui e confessioni: «Essere un perfetto solitario per essere un perfetto missionario»: questo era il motto che proponeva.

Nel 1709, ai Padri della Guardia – così erano conosciuti – fu affidata una residenza per chierici che studiavano teologia ad Avignone e nel 1719 divenne seminario. Nel 1712 presero la cura anche del santuario mariano di Notre Dame du Laus: un secolo dopo sarebbero stati sostituiti dai Missionari di Provenza!

Nella chiesa del paese a St-Denis vi sono le tombe del parroco e di padre Bertet. È una presenza ancora viva!

Durante la Rivoluzione francese, tutti i sacerdoti di Sainte-Garde rifiutarono di prestare giuramento e di sottomettersi alla Costituzione Civile del Clero. La congregazione fu sciolta e i sacerdoti furono costretti a nascondersi durante la persecuzione religiosa del Terrore. La congregazione fu ricostituita intorno al 1860 a Orange, su iniziativa del superiore del seminario minore di Avignone, padre Pierre-Siffrein Bonnet, ma si estinse con la morte dell'ultimo superiore nel 1913.

Nel frattempo però, vicino, a Aix-en-Provenza, nascevano i Missionari di Provenza, che continuavano l’opera iniziata da questi antichi pionieri…

 

sabato 8 novembre 2025

La parola che più ricorre: Gesù Cristo!


Dopo gli esercizi spirituali, da mercoledì eccoci nuovamente ad Aix, dove tutto è cominciato.

Riprendiamo il cammino di studio. P. Asodo, venuto da Roma (per la verità da più lontano... dall'Indonesia!) per farci conoscere lo straordinario slancio missionario degli Oblati nel mondo intero. Per due giorni ci ha condotto da continente in continente, rendendoci consapevoli anche delle difficoltà e dei cambiamenti strutturali richiesti per rispondere in maniera sempre più adeguata alle esigenze della missione oggi.

Cosa di meglio allora che rileggere l’ispirata “Prefazione” alla Regola che sant’Eugenio scrisse nel 1818 dando il via alla sua opera missionaria? Con un semplice strumento per indicizzare le parole del testo balza in primo piano Gesù Cristo! La grandezza diversa delle parole indicano la loro frequenza nel testo.

La prima è dunque Gesù Cristo. Poteva essere diversamente? È lui che ha ispirato il fondatore, lui che l’ha chiamato, lui che egli ha voluto seguire, lui ha voluto annunciare, far conoscere... La seconda parola che ricorre con più frequenza è “santità”. Anche qui nessuna meraviglia: da subito aveva capito che è la condizione essenziale per compiere l’opera di evangelizzazione insieme con i suoi compagni. Vengono poi i destinatari: la gente, i cristiani, le anime… non si vive per se stessi, ma per gli altri. E poi, e poi… quante parole belle, che è bene avere sempre sott’occhio e che continuano ad ispirare la Famiglia oblata.

venerdì 7 novembre 2025

Sotto il manto di Maria

In America Latina, in Africa, mi piace di tanto in tanto fotografare uomini e donne in preghiera. Sono l’espressione più bella dell’umanità. Oggi mi è capitato – e non lo faccio mai – di fotografare una donna delle nostre parti, una delle tante che si fermano a pregare davanti alla Madonna.

Di cosa le avrà parlato?

Si può dire tutto alla Madre di Dio e le si può chiedere tutto: è nostra Madre! “L’avranno sempre per Madre”, diceva la Regola di sant’Eugenio riguardo agli Oblati, frase che è stata ripresa nella Regola attuale, che è di una essenzialità e bellezza straordinarie: «Maria Immacolata è la patrona della Congregazione. Docile allo Spirito, ella si è consacrata interamente, come umile serva, alla persona e all’opera del Salvatore. Nella Vergine, attenta ad accogliere Cristo per donarlo al mondo, di cui è la speranza, gli Oblati riconoscono il modello della fede della Chiesa e della propria fede. Avranno Maria sempre per Madre. Vivranno le sofferenze e le gioie della missione in grande intimità con lei, Madre di misericordia. Dovunque il loro ministero li porterà, cercheranno di promuovere una devozione autentica alla Vergine Immacolata, prefigurazione della vittoria finale di Dio su ogni male».

Maria dunque “si è consacrata interamente, come umile serva, alla persona e all’opera del Salvatore”. E sotto quel “consacrata” c’è la parola che ci identifica come Oblati: “oblazione”, il dono di sé a Dio che mette a propria disposizione la vita perché egli la impieghi per l’opera che crede meglio e come crede meglio. È appunto quanto fa Maria, che si rende pienamente disponibile (anche lei è un’Oblata come noi!) a quanto Dio le chiede: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la sua parola».

La Regola la chiama “Madre di misericordia”, uno dei mille titoli che l’amore dei fedeli le ha riservato (basta recitare le litanie!). Madre di misericordia e rifugio dei peccatori mi ricordano le raffigurazioni di Maria che sotto il manto raccoglie tutti i suoi figli.

Maria raccoglie sotto quel manto anche questa donna venuta a pregare nella chiesa della Missione, nella chiesa degli Oblati… Con lei vorrei accogliesse anche me.


giovedì 6 novembre 2025

Il segreto della missione

Ormai più di un mese fa, di ritorno da St-Laurent-du-Verdon, ci siamo fermato a Barjols, un bel paese dove i Missionari di Provenza avevano fatto una missione nel 1818.

Ieri, di ritorno da St-Denis, ci siamo fermato a Grans, dove ci fu la prima missione, nel 1816. Cinque settimane intere, sall’11 febbraio al 17 marzo. Erano in quattro. Andò anche la mamma di sant’Eugenio! P. Tempier era rimasto a Aix per portare avanti il gruppo dei giovani. Il Fondatore lo aggiorna: “Non abbiamo il tempo di mangiare e nemmeno di dormire…”. Al padre, ancora in Sicilia, scrive: “Non avevo mai visto miracoli. Adesso non posso più dirlo! Era un popolo abbandonato, completamente smarrito, la fede spenta. Si conosceva Dio solo per bestemmiarlo… Ebbene, la missione ha cambiato tutto. Siamo in quattro a confessare e i confessionali sono assediata dalle tre del mattino. Siamo restati a confessare fino a 28 ore di seguito!

Una volta terminata la missione, i missionari tornarono altre quattro volte in paese, per portare avanti il lavoro. La gente cominciò ad andare fino a Aix per incontrare i missionari e confessarsi da loro: otto ore di camminata ad andare e otto a tornare!

Abbiamo celebrato nella messa del paese e dopo la messa siamo stati all’entrata del paese dove è ancora la croce piantata in quel 1816.

Il segreto sta forse in un nota bene che sant’Eugenio scrive alla fine di un a lettera a Tempier: “P.S. Tra noi, missionari, siamo ciò che dobbiamo essere, ossia abbiamo un solo cuore, una sola anima, un solo pensiero; è ammirevole! Le nostre consolazioni sono, come le nostre fatiche, senza eguali”.



mercoledì 5 novembre 2025

Saluto alle terre di Vaucluse

Esplodono i pioppi nei forti colori
prima di lasciare a terra 
la chioma superba.
Le viti ancora incerte
fanno diverso ogni filare
metamorfosi di toni.
L’ultima foglia rossa m’invita
a lasciare con lei
vento e tramonti
boschi e monti di Vaucluse.
M’avete segnato il passo
con capitelli e santi
con picchi e rocce
reminiscenze d’eremiti
silenti e solitari.
M’avete aperto il cielo.





martedì 4 novembre 2025

Lupi e statuine di Provenza

L'alto giorno, mentre ero a Saint Gens, ho sentito l'ululato del lupo. Per la prima volta. Sulla collina accanto il latrare dei cani. Sarà stato il lupo di Saint Gens? 
Ho poi chiesto se davvero nella zona c'erano i lupi. Sì, ci sono! Anche i lupi! non manca proprio nulla in questa meravigliosa Provenza.
Scendendo mi sono poi fermato ad una casa appoggiata alla roccia, nascosta nel bosco, che una targa indica come la bottega di un artigiano di “santons”, le statuine di terracotta del presepe, che raffigurano anche personaggi caratteristici della regione. Mi apre una signora gentile e mi introduce in un laboratorio antico con tornio, forno, mille pezzi d’artigianato. Mi racconta che continua la tradizione di famiglia, anche adesso che il marito non c’è più…

“Come fate ad abitare così isolati tra queste rocce in mezzo al bosco?”, le domando. E lei: “E voi come fate ad abitare in città? Sono qui ormai da 50 anni, anche mio figlio vive tra i boschi: fa l’ornitologo! e mia nuora viene a darmi una mano nel lavoro artigianale…”.

Quasi quasi mi ci fermo anch'io.