giovedì 17 marzo 2022

Gli Oblati in Turkmenistan

Io credo che il Signore mi abbia creato per essere missionario: mi ha dato in abbondanza il dono della spontaneità...  proprio una delle cose che ci vuole in missione. 

Andrzej Madej è uno dei due Oblati che vivono in Turkmenistan e costituiscono tutta la presenza gerarchica della Chiesa. D’un candore strepitoso racconta la sua esperienza in questo grande paese.

Quando siamo arrivati qui nel 1997 la gente ci ha regalato solamente una foto della chiesa cattolica costruita all’inizio del XX secolo ad Ashgabat… Nessuno si ricorda neppure dove era stata costruita. La fede cattolica è sopravvissuta nei cuori delle poche anziane (babushki). Loro pregavano il rosario, ci hanno mostrato qualche immaginetta e anche una vera icona, un crocefisso. Qualche mese fa è morta la signora Regina. Aveva lasciato la Polonia a 9 anni. Aveva dimenticato la sua lingua madre, in polacco sapeva pregare solo il Padre Nostro. Ogni anno andava a Riga per confessarsi prima di Pasqua.

Il mio sogno era costruire una chiesa a forma di Yurta. La Yurta fa parte della cultura di questo paese e dei paesi dell’Asia Centrale. Fino ad ora stiamo costruendo la chiesa delle “pietre vive”. Possiamo pregare e convertirci. Non è poco, vero? Abbiamo bisogno della conversione quotidiana cominciando da noi missionari stessi. Costruire una chiesa vuol dire rafforzare la fede, le relazioni fra di noi, dare dei piccoli segni nell’ambito del servizio caritativo… Fino ad ora non è venuto ancora il tempo di porre la domanda sulla costruzione della chiesa di pietre o di mattoni. Abbiamo già dovuto traslocare quattro volte. Siamo pellegrini…

Non abbiamo una chiesa in mattoni, non ci sono le suore, siamo l’unica comunità cattolica nel paese, ci sono grandi distanze fra noi e i nostri vicini cattolici.

Tutto ci dà la possibilità di condividere la fede in Gesù con gli altri. Per esempio quando andiamo in macchina diamo un passaggio a chi ne ha bisogno... e quei momenti durante il viaggio sono una bella occasione per dare testimonianza cristiana. Dato che io sono in Turkmenistan già da 25 anni, tanti mi chiamano: padre. Ogni giorno incontriamo la gente: al bazar, negli uffici, nei negozi... ogni incontro, anche senza parole, può essere significativo per la conversione... La gente è semplice, onesta, aperta e accogliente verso gli stranieri. Anche se ti vedono per la prima volta ti invitano a casa loro: “vieni, beviamo un çay”.

Per la gente i nostri volti sono le prime pagine del vangelo… la gente prima di tutto legge noi, la nostra vita, i nostri occhi, la nostra testimonianza. Che gioia e allo stesso tempo che responsabilità.

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