venerdì 11 ottobre 2019

Beato chi intraprende il santo viaggio


  
Da Gilgamesh a Ulisse a Dante, fino alle migrazioni e agli esodi dei profughi dei nostri giorni l’essere umano è sempre stato in cammino: homo viator.
Si era messo in viaggio anche Abramo, da Ur dei Caldei, per andare verso un luogo che Dio gli avrebbe indicato. Si era messo in cammino il popolo d’Israele verso la terra promessa. Attraversando il deserto sperimentava cosa significa “camminare con il suo Dio” (cf. Mi 6, 8), ed era chiamato a scegliere tra la via della vita e del bene e quella della morte e del male: «Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché oggi ti comando di amare il Signore Dio tuo, di camminare per le sue vie» (Deut 30, 15-16).
Si era messo in viaggio Gesù, verso Gerusalemme, facendosi egli stesso “Via”. Si sono messi in viaggio i primi discepoli, seguendo il Maestro. Dopo la resurrezione si sono messi in viaggio i due verso Emmaus e da allora tutta la Chiesa è in cammino rispondendo al mandato di Gesù: “Andate in tutto il mondo”. Il nuovo popolo di Dio, come l’antico, si rivela popolo in cammino. Al punto che la vita dei primi cristiani e lo stesso cristianesimo venivano definiti semplicemente come “la via”. I cristiani erano “i seguaci della via di Cristo” (Atti 9, 2; cf 18, 25; 19, 9.23; 22, 4; 24, 14.22).
La parola che Cristo rivolse ai suoi discepoli: “Seguimi” (Gv 21,22), sono diventate un imperativo assoluto e incondizionato che ha continuato a risuonare lungo tutta la storia della Chiesa. È un esodo completo da sé stessi e da ciò a cui si è legati, per incamminarsi dietro a Gesù in un’adesione piena alla sua persona, al suo messaggio, al suo destino, nella tensione verso la perfezione, in un continuo crescendo nella santità e nell’amore.


Dopo la Pasqua non era più possibile “seguire” Gesù. Per Paolo il rapporto con Cristo si esprime nell’identificazione con lui: essere in lui, lasciare che sia lui a vivere in noi (cf Gal 2,20), anche se rimane l’esigenza di camminare, anzi di correre dietro a lui per afferrarlo, così come lui ci ha afferrati (cf Fil 3,13-14). Per Giovanni seguire Gesù significa instaurare una conoscenza mutua e in una comunione vitale tra il Signore e il suo discepolo, che introduce nel rapporto di intimità ineffabile che unisce il Figlio al Padre. Seguire non è più un’azione fisica, ma un reciproco “essere”, “dimorare”, “rimanere” tra il Signore e i discepoli. Il cammino si spiritualizza e porta dalle tenebre alla luce, in un esodo interiore dal mondo per entrare – mediante la condivisione del destino di morte e risurrezione del Signore – nella casa del Padre fino al possesso della vita eterna.
Eppure l’esperienza dei discepoli che seguivano fisicamente Gesù sulle vie della Galilea e della Giudea, rimane per ogni generazione di cristiani il modello a cui guardare. Con la memoria degli inizi resta viva, nei secoli, il desiderio di fare la medesima esperienza dei discepoli del Vangelo: camminare con Gesù, stare con lui nella quotidianità della vita, vivere con lui in un rapporto dinamico sempre nuovo di comunione, di amicizia, di amore. Questo desiderio ha dato vita alle molteplici forme di vita religiosa, che trovano nel seguire Cristo la loro “norma fondamentale” (PC 2a). Ma questo stesso desiderio apre la strada anche ad ogni esperienza di autentica ricerca di condivisione del mistero di Cristo e nutre la vita cristiana fino alla piena trasfigurazione in lui.


Chi più beato di chi accoglie l’invito di Gesù a seguirlo e decide di rispondervi con generosità e prontezza? Risuona così, in maniera nuova, la beatitudine già rivolta al popolo dell’antica alleanza: «Beato chi trova in te la sua forza / e decide nel suo cuore il santo viaggio» (Sal 83, 6).
La forza viene dalla chiamata: è Gesù che ama per primo e ci coinvolge nel suo amore. La decisione di seguirlo è risposta d’amore all’amore. La forza viene dallo Spirito Santo che riversa l’amore nei nostri cuori e ci rende capace di riamare l’Amore. La vita, che è già un viaggio, diventa un “santo viaggio”.


A chi mi chiede come compiere questo cammino sono solito elencare dieci parole.

Meta. Un viaggio, perché sia tale, si protende verso una meta. Più questa s’annuncia bella e lontana, più attira. Deve essere seducente per invitare a protendersi verso di essa, per accendere del suo desiderio e far bruciare dall’ansia di raggiungerla. Senza una meta non si parte, anche se c’è chi si incammina senza sapere per dove. Deve sempre brillare dinnanzi. La nostra meta è l’incontro con Dio, che ci attende al termine del viaggio.

Compagni. Che tristezza viaggiare da soli. Si può intraprendere un viaggio per affari, per andare a trovare qualcuno…  e allora si può anche essere soli. Ma un viaggio vero, di quelli che si preparano con cura, che non si dorme la notte prima perché eccitati all’idea della partenza, va intrapreso insieme: il tempo passa più in fretta, ci si aiuta, ci si incoraggia se capita di sbagliare strada, si condividono le nuove scoperte, le gioie, le difficoltà. Guai avventurarsi nel cammino della vita senza compagni di viaggio. Insieme è più sicuro e la meta è certa.

Mappa. Una volta scelta la meta e i compagni di viaggio, se non conosciamo bene la strada si studia la mappa. La si tiene poi sottocchio durante il cammino, per non perdersi. Per noi è la Parola di Dio, “lampada ai miei passi, luce sul mio cammino”. Indica per dove passare, i luoghi pericolosi da evitare, le soste più adatte… La consultiamo ogni giorno per vedere se davvero siamo sulla strada giusta e per capire i successivi passi in avanti.

Guida. Se non sappiamo la strada, la mappa è utilissima. Ma se abbiamo una persona che già conosce il percorso, una guida, è tutto più facile! Non dobbiamo preoccuparci di decifrare i segnali; ci mettiamo nelle sue mani e siamo tranquilli di arrivare alla meta. Il Figlio di Dio venuto tra noi la strada la conosce bene: siamo diretti verso casa sua, da dove egli è venuto. È più di una guida, è proprio la “Via”. Basta ascoltare la sua voce e seguirlo. Quando non lo vedo o non lo sento ecco che spesso i fratelli si fanno voce della sua voce. Il cammino sarà sicuro e certa la meta.

Passaporto. Se il viaggio attraversa regioni lontane, abitate da altri popoli, occorre un lasciapassare, un salvacondotto. La meta ultima del nostro viaggio è addirittura il Paradiso. Ci vuole proprio il passaporto. Quale? A quella frontiera troveremo il Signore che domanderà a ciascuno i propri dati: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare… ero ammalato e siete venuti a visitarmi…”: passaporto a posto, possiamo entrare; “Avevo fame e non mi avete dato da mangiare… ero ammalato e non mi avete visitato”: passaporto non valido, non possiamo entrare. “Alla fine della vita saremo giudicati sull’amore”, è questo il passaporto per il nostro viaggio.

Fallimento. In un viaggio succede che si sbagli strada e ci si ritrovi sperduti. Quanti sbagli, quanti fallimenti... Bisogna metterli in conto, fanno parte del rischio della vita. Anche il viaggio di nostro Signore, proprio all’ultimo, sembrò terminare in un fallimento. È come se egli avesse voluto seguirci fuori strada, per esserci accanto anche nei momenti più bui e deviati. Nella sua parabola, se una pecora del gregge ha perduto la strada e s’è smarrita, il pastore non l’abbandona, ma va da lei nel luogo perduto… Con la sua presenza il vuoto si colma, il buio si illumina, la solitudine si popola. 

Ricominciare. Una volta smarrita la strada? Si ricomincia! Quanto il cammino si fa difficile e duro, la tentazione è quella di arrendersi: è finita! Invece... si può sempre ripartire.

Passo dopo passo. Il cammino è lungo, occorre mantenere il passo, a ritmo costante, giorno per giorno. Gesù ci insegna a chiedere il cibo solo per l’oggi: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Domani chiederemo il cibo per domani: “Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena”.

Costanza. Quando il cammino si fa lungo giunge la stanchezza e si affaccia, insidioso, il pensiero di abbandonare l’impresa e di tornare indietro. “Chi pone mano all’aratro e poi si volge indietro…” ammonisce il Signore.  È allora il tempo della fedeltà, memoria dell’amore e garanzia del suo futuro. Avanti, passo dopo passo, senza scoraggiarsi, anche quando la meta sembra non arrivare mai. La meta è di chi avrà perseverato fino alla fine.

Progredire. Il cammino si protende sempre in avanti. Non ci si può fermare nel luogo raggiunto. Mai confondere la tappa con la meta. “Chi non va avanti va indietro”, ripetevano i Padri della Chiesa, “cammina sempre, procedi in avanti di continuo: non fermarti lungo il cammino, non voltarti, non deviare”. È come quando si risale il fiume in barca, se smetti di remare la corrente ti riporta indietro. Si può sempre crescere nell’amore. C’è sempre posto per il nuovo.

Viatico. Lungo il viaggio se non ci si nutre vengono meno le forze e non si può progredire. Nella traversata del deserto il popolo d’Israele fu sostenuto dalla manna, Elia si rifocillò con un pane portato dall’angelo. Anche a noi viandanti il Signore imbandisce una mensa e offre il pane che dà forza. Parola ed Eucaristia sono il nostro “viatico”, “sostegno per la via”. Lo chiediamo ogni giorno al Padre: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”.

Dieci parole, dieci piccole parole per essere davvero beati!


Nessun commento:

Posta un commento