venerdì 30 aprile 2021

La felicità è respiro

“Dovevo giungere alla vigilia di Natale del 2020, mentre ero ricoverato da dodici giorni per una severa polmonite da Covid-19, per capire che la felicità è respiro. Come se tutto il mio ricovero acquistasse in quell’istante il suo senso. Sì, respiro, semplicemente respiro…”

Inizia così il breve libro di Gianni Cervellera nel quale racconta quello che ha vissuto con il virus: La felicità  è respiro. La doppia guarigione dal Covid-19. Doppia guarigione perché oltre a quella fisica è come se in Gianno fosse sopraggiunta anche una nuova vita affettiva e spirituale.

Una storia drammatica, quella vissuta da questo mio amico. La storia di tante persone aggredite dall’epidemia. La descrive attimo per attimo, i sintomi, la corsa in ospedale, la degenza in terapia intensiva, la solitudine, ma anche la presenza competente, carica di umanità di quanti lo hanno assistito. In una lettera indirizzata al personale sanitario dell’ospedale, e riportata alla fine del libretto, parlando delle dottoresse, scrive, tra l’altro: “Mi occupo di formazione sanitaria da quasi 30 anni, ma da loro c’è solo da imparare per competenza unita ad una spiccata capacità empatica di comunicare. Alcuni anni fa organizzai un convegno, proprio nel vostro ospedale, dal titolo Felici di prendersi cura. Ecco, loro mi sembrano l’incarnazione di quel titolo”.

C’è la presenza costante, anche se non fisica, della moglie, dei figli, degli amici. Ma anche la paura di non respirare più. La presenza di Dio, ma anche il suo silenzio che sembra assenza, e gli interrogativi angoscianti che questo comporta.

Poco più di 40 pagine che portano dentro il dramma del Covid, vissuto con ansie, paure, speranze, e che aiuta a capire la vita in modo nuovo.

mercoledì 28 aprile 2021

Madonnelle romane


Viale Trastevere, strada di grande scorrimento. Ma di fronte al Ministero della pubblica istruzione conviene fermarsi un attimo per un’Ave Maria davanti alla Madonnella. È silenziosa, senza una nicchia vera e propria, semplicemente appoggiata al muro di cinta.

Si era ancora in guerra quando, all’inizio del 1944, il bassorilievo fu realizzato dallo sculture Arrigo Minerbi. Dietro quella recinzione, che era stata casa della Gioventù italiana del littorio, l'anno precedente, nel 1943, aveva preso sede l’opera Don Orione, che pensò alla costruzione dell’edicola. Di qui il nome di Madonna degli orfani.

Questa Madonna modesta, di nessuno, sulla strada, è di tutti e attorno a lei è fiorita, spontanea, una selva di piccoli ex voto. È l’espressione di questa devozione semplice che fa bello questo santuario all’aperto. Sta bene a tutti, perché la mamma è sempre la mamma.

martedì 27 aprile 2021

I laici nella Chiesa



 Mi fa sorridere la dotta domanda: “Qual è il posto dei laici nella Chiesa”.

È come domandare qual è il posto dell’acqua nel mare.

lunedì 26 aprile 2021

Madonne romane

 



25 aprile mattina. Trovo le strade attorno a piazza Venezia bloccate. Già, è il 25 aprile! Le autorità sono al Vittoriano per celebrare la Liberazione, con le Fiamme tricolore che volteggiano in cielo. Devo lasciare la macchina in piazza della Consolazione, ai piedi della Rupe Tarpea. Un luogo dal passato tristo, che oggi è invece d’una pace incantevole, silenziosa e sempre ariosa, nonostante o proprio perché la piazza è trasformata in parcheggio.

Era un luogo dove venivano eseguite le condanne capitali. Uno dei condannati a morte lasciò due fiorini d’oro perché accanto alla forca fosse collocata un’immagine della Madonna, per “consolare” gli ultimi istanti dei condannati a morte. La Madonnella fu addossata al muro di una casa vicina, fino a quando un condannato, che si proclamava innocente, mentre penzolava alla corda sentì la Madonna che lo sosteneva con la sua mano e gli diceva: “Vai, perché sei consolato” e fu immediatamente liberato. Il fatto fece così tanto scalpore che si costruì una chiesa che accolse la Madonnella.

La chiesa attuale, successiva, è bella, con un restauro approssimato che la lascia rustica. È silenziosa, accogliente, sempre solitaria. Sono entrato ancora una volta. Sull’altare centrale campeggia la Madonna della Consolazione, restaurata da Antoniazzo da Romano.

Ma oggi mi attira, nella cappella di sinistra la minuscola antica icona di santa Maria in Portico. E qui comincia un’altra storia, di questa Madonnella romana. Dobbiamo tornare al 17 luglio 524 quando santa Galla, nel portico del suo palazzo al portico di Ottavia, poco distante dal Teatro Marcello, vide un grande bagliore. Corse al Laterano a chiamare il Papa che si lasciò convincere ad andare alla casa della matrona. Anche lui scorso la luce, mentre tutte le campane di Roma iniziarono a suonare. Da mezzo alla luce il papa vide due angeli che gli misero in mano un’immagine della Madre di Dio. Uscì dalla casa, mostrò l’icona a tutto il popolo e con essa lo benedì.

Vero, non vero… ma che importa, sono storie belle, che vanno raccontate in tutti i particolari, che fanno incantare, sognare… E se andiamo nella cappella di sinistra c’è la Madonnella… un’altra volta.



domenica 25 aprile 2021

Uniti nel Padre


Mi trovo con qualche centinaio di operatori pastorali collegati in contemporanea, in vari continenti, con traduzioni simultanee. Il tema che sto svolgendo mi prende moltissimo. Dopo 16 minuti, improvvisamente mi si spegne il computer e la mia conversazione si perde nel nulla. Che smarrimento…

L’idea che stavo comunicando è semplicissima e bellissima: l’unità chiesta dal Gesù al Padre si fa attorno al Padre: riconoscendolo come Padre e riconoscendosi come fratelli e sorelle.

Ero partito da un testo conosciutissimo che Chiara Lubich aveva scritto nel dicembre 1946: “L’anima deve sopra ogni cosa puntare sempre lo sguardo nell’Unico Padre di tanti figli. Poi, guardare tutte le creature come figli dell’Unico Padre. Oltrepassare sempre col pensiero e coll’affetto del cuore ogni limite posto dalla vita umana e tendere costantemente e per abito preso, alla fratellanza universale in un solo Padre: Dio”.

Indelebile in me il ricordo di quando, durante il viaggio con la Scuola Abbà in Terra Santa, giungemmo sul Monte degli Olivi, nella grotta dove Gesù, rispondendo alla richiesta dei discepoli, insegnò loro: “Quando pregate dite: Padre….”. Fu uno dei momenti più belli del nostro pellegrinaggio. Cantammo il Padre nostro, ed ebbi l’impressione che davvero il Padre ci avvolgesse tutti, rendendoci fratelli e sorelle. Mi pareva di vedere Gesù e Maria che ci prendevano per mano e insieme ci orientano verso il Padre.

Che gioia poter dire “Padre” assieme agli altri. Gesù continua a porsi accanto a noi e ci fa rivolgere dove lui è rivolto, verso il Padre.

Il “Padre nostro”: preghiera trinitaria per eccellenza: possiamo dire Padre soltanto se e perché siamo nel Figlio: figli nel Figlio. È Gesù che in noi ripete Abbà, Padre: è lui che prega in noi e ci porta nel Padre. Possiamo dire Padre soltanto se e perché lo Spirito mette il suo nome sulle nostre labbra, così come lo mette sulle labbra stesse di Gesù. La preghiera del “Padre nostro” ci rivela il circolo d’amore della Trinità e ci introduce in esso, rendendoci partecipe della relazione d’amore tra i Tre.

Scoprire il Padre come fonte e culmine d’unità, ci rende consapevoli del suo amore personale che arriva ad ognuno di noi, ad ognuna delle sue creature.

Consapevoli del valore di ciascun essere e di ciascuna persona – come una parola che il Padre nel suo amore pronuncia – possiamo guardare ognuno come un’espressione diversa del suo unico amore, ognuno con la sua irrepetibile bellezza, ognuno necessario all’altro per comporre un’unità ricca di tanta diversità. Non soltanto tra le singole persone, ma tra diverse realtà ecclesiali - movimenti, gruppi, associazioni, vocazioni diverse - capaci di riconoscersi, amarsi, collaborare... Possiamo poi immaginare la medesima dinamica nel mondo dell’economia, della politica, in ogni ambito sociale, tra nazioni… Anche nelle nostre parrocchie, al cui interno gruppi, iniziative, persone, domandano di essere valorizzati per la loro peculiarità: soltanto insieme potremo compiere la missione che ci è affidata. Lo stesso nella collaborazione tra parrocchie, per i tanti progetti che possono essere portati avanti insieme.

Sono tanti i modi di pensare l’unità. A me sembra bello vederla come famiglia di fratelli e sorelle uniti attorno al Padre.

Sono queste le cose che avrei voluto dire… Sicuramente lo Spirito Santo le avrà dette al cuore di ognuno, anche senza le mie parole, meglio di come avrei potuto dirle io.

 

sabato 24 aprile 2021

Me ne importa

Quando il mercenario vede venire il lupo abbandona le pecore e fugge, perché non gli importa delle pecore.

“Non gli importa”. È una parola chiave del Vangelo di questa domenica. Indica disinteresse verso l’altro, egoismo allo stato puro. I fascisti ne avevano fatto il loro matto, una bandiera: “Me ne frego”. Era anche il motto di Caino: “Sono forse il custode di mio fratello?”.

Il contrasto con il pastore è inevitabile: a lui delle pecore "gliene importa", le ha a cuore, se ne prende cura - fino a morire per loro! Per cinque volte Gesù ripete che egli offre la vita per le sue pecore. Era il motto di Don Milani e della sua scuola: “I care”, me ne importa. 

Sì, siamo i custodi dei nostri fratelli. C’è ne prendiamo cura. 
Farsi carico dell’altro: senso di responsabilità, personale e sociale.

venerdì 23 aprile 2021

Ancora su Giovanni Santolini


Lo zoom su Giovanni Santolini, seguitissimo, ci ha fatto rivivere un'esperienza bellissima:

https://www.youtube.com/watch?v=TKgr8cY_Zto

Congo. Un paese vasto quanto l’Europa, dilaniato da una guerra civile tra le più crudeli. L’ultima volta che ho visitato la capitale, Kinshasa, mi ha fatto impressione il degrado della città, le vetrine dei negozi murate, le finestre delle case chiuse da pesanti inferiate: una prigione che vive nel terrore delle razzie, delle violenze.

Ma per me il Congo era soprattutto il volto sorridente di un amico: Giovanni. Mentre passeggiavamo per le strade di Kinshasa piantonate da soldati armati fino ai denti gli dicevo, scherzando: «Pensa che onore per me quando mi giungerà la notizia che sei stato ucciso. Giovanni, il martire, era mio amico!».

A padre Giovanni Santolini, missionario Oblato di Maria Immacolata, non sono mancate le occasioni per morire martire, dando la vita per amore della propria gente. Come quando il 16 febbraio 1992, accompagnò i vescovi e i cristiani in una manifestazione organizzata dalla Chiesa cattolica per reclamare i diritti civili. Raro europeo, con la sua bella veste bianca e la croce alla cintura, divenne facilmente bersaglio dell’odio dei poliziotti che lo pestarono con il calcio dei fucili e con gli scarponi chiodati, lasciandolo a terra mezzo morto...

Ma padre Giovanni non è stato ucciso, non è morto come un martire. È morto in un comune incidente con il motorino, a 43 anni, il 23 marzo 1997. Non è morto da eroe perché, aveva rinunciato a essere un eroe. Pensava solo ad essere costantemente in donazione, pensava soltanto alla sua gente.

«Verso la seconda liceo - racconta lui stesso -, ho scoperto fortissima la chiamata alla santità. Ho capito che se non diventavo santo la mia vita non avrebbe avuto senso; perciò mi sono messo sotto a diventare "santo"».

I cliché classici della santità gli dicevano che bisognava venire umiliati. Ecco allora le trovate più colorite per farsi prendere in giro, per apparire uno stupido. «Volevo essere il più povero, il più disprezzato di tutti gli uomini».

Presto si accorse che forse non era questa la sua via di santità. Allora di nuovo la domanda: «come farmi santo?» Le penitenze! «I santi hanno fatto grandi penitenze... dormivo per terra, mi alzavo di notte a pregare, d’inverno facevo la doccia fredda, stavo con la finestra aperta... certe volte mangiavo poco, lavoravo a più non posso, ma sentivo che tutto questo non mi bastava.»

Gli dicono che Gesù praticava lo yoga. Si butta nello yoga. Oppure la via del nascondimento dei Piccoli Fratelli di Gesù? Va a Torino a visitarli, ma capisce che neppure questa è la sua strada.

Finalmente la grande idea: il martirio. Si fa l’idea che nelle terre artiche, tra gli eschimesi, ci sia ancora questa possibilità. Ricerca di una congregazione missionaria che lavori in quelle terre. gli Oblati di Maria Immacolata! Voleva andare dove c’erano 40 gradi… “Pensavo a 40 gradi sotto zero, ripeteva. Invece erano 40 sopra zero! Non ero sbagliato, erano sempre 40”.


Giovanni arriva in Congo nel 1987. Ha 33 anni.

A Kinshasa trova una casa di formazione per gli studenti di teologia oblati, in pieno sviluppo. Da 40 in pochi anni i giovani in formazione passano a 50, 60... Giovanni viveva con loro, lavorava per loro, insegnava a loro…

Il 5 aprile 1996, Venerdì santo, mi scriveva «Dio non toglie i problemi, ma mi domanda di amarLo nei problemi. Sento che il mio ruolo qui è quello di dare pace e serenità, di prendere su di me le tensioni e, anche a costo di sembrare sciocco, di far sì che non si vedano i problemi ma che si veda il positivo e che si vada avanti. Bisogna togliere a tutti i costi lo spirito di disfattismo, del "non va bene niente", del "fate tutto male e non siete capaci a far niente..."».

Il segreto di Giovanni stava in questa capacità di consumare in sé il negativo per dare agli altri solo il positivo: un vuoto tutto pieno d’amore: «La mia vocazione è l’unità e quando, anche nelle cose concrete, sono solo, mi sento come un pesce fuor d’acqua» (20.11.95).

La sera prima di morire aveva mandato l’ultimo messaggio E-Mail via Internet. Mi sembra che meglio di ogni altra parola possa dire chi era Giovanni: «Continuiamo a tenere Gesù in mezzo tra di noi nell’amore reciproco: sarà lui che ci proteggerà da ogni pericolo e saprà costruire tutto per il bene e la crescita della nostra opera e della Chiesa. Oggi dalle suore ho parlato di Maria desolata, del suo stabat ai piedi della croce... Lei è la risposta a tutti i nostri problemi e timori. In quello stabat troviamo la ragione del nostro stare fermi, sereni, fiduciosi nel Padre e nel Suo disegno...».

giovedì 22 aprile 2021

Giovanni Santolini, un eroe (senza paura?)


Grande attesa per lo zoom di venerdì sera su Giovanni Santolini. Un suo fratello mi ha detto: “Vedrai quanta gente, Giovanni è sempre stato un vanesio, per cui anche questa volta farà scena”.

In occasione del 25° della sua morte mi è stata commissionata la biografia. Chissà cosa scriverò. Mi piacerebbe comunque iniziare il libro con l’atto che, agli occhi dei congolesi, lo ha immortalato come un eroe.

Fu durante una manifestazione organizzata dall’opposizione per esprimere la protesta contro il regime. In quella occasione due degli studenti Oblati con i quali viveva Giovanni furono arrestati e si sa quello che può accadere in questi casi. Appena giunse la notizia allo scolasticato Giovanni organizzò una mobilitazione generale: “Andiamo a liberarli”, e si pose a capo del piccolo esercito. Quando i militari si videro arrivare questa masnada cominciarono a sparare. Tutti scapparono. Rimase soltanto Giovanni e Macaire. “Mac – gli disse Giovanni – non arrendiamoci, avanziamo!”. I militari rimasero sconcertati nel vedere i due venire verso di loro senza paura (forse l’avevano ma non la davano a vedere) e cessarono di sparare. Al termine dei negoziati Giovanni tornò a casa con i due studenti, liberati, e fu accolto come un eroe.

mercoledì 21 aprile 2021

Ricordando Giovanni Santolini


Venerdì 24  aprile, per “I santi della carità”, avremo l’incontro zoom con Giovanni Santolini. Saranno con noi la sorella Gabriella, il nipote Emanuele, l’amico Paolo, il discepolo Guillaume.

https://us02web.zoom.us/j/86096352412?pwd=QXVSTnNEdGNTa1Juajc2UmI1QlduUT09

Mi preparo leggendo il componimento di una bambina, scritto venerdì 1 dicembre 1993:

Una visita inaspettata
È venuto a trovarci Padre Giovanni, un missionario che vive in un villaggio dell’Africa.
Lì le persone sono molto povere, ma sono sempre pronte ad aiutarsi e a dividere con gli altri ciò che hanno.
Anche Padre Giovanni aiuta gli altri: ogni giorno celebra la Messa, insegna, lavora nell’ospedale.
Tutti i bambini che vanno a scuola indossano pantaloni o gonne blu e magliette bianche.

Alla sera lavano questi indumenti per averli puliti il giorno dopo, dato che sono gli unici che hanno per andare a scuola.
Padre Giovanni ci ha lasciato un incarico: cercare di essere anche noi DIPONIBILI ad aiutare gli altri.

martedì 20 aprile 2021

"Meditazioni": un classico

 

Il mio primo contatto con il libro Meditazione fu con l’oggetto stesso. Un contatto solamente visivo. Non avevo il coraggio di toccarlo se non con gli occhi. Era posato sull’ultimo banco della cappella, dove si sedeva il rettore del seminario che più tardi sarebbe diventato vescovo. Mi attirava quella copertina rossa, con la bella foto della Madre con Bambino. Mi attirava il titolo, semplice, essenziale, promettente. Mi incuriosiva la mancanza del nome dell’autore (non immaginavo fosse un’autrice). Adesso, dall’inventario delle edizioni ricostruito da Maria Caterina Atzori, mi pare di poter affermare con sicurezza che si trattava della quarta edizione, del 1962.

Avrei dovuto attendere il 1965 per prendere in mano il libro, ormai in una nuova edizione, la sesta, con finalmente il nome dell’autrice, Chiara Lubich. Lo leggevo assieme a un mio compagno di liceo. Cercavamo luoghi appartati e silenziosi come richiedevano quelle pagine dense, anche un po’ misteriose… Ne rimanevo affascinato pur non cogliendone appieno il significato: mi chiedevano di lasciarmi prendere per mano per condurmi verso orizzonti di senso ulteriori, come un appello all’infinito.


Chissà quante migliaia e migliaia di lettori, di innumerevoli lingue, potrebbero raccontare come e quando sono venuti in contatto con questo libro. Perché esso non lascia indenni, segna una storia. E quante generazioni lo leggeranno ancora. Perché è un classico. Sessant’anni di vita sono bastati a consacrarlo tale. Un classico senza specificazioni limitanti, come potrebbe essere “di spiritualità”, o “di mistica”. È un classico e basta, perché scava nell’animo umano e ognuno vi ci si può ritrovare; guarda l’umanità d’attorno e ne interpreta gli aneliti più profondi, i suoi sogni, i desideri.

Sono cinquant’anni che li leggo queste meditazioni e sempre mi dicono cose nuove. Come quando le lessi la prima volta, sento che in esse si celano ancora dimensioni segrete, segno che davvero Meditazioni è un “classico” e, come ogni classico, continua a parlare al lettore e a instaurare con lui un colloquio sempre nuovo.

Adesso, come ogni classico che si rispetti, anche il libro Meditazioni di Chiara Lubich ha la sua edizione critica, curata da Maria Caterina Atzori: “La Luce va data”. Meditazioni di Chiara Lubich: prima edizione critica, Città Nuova, Roma 2021, 352 p. Ho appena scritto una nutrita recensione per la rivista "Nuova Umanità".


domenica 18 aprile 2021

Tota tua

 

30 maggio 1988

Voglio prepararmi bene fin da oggi per l’atto di consacrazione che farò domani a Maria assieme alle mie sorelle. Come farò a prepararmi bene? Cosa farò… da chi andare? Mi conviene correre da Gesù. Egli meglio di me conosce la Madre, mi potrà suggerire la forma migliore per farla contenta!

31 maggio 1988

Questa sera mi sono consacrata a Maria! Un motivo in più per ricordarmi che non mi appartengo per niente. A Lei ho affidato tutto, tutto. “Totus tuus” col Papa… Tota tua! Tutta tua! Sono venute le sorelle Sandra, Enrica e Teresa. P. Giorgio ci ha celebrato la Messa... è stato molto bello. Per completare la nostra gioia sono arrivati sul tardi p. Fabio e p. Tonino.

Riflessioni nel giorno di compleanno. 30 ottobre 1970

Mio Dio, sei in me
il più profondo di me
non altro sono io
se non un alito di Te
un soffio che corre via
e porte me in Te.
Il mio esistere è in Te
il mio vivere + in Te
il mio morire è in Te
perché sei l’Eterno Vivente

Tre brevi pensieri di Giovanna Clemente, nel secondo anniversario della sua morte.

sabato 17 aprile 2021

Toccatemi, sono proprio io


La sera di Pasqua il Risorto «stette in mezzo a loro» (Luca 24, 36). Non viene dal di fuori, non “appare” (come invece si legge nella precedente versione della CEI). Semplicemente “stette” (éstē). Era già lì, presente, anche se non lo vedevano. È la nuova realtà della Chiesa, che è tale perché il Signore “sta” in mezzo ai suoi (Mt 18, 20), costantemente (Mt 28, 20), è l’Emmanuele (Mt 1, 23).

Il Risorto si rivela nella sua identità più profonda: «Sono proprio io». Solitamente questa autorivelazione, “Sono Io”, Ego eimi, la sentiamo da Gesù nel Vangelo di Giovanni, ed ha il valore forte di quell’“Io sono” con il quale Dio si fa conoscere a Mosè. Gesù è l’Io di Dio, è il Signore Dio.

Ma quale Dio è quello che si presenta davanti ai discepoli?Un Dio crocifisso! «Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io» (Luca 24, 39). Per farsi riconoscere mostra i segni della passione. Colui che è lì presente è l’identico Gesù che è stato crocifisso.

L’“Io sono”, il Dio Gesù Cristo, è un Dio che ha amato fino a morire per noi. Il Risorto non è un altro, è lo stesso Crocifisso.

Luca, al pari degli altri evangelisti, a questo punto riferisce che i discepoli non credettero. Ma Luca è l’evangelista della misericordia e, anche in questo momento non si smentisce, motiva la loro incredulità e la scusa: «per la gioia non credevano» (24, 41).

Gesù sbarazza comunque ogni dubbio: «Toccate e guardare; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho» (24, 39).

Anche Giovanni, nel racconto della risurrezione, riporta le stesse parole, rivolte a Tommaso, invita a “toccare” e a “guardare”.

Addirittura, in Luca, Gesù chiede di poter mangiare, per far vedere che non è un fantasma: «Avete qui qualche cosa da mangiare?» (24, 41).  Gli esegeti mettono subito le mani in avanti e spiegano che Gesù non si è messo proprio a mangiare il pesce come racconta il Vangelo, sarebbe soltanto un modo per esprimere in maniera realista la verità della corporea di Gesù. Comunque, all’inizio della seconda parte della sua opera, gli Atti degli Apostoli, Luca scrive che quella sera Gesù «si trovava a tavola» con i discepoli (1, 4). Più avanti riporta le parole di Pietro che racconta: «Noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti» (10, 41).

Quel “toccate e guardate” è di una bellezza straordinaria. Tutti hanno bisogno di toccare: le donne, la Maddalena, Tommaso…

Sono due parole che dicono la verità e la profondità di un rapporto che tutti vorremmo avere con Gesù. Un rapporto che ci libera dai tanti fantasmi che sconvolgono la nostra pace. Un rapporto che fa riconoscere dietro il velo di quanto ci fa paura, il volto splendente del Risorto, e trasforma le nostre piaghe in amore, come le sue…

venerdì 16 aprile 2021

Un cuore su cui poggiare la testa

 


“Cerco un cuore su cui appoggiare la mia testa e non lo trovo, non ci sono più amici!”.
Così un papiro egiziano di circa 4000 anni fa

Il discepolo amato l’ha trovato, la sera del Giovedì santo.
Forse possiamo trovarlo anche noi…

giovedì 15 aprile 2021

Consultore




Quest’anno ho celebrato le nozze d’argento con la Congregazione degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica: sono consultore da 25 anni. Papa Francesco mi ha da poco riconfermato come consultore di questa Congregazione vaticana per altri cinque anni. 

Oggi la prima riunione via zoom tra tutti i consultori, una quarantina, sparsi nei cinque continenti. La rappresentanza è molto varia.

Sullo schermo vedo persone note e amiche, come Bruno Forte, Giancarlo Ghirlanda, Mary Melone, Amedeo Cencini, José Cristo Rey, Paolo Martinelli, insieme a tanti volti nuovi, come il superiore generale della Grande Certosa di Francia, e tante altre persone di vocazioni molto diverse.

Cosa dovrebbero fare i “consultori”? Da statuto, dovrebbe essere persone di “scienza e prudenza”, disponibili a “studiare con diligenza le questioni proposte e dare parere per iscritto”. Forse, più in generale, dovrebbero riflettere sulla vita consacrata oggi… a cominciare – è la mia personalissima opinione – dalle sue debolezze e fragilità. 

Quest’anno si celebra un altro 25°, quello dell’esortazione Vita consecrata  scritta da Giovanni Paolo II. Allora egli propose una visione alta, forte, decisa. Oggi dovremmo avere il coraggio di confrontarci con una  immagine di vita consacrata più povera, con una presenza più modesta: non è più una struttura potente nella Chiesa. Siamo diminuiti nei numeri, nelle opere… Siamo scesi da un piedistallo e questo forse ci rende più vicini alla gente con la quale condividiamo anche gli sbagli.

È la condivisione della “debolezza di Dio”. La scelta di Dio passa attraverso il riconoscimento della sua misericordia e della sua gratuità d’amore, che in Gesù raggiunge la nostra fragilità: “Quando sono debole è allora che sono forte”. La nostra debolezza e le nostre ferite non sono un ostacolo, ma la via concreta per lasciarci raggiungere dal suo amore. Questo percorso ci renderà capaci di capire quanti sentono la lontananza o l’assenza di Dio e di aiutarli a cogliere proprio lì la sua presenza.

mercoledì 14 aprile 2021

Il canto del suo abbandono


Ho riletto una famosa poesia di Ungaretti dal pathos struggente. Una delle sue prime poesie, in cui ricorda l’amico Moammed Sceb
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria.

Moammed Sceb muore perché
non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono.

M’è venuto d’impeto, forse perché l’ho da poco commentato, il grido dell’abbandono di Gesù in croce. La differenza è che Gesù ha saputo sciogliere il canto del suo abbandono. L’avesse tenuto per sé sarebbe finito come Moammed. È bello questo Gesù che sa sciogliere il suo canto d’abbandono.

L’altro orizzonte della poesia che mi ha particolarmente preso è la chiusura:
Riposa
Nel camposanto d’Yvry (…)
E forse io solo
so ancora
che visse.

In queste parole tutta la pietà umana.

Mi torna alla mente la sterminata distesa di croci, o bozzoni di croci o comunque di segni anonimi, nel cimitero di Prima Porta a Roma. Legioni e legioni di dimenticati, che si perdono all’orizzonte, senza nomi, senza nessuno che li ricordi, e quindi morti davvero…

Eppure c’è chi li ricorda ancora, uno per uno, per nome…

martedì 13 aprile 2021

Roma, una bella signora


Non mi fu facile accogliere Roma. Infatti fu Roma ad accogliere me.

Venivo da Prato, da Firenze, da una Toscana dominata dal Trecento e dal Rinascimento. Fine, elegante, leggera come una bella ragazza giovane. Ignoravo il barocco, o meglio, non sapevo apprezzarlo.

Roma mi si mostrava col suo volto barocco. Ci sono tutte le stagioni dell’arte, a Roma, ma l’immagine esteriore che si impone è quella barocca. Non soltanto come arte, ma anche come stile della città. Insomma una signora belloccia, appena appena sfiorita.

Eppure con la sua arte seducente mi ha gradatamente ammaliato fino a farmi incantare, addirittura, del barocco. Nella sua storia millenaria ha saputo accogliere e sedurre tutti…

Ho ripensato a questo mio rapporto con Roma, detto proprio in due parole, leggendo il libro di Rutelli, Tutte le strade partono da Roma. Sono andato a leggermelo camminando sulla riva del Tevere. Un libro fascinoso, di storia, arte, costume. Un libro sul passato, sul presente, sul futuro della città e della civiltà. Con aneddoti, sprazzi di vissuto personale. Un libro vivo come la città di cui parla.

Civis romanus sum. Anch’io. E non soltanto perché ho la carta d’identità di Roma… (ma quanto tempo per averla, cara bella signora!!! - Roma è proprio eterna)

lunedì 12 aprile 2021

Rosario: i Misteri della Risurrezione



 Mi piace riproporre una mia serie di "Misteri del Rosario": "I misteri della Risurrezione".


Primo mistero: Gesù incontra Maria di Magdala nel giardino
«Gesù le disse: “Maria!”. Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì”  che significa “Maestro mio!”» (Gv 20, 16).
Il pastore conosce le sue pecore, ciascuna per nome, ed esse conoscono la sua voce (10, 3-4. 14).
È bello essere chiamati per nome: dice amicizia, rapporto personale, intimità. Con quel nome, “Maria”, è come se Gesù l’abbracciasse, la prendesse dentro di sé: «Ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni» (Is 43, 1).
E lei, con quel nome, “Maestro mio!”, è come se lo abbracciasse. Anzi, l’abbraccia davvero!
Chiediamo a Maria il dono di un rapporto personale e profondo con il Signore risorto.

Secondo mistero: Gesù incontra i due discepoli sulla strada di Emmaus
«Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. (…) Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (Lc 24, 15.30-31).
Il buon pastore va in cerca della pecora smarrita e la trova su una strada di periferia, verso Emmaus. Entra nel mondo dei due, tristi e delusi, e con la sua vicinanza ridona speranza e fa ardere il loro cuore.
Chiediamo a Maria che tutte le persone triste e deluse possano incontrare il Signore risorto e ritrovare la gioia.

Terzo misteroGesù incontra gli Undici nel cenacolo
«Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi”. (…) Dicendo questo mostrò loro le mani e i piedi» (Lc 24, 36.40).
Gesù “sta”, la sua è ormai una presenza stabile: è questo l’essere profondo della Chiesa, la presenza del Signore crocifisso, espressione dell’amore infinito di Dio; presenza che  pace.
Chiediamo a Maria che la promessa di Gesù di “rimanere sempre con noi” dia alla Chiesa il coraggio e l’audacia di annunciare il Vangelo ad ogni creatura.

Quarto mistero: Gesù incontra Tommaso nel cenacolo
Gesù «disse a Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; prendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo; ma credente!». Gli rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”» (Gv 20, 27-28).
È la più alta professione di fede di tutto il Nuovo Testamento: una fede partecipata, personale, appassionata: «Sei il “mio” Signore, il “mio” Dio», così come per la Maddalena era il Maestro “mio”.
Egli è “mio” perché io sono suo, mi ha acquistato a caro prezzo, testimoniato dal segno dei chiodi e della lancia che non ha voluto cancellare perché sempre, per tutta l’eternità, vi leggessimo il suo amore infinito.
Chiediamo a Maria il dono della fede per quanti dubitano o non credono: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”.

Quinto mistero: Gesù incontra Pietro sul lago
«Gesù disse a Simon Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. (…) Gli disse per la terza volta: “Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene? Gli disse per la terza volta: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene”. (…) “Seguimi”» (Gv 21, 15-19).
Pietro ha rinnegato per tre volte il Signore, adesso per tre volte gli professa un amore incondizionato. Ogni sbaglio è l’occasione per un amore più grande. Il Risorto ci insegna che si può ricominciare. Si può sempre ricominciare a “seguire” Gesù.
Chiediamo a Maria che preghi “per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte”, che preghi per tutti i peccatori, perché ritorniamo a Dio con fiducia.