sabato 27 marzo 2021

Perché mi hai abbandonato? / 1


Domenica delle Palme. Leggiamo il Vangelo di Marco che, come Matteo, riporta una sola parola di Gesù in croce, la più dura, la più difficile: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

Una parola che squarcia il silenzio che ha visto Gesù oggetto di flagellazione e di sevizie, di duro cammino con la croce in spalla, di inchiodamento sul legno, di insulti e di beffe da parte di sacerdoti, scribi e passanti. Il cielo si è oscurato e per tre ore si è fatto buio su tutta la terra: la natura sembra essere la sola a condividere la tenebra che attanaglia il cuore dell’uomo crocifisso, sospeso tra cielo e terra.

Il suo spogliarsi della divinità al momento dell’incarnazione giunge adesso a compimento:

«non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini. (…)
fino alla morte
e a una morte di croce» (cf. Fil 2, 6-8) .

Dov’è la divinità in quell’uomo abbandonato da tutti, perfino da Dio?

Glielo hanno appena rinfacciato: «Salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce. (…) Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!» (Mt 27, 40-43).

Dunque non è vero che è Figlio di Dio, non è vero che Dio gli vuole bene, invano ha confidato in lui.

L’abbandono è stato progressivo, a cominciare da quello dei suoi discepoli. Quando nell’orto degli ulivi le guardie erano giunte per arrestarlo, «tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono» (26, 56). Sapeva che sarebbe accaduto: «Questa notte – aveva appena predetto – per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: “Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge”» (26, 30). Giuda lo tradisce, Pietro lo rinnega… Le donne che lo hanno seguito dalla Galilea devono rimanere lontano, lasciando, anche loro, il Maestro da solo (cf. 27, 55). Il suo popolo lo ha ripudiato, dai capi alla folla; a lui preferiscono Barabba e ripetono il grido di condanna: “Sia crocifisso!” (cf. 27, 20-29).

Tutti lo hanno abbandonato.

Ma adesso ad abbandonarlo sembra essere addirittura Dio, suo Padre.

Sì, Gesù è l’uomo maledetto, come asseriscono le Scritture: «Maledetto chi è appeso al legno» (Deut 21, 22-23). È stato espulso dalla città santa, come un impuro, un lebbroso. È stato crocifisso fuori delle mura, come fa notare la Lettera agli Ebrei, vedendovi in questo un “obbrobrio” (cf. 8, 12-13): è un disonore, una vergogna, meritevole del castigo di Dio.

Nessuno è con lui in quel momento, si è fatto buio. Non è la solitudine delle notti stellate quando in silenzio parlava col Padre. Sul Golgota ci sono soltanto le tenebre dell’odio, mentre continua lo scherno e la derisione.

Dio è scomparso, si è eclissato, come il sole. Il colloquio con lui, che fino ad allora era stato costante, è cessato. Il parlare di Gesù sembra un monologo, senza risposta: «Anche se grido e invoco aiuto, egli soffoca la mia preghiera» (Lamentazioni 3, 8). Sono sue le parole di Giobbe: «Io grido a te, ma tu non mi rispondi, insisto, ma tu non mi dai retta» (30, 20); sue le parole dei Salmi: «Dio, non startene muto, non restare in silenzio e inerte, o Dio» (82, 3); «Dio della mia lode, non tacere» (109, 1); «Dio mio, invoco di giorno e non rispondi, grido di notte e non trovo riposo», fino a ripetere: «Dio mio, Dio mio, perché anche tu mi hai abbandonato?» (22, 2-3).

Il Padre non risponde. Gesù si è sempre rivolto a lui chiamandolo “Padre, adesso per la prima volta lo chiama “Dio”, ed è lontano, tace.

Ancora una volta le Scritture sembrano interpretare quanto Gesù sta vivendo: «Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?» (Sal 13, 2). Al Figlio sembra che il Padre lo abbia dimenticato e proprio nel momento in cui più lo vorrebbe vicino a condividere il suo patire e la sua solitudine.

Gesù adesso somiglia a quei pazzi che parlano con se stessi ad alta voce. Come la sposa del Cantico, inutilmente egli cerca l’amato: «l’ho cercato, ma non l’ho trovato» (3, 1). È vuoto e solitudine. È la notte. Soltanto la natura lo comprende e stende le tenebre attorno a lui.

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