mercoledì 31 luglio 2019

In viaggio con Erodoto



Erodoto? Ma sono passati 2500 anni, ci interessa ancora?
È il primo storico.
Ha fatto capire ai greci che il mondo va ben al di là della Grecia, e che forse la Grecia non è neppure il centro del mondo, che gli altri popoli non sono “barbari” ma portatori di altre culture, che vale la pena raccontare le storie perché l’umanità non conosca l’oblio e la morte…
In questi giorni ho sentito raccontare la sua storia da uno dei più grandi giornalisti, Ryszard Kapuscinski, dopo aver letto quel capolavoro che è Ebano.
Nel libro In viaggio con Erodoto, Kapuscinski narra gli esordi del suo lavoro, spinto dal desiderio di “varcare le frontiere”, stretto com’era dall’asfissiante regime comunista dell’Est Europeo. Inizia il viaggio con in mano Le storie di Erodoto, che legge lungo i suoi percorsi in Asia e Africa. In quell’autore e in quelle storie ritrova tanto di sé: la passione per la ricerca, la curiosità, la voglia di apprendimento, di ascoltare, di vedere, di raccontare, di dilatare interessi e conoscenze, di imparare i mondi degli altri… E scopre un’umanità ricca di una grande diversità, ma sempre la stessa umanità, con gli identici affetti, desideri, paure, speranze…
I viaggi di Kapuscinski si intrecciano con quelli di Erodoto e vi si rispecchiano. Un libro fascinante, che interroga sul senso della storia il suo valore, le sue possibilità...

Fra le tante pagine mi ha colpito il modo originale con cui guarda la Grande Muraglia cinese, denunciandone la follia, sempre la stessa, nei secoli andati come oggi, frutto del vano tentativo di isolarsi, proteggersi, escludere:

“Grande Muraglia. La Grande Muraglia! La gente veniva dall’altro capo del mondo per vederla. Una delle meraviglie del mondo, un’opera unica, quasi mitica e, in un certo senso, inconcepibile. Un muro al quale i cinesi, a parte qualche interruzione, avevano lavorato per duemila anni. (…)
I cinesi hanno innalzato la Grande Muraglia per difendersi dalle mire espansionistiche delle irrequiete tribù nomadi mongole (…).
La Grande Muraglia delimitava i confini settentrionali dell’impero, ma esistevano muraglie interne anche tra regni in guerra, tra regioni e province. (…) Calcolando quindi che i cinesi abbiano costruito mura per centinaia e migliaia di anni e considerata la numerosità della popolazione, il senso del sacrificio, l’esemplare disciplina e la laboriosità da formiche che li contraddistingue, otterremo centinaia di milioni di ore dedicate alla costruzione di mura, ore che in un paese povero come questo avrebbero potuto essere dedicate all’apprendimento della lettura o di un mestiere, alia coltivazione di sempre nuovi campi e all’allevamento di un sano bestiame.
E, invece, l’energia del mondo va a finire nelle muraglie.
Che irrazionalità. Che spreco. (…) un sintomo dell’aberrazione e della debolezza umana, di un terribile errore della storia, dell’incapacità di questa parte del pianeta di mettersi d’accordo, convocare una tavola rotonda e decidere come sfruttare le risorse di energia e di intelligenza dell’uomo. (…) i cinesi hanno sempre avuto la reazione opposta: quella di alzare un muro, di chiudersi, di isolarsi. Qualsiasi cosa venisse da fuori non poteva che essere una minaccia, un presagio di disgrazie, la promessa di un male, anzi: il male in persona. (…)
Il muro diventa così scudo e trappola, riparo e gabbia”.

martedì 30 luglio 2019

Ma che amici che ho!



Una amica dall’America Latina ha condiviso con me alcune esperienze che ha vissuto in questi ultimi giorni nel piccolo centro di accoglienza per ragazzi di strada:

Il quattordicenne Eliseo mi chiama da parte e mi dice che tre giorni fa il suo patrigno, il compagno di sua madre, è morto. Non è andato a trovarlo all'ospedale, non si è incoraggiato ad andare alla veglia, ma lo ha sognato e questo lo rassicura. Doveva dirlo a qualcuno.
Brandon, Andres, Noelia, Enzo, Liz hanno ricevuto biancheria intima e vestiti caldi, che avevo ricevuto e altri che ho comprato. Il più grande di questi adolescenti ha 15 anni, hanno madri assenti o tossicodipendenti o semplicemente solitudini invisibili …
Ariel e Demian questa settimana avevano forte mal di denti, mi hanno chiesto di calmare il dolore, hanno rispettivamente 10 e 9 anni e un grande abbandono in tutti i sensi; non sapevo cosa dare loro, fino a quando non ho ottenuto un farmaco, anche se non riuscivo ancora a portarli dal dentista. Con dolore ma con un enorme sorriso e abbraccio mi dicono grazie.
Lautaro è un ragazzo arrivato due giorni fa, è venuto perché un amico lo ha invitato a venire, l'ho visto triste e questo amico mi dice: Vedi se puoi parlare con Lauti da sola, perché so che tu lo puoi aiutare. Ha 13 anni, credo anche Lautaro; ho chiesto ai ragazzi che erano in ufficio di andarsene perché dovevo parlare con Lauti da sola e nel giro di due minuti ha iniziato a raccontarmi della sua vita - Signore, non ho ancora il coraggio di scriverla. Penso che se ne sia andato più sollevato.

Qualche giorno fa ho incontrato un’altra amica che lavora con i carcerati…
Ieri ricevo le foto di padre Celso che, in Guinea Bissau, insegna come si vive la Parola di Vita…
Questa mattina ho pregato con l’Ufficio delle letture e il testo di Basilio Magno è stato un pugno nello stomaco perché era proprio diretto a me: 
«Eviti di incontrarti con chi ti potrebbe chiedere qualche spicciolo. Tu non conosci che una frase: “Non ho nulla e non posso dar nulla, perché sono nulla tenente”. In effetti tu sei veramente povero, anzi privo di ogni vero bene. Sei povero di amore, povero di umanità, povero di fede in Dio, povero di speranza nelle realtà eterne».

Faccio quello che posso. Non posso andare con i bambini di strada, in carcere, in Guinea Bissau… Ma sentire le esperienze dei miei amici mi dà grande gioia perché mi fa dire: “Almeno c’è qualcuno che ama davvero”. Meno male ci sono loro, che fanno quello che non posso fare io. E meno male che siamo insieme!
"Farsi santi insieme". che grande chance!

lunedì 29 luglio 2019

Ancora su de Mazenod e l'Eucaristia


Dopo aver letto il mio blog sul libro di sant’Eugenio e l’Eucaristia,
il sig. Giuseppe Miceli ha acquistato il libro.
Ed ecco quanto mi ha scritto: una bellissima testimonianza.

Reverendo Padre Fabio,
ho ricevuto il libro di Sant’Eugenio sull’Eucaristia e ringrazio molto Lei e le gentili Signore che si sono adoperate per farmi ricevere questo dono prezioso.
Ho iniziato a leggere il libro e mi sono saltate subito all’attenzione due cose: lo stile bellissimo con cui Sant’Eugenio scrive e il fatto che citi Sant’Alfonso Maria de Liguori. Lo stile, ci vuole poco ad accorgersene, è quello di un autentico innamorato che ancora oggi, a distanza di secoli, parla agli uomini e “fa ardere il cuore’’: non si tratta di un discorso teorico ma di Amore puro e, in quanto tale, contagia ed è comprensibile a tutti!
È una caratteristica questa che trovai anche in un libro di Sant’Alfonso che lessi da ragazzo: “Le glorie di Maria”. Questo libro mi capitò per caso tra le mani durante una gita fatta al Santuario di San Gerardo Maiella a Materdomini e, fino ad oggi, è stato per me il più caro e lo custodisco come il libro più prezioso tra quelli che ho letto. Oggi, grazie a Sant’Eugenio e grazie a Lei Padre Fabio, ho trovato un altro libro, ancora più prezioso, che resterà per sempre accanto a quello di Sant’Alfonso; e, a ben pensarci, nessun altro libro sarebbe potuto stare accanto e superare “Le glorie di Maria” se non… “La mia vita con Gesù Eucaristia”!
Insieme continueranno ad essere le due “colonne” su cui continuerò a costruire ogni giorno la mia fede cercando di superare i miei piccoli e grandi difetti.

domenica 28 luglio 2019

Pronipoteria


I brevi giorni in famiglia sono passati in un soffio.

Mi rimangono tante cose, non ultima l’accoglienza che mi hanno riservato due pronipoti di sette e otto anni, 
lei con un disegno, uno schizzo veloce di “Bentornato”, 
lui con una “poesia” che si conclude con un augurio pieno di certezza: “Sarai sempre nell’anima di Gesù, Dio e Maria”.

sabato 27 luglio 2019

L'Abbà


«Quando pregate, dite:
"Padre” (Lc 11, 1-13)

Il viaggio verso Tonadico mi ha portato nella Cappella degli Scrovegni, scrigno d’arte e di fede.
Conosciamo a memoria le scene del Vangelo affrescate da Giotto.
Non ricordavo invece il Padre, dipinto sull’arco che immette nell’abside. Su in alto rimane un po’ lontano per una attenta lettura. È in atto di chiamare a sé l’arcangelo Gabriele, al quale confiderà l’incarico dell’annuncio a Maria, avviando così la storia di Gesù e della nostra salvezza.
Il giorno successivo visito la pinacoteca, nello stesso ambiente museale. Ancora una volta mi ritrovo attorniato da capolavori d’arte e di fede.
In una stanza trovo, al centro, la grande icona del Padre. Ma è quella della Cappella degli Scrovegni! Vengo così a sapere che non è un affresco, come tutti gli altri dipinti della Cappella, ma un quadro su tavola, staccata perché non si deteriori e collocato nella pinacoteca.
Troppo bello, ora che posso vederlo da vicino. Un Padre giovane, diverso da quello che abitualmente è ritratto nella iconografia classica.
Somiglia Gesù! ("Chi vede me, vede il Padre!")
"È l’Abbà!", esclamo e non posso non ricollocarlo nella sua situazione originaria, oggetto di culto: lo prego ad alta con la preghiera che Gesù ci ha insegnato: “Padre nostro…”.

Una settimana più tardi, di ritorno da Tonadico, in attesa del treno alla stazione di Padova, leggo “Città Nuova” e mi sento pienamente interpretato da Luigino Bruni che parla della differenza tra "vedere" un'opera d'arte in una riproduzione e averla davanti fisicamente: “l'esperienza artistica è anche e soprattutto un'esperienza fisica e corporea... il quadro si vede, certo, ma anche si sente, si odora, siamo visti da lui... Accade qualcosa di simile alla differenza che passa tra chattare con un amico su Facebook e andarlo a trovare a casa per stare con lui".
Chissà come sarà andare a trovare l'Abbà a casa e stare con lui...
Intanto lo preghiamo: "Padre...".

venerdì 26 luglio 2019

Un libro "estremamente" bello




Sento Pontiggia che si rivolta nella tomba. No!!! Non si dice estremamente bello, se è bello è bello: “Gli avverbi estremamente, assolutamente, incredibilmente, sottraggono energia, spostano l’attenzione sulla loro ovvietà… Se sentiamo: Ho passato delle vacanze incredibili, pensiamo che sono state vacanze normalissime. E una frase come: Ho conosciuto una donna incredibile, ci fa immaginare una donna con un fascino uguale a zero”.

Ha divorato in un soffio il libro di Giuseppe Pontiggia, Le Parola necessarie. Tecniche della scrittura e utopia della lettura.
In un momento in cui stiamo sprofondando verso un analfabetismo di parole e di idee, libri come questi sono un potente appello a leggere, pensare, scrivere, esprimersi con proprietà e ricchezza di linguaggio, indispensabile per una comunicazione ricca e costruttiva.

Quando mancano le parole giuste, anzi quelle "necessarie" il linguaggio si fa violento, è alimentato da stereotipi. Quando le parole mancano del tutto si passa alle azioni violente unica modalità espressiva.
Parliamoci, per favore, con proprietà di linguaggio, argomentiamo, ascoltiamoci, dialoghiamo... e le parole cambieranno il mondo.


giovedì 25 luglio 2019

Solo grazie o sono grazie?


Ho in mano un libretto di canti dove leggo un testo che ho cantato tante volte: "Sono grazie".
Ma per il libretto il canto si intitola “Solo grazie” e recita: “Quando arriverò da te non dirò il nome mio, dirò solo grazie”.
Solo grazie? Dire soltanto un grazie sembrerebbe un po’ riduttivo.
Chiara Lubich - nel testo in questione - fa l’esperienza di possedere un nome nuovo col quale si presenterà a Dio; non si chiamerà più Silvia o Chiara, il suo nome sarà “Grazie”: Sono grazie! Grazie non è più soltanto espressione di riconoscenza, ma l’identità stessa della persona.
Eppure su internet imperversa “Solo grazie”, anche quando si riportano interviste a lei rivolte in merito, e se digito “Sono grazie” il motore di ricerca corregge automaticamente in “Solo grazie”.
Dipende forse da un canto del Gen Rosso che canta una famosa canzone intitolata “Solo grazie”? (ma si tratta di un altro testo).
Il Gen Verde ha musicato il testo di Chiara, intitolandolo "Gratitudine". Ma Chiara, citando proprio quella canzone, la legge così: “Noi abbiamo una canzone… che dice così: Quando sarò alla tua porta e tu mi chiederai il mio nome, io non ti dirò il mio nome ti dirò solo: Grazie per tutto e per sempre. Questo è il mio nome” (La dottrina spirituale, p. 504). Non dice “Dirò: solo grazie”, ma “Dirò solo: Grazie”. Perché "solo" se la canzone (e prima ancora lei stessa!) dice "sono"?  Chiara è influenzata dalla canzone del Gen Rosso?
In ogni caso, quando su internet si riporta la canzone del Gen Verde, o su siti come netone dove si riporta il testo di Chiara, si scrive: "Solo grazie" (come nella foto qui accanto).

A riprova che Chiara ha detto “Sono grazie”, ecco una pagina del suo diario (16 gennaio 1981) dove cita ancora la canzone, ma riportando correttamente il testo:
In questi giorni ho il cuore pieno di gratitudine per Gesù cosicché trabocca. Penso che la canzone che rispecchia la mia vita di oggi è quella che dice: "Quando io verrò da te, alla tua porta... se mi chiederai chi sono, non dirò il nome mio, dirò 'sono grazie per tutto e per sempre'."  
Sì, "grazie" per una gioia che mi sembra sovrumana, ma è fondata sul fatto che godo il lavoro per l'Opera, la Sapienza che la dirige, la vita così com'è: tutta per Lui e per Lei.  
Sono così felice che gli ripeto: "E' troppo, è troppo". E mi rendo conto che così non può durare.  
Intanto quel "grazie" posso ripeterglielo fin d'ora, e posso ripeterglielo alla sua porta, alla porta della cappella dove sta.  

(Piccole innocue divagazioni filologiche estive)

mercoledì 24 luglio 2019

Quella solitudine di Gesù...


Nella Cappella degli Scrovegni, che ho visitato la scorsa settimana, Giotto ha dipinto il viaggio di Gesù al Calvario.
Non poteva ritrarre meglio la solitudine di Gesù.
Guardando Gesù, così staccato dal resto della folla, mi sono sentito ripetere la voce dei Salmi:
“Hai allontanato da me amici e conoscenti…”
“Ho atteso compassione, ma invano,
consolatori, ma non ne ho trovati…”

Forse perché quell’affresco di Giotto mi ha tanto colpito, ho poi rivisto la medesima solitudine su  altri affreschi e tele, addirittura in un’ultima cena del Romanino, conservata nella pinacoteca attigua alla Cappella Degli Scrovegni.

Quanta incomprensione, Gesù… anche adesso!

martedì 23 luglio 2019

A Venezia con sant'Eugenio / 2


La chiesa di san Silvestro
Ero stato a Venezia quando avevo pressappoco l’età di sant’Eugenio. Da allora sono tornato una volta in piazza san Marco in non so quale occasione.
Camminare per la città è stata quindi piacevolissima sorpresa. Anche questa volta non ho visitato Venezia, ma per una mezza giornata, salendo a Tonadico l’altra settimana, sono andato alla ricerca dei pochi luoghi segnati dal passaggio di sant’Eugenio.

Arrivando presto ho trovato Venezia ancora addormentata, silenziosa, senza turisti, con i negozi chiusi.
La prima tappa direttamente san Silvestro, dove ogni giorno Eugenio serviva la messa al vecchio zio Andrea. Una chiesa bella, ma completamente ristrutturata rispetto a quella che Eugenio frequentava alla fine del 1700. Nel 1802 ne è stato cambiato l’orientamento e l’abside è collocata dalla parte opposta, dove precedentemente si trovava l’entrata, rivolta dalla parte del Canal Grande. Quando Eugenio vi tornò da vescovo aveva già la configurazione attuale.
Il parroco ci ha accolti molto bene e ho potuto celebrarvi la messa.
Ho ricordato quando Eugenio, ancora ragazzo, ogni giorno leggeva a voce alta allo zio un capitolo del Nuovo testamento in latino, su quel libro piccolo piccolo che, una volta morto lo zio, si è tenuto con sé e ha portato in tasca per tutta la vita, continuando a leggere ogni giorno il Nuovo testamento per una mezz’ora come aveva imparato a Venezia.
Ho poi ricordato l’altro episodio, sempre con lo zio Andrea, quando un giorno, al termina della lettura lo zio gli domanda… ma è meglio lasciarlo raccontare da Eugenio stesso:

Chiesa di san Silvestro


Un giorno il mio venerando prozio, dopo la lettura di un capitolo del N. Testamento che facevo in un libriccino ancora in mio possesso, mi disse con serietà (così almeno mi parve): – È vero, Eugenio, che vuoi entrare nello stato ecclesiastico? – Certo, zio caro, gli risposi senza esitare. – Ma, figliolo mio, come puoi deciderti a una cosa simile? Non sai di essere l’unico superstite della nostra famiglia che così andrebbe estinta? – Meravigliato che una simile considerazione uscisse dalle labbra di un uomo così venerando, ripresi vivacemente: – Non sarebbe forse un grande onore per la famiglia finire con un sacerdote? – Mio zio scherzava perché, entusiasta nel sentir parlare in tal modo un ragazzo di 13 anni, mi abbracciò e mi benedisse. Questa vocazione precoce andò a effetto solo molto tempo dopo. Eravamo nel pieno del nostro vagabondaggio e il mio esilio durerà ancora per molti anni.
La lapide in ricordo dello zio Andrea
Mons. Milesi e la sua biblioteca
Dopo la messa in sacrestia ho visto un ritratto del parroco Milesi, che aveva aiutato con tanta generosità i de Mazenod. Sotto il suo ritratto si apre una porta che introduce a una grande biblioteca che mons. Milesi lasciò alla parrocchia quando divenne vescovo di Vigevano e poi patriarca di Venezia. Conosciamo tutti la riproduzione di un suo ritratto da vescovo. È la prima volta che lo vedo giovane, proprio negli anni in cui era parroco a san Silvestro.
Ho visto naturalmente anche la lapide che sant’Eugenio, una volta che tornò a Venezia da vescovo, compose il ricordo dello zio che era stato sepolto nella chiesa: il suo corpo era sparito in occasione della ristrutturazione.

Poi la casa sul Canal Grande, davanti al Palazzo Grimaldi, dove i de Mazenod hanno abitato in questi anni. Adesso ha due ordini di loggiati che la rendono particolarmente elegante, ma allora non c’erano, perché costruiti nella ristrutturazione della casa verso il 1880.
Sono passato per la minuscola calle che separa la casa dei de Mazenod da quella degli Zinelli: davvero si potevano passare i libri da una finestra all’altra come racconta sant’Eugenio. La casa si vede anche dal vicino ponte di Rialto.


La casa dove vivevano i de Mazenod, a destra
e la casa degli Zinelli, a sinistra
Tra le due case...
Infine la chiesa di san Fantino, nella cui parrocchia i de Mazenod trovarono alloggio nel primo mese di permanenza a Venezia e dove lo zio Fortunato continuò a celebrare ogni giorno. L’abbiamo trovata aperta perché ospita una mostra d’arte contemporanea, altrimenti è sempre chiusa. È proprio davanti al Teatro La Fenice. Ma la casa dove abitavano… impossibile conoscerne l’ubicazione.
Ho comunque passeggiato lungo quelle stradine, salendo e scendendo sui ponti che scavalcano i canali, ho visto passare gondole e gondole… Ho provato a guardare tutto gli occhi di quell’adolescente che aveva voglia di conoscere.
Gli piacevano particolarmente le regate, che vedeva passare sotto casa e che avevano il traguardo proprio davanti:


La chiesa di san Fantino
Le case che si affacciano sul canale hanno i balconi ornati di tappeti e ogni proprietario si sente in obbligo di invitare tanti parenti quanti le loro case ne possono contenere: dappertutto offrono rinfreschi di cui Venezia non è mai avara. L’afflusso dei curiosi, i balconi e le finestre non solo dei palazzi affacciate sul Canal grande ma tutte le case che da qualunque lato hanno il canale in vista, una folla di barche piena di gente che riempie talmente il corso del canale che rimane solo lo spazio necessario al passaggio alle barche in gara, la ressa di questa folla immensa in tripudio formano uno spettacolo impossibile a descrivere. (…)
Le corse han luogo nel pomeriggio: la prima è formata da numerose barche a un solo remo: barche così leggere e di dimensioni così piccole che sarebbe pericoloso farvi entrare un’altra persona: del resto è assolutamente vietato. I marinai che le guidano sono elegantissimi nelle loro tenute bianche fasciate di sciarpe di seta di colori diversi. (…)
Terminate le corse tra le acclamazioni della folla le innumerevoli imbarcazioni allineate lungo il Canal grande e i piccoli canali adiacenti escono da ogni lato e coprono il canale zigzagando abilmente, mentre i rematori vittoriosi al centro di questa folla immensa presentano umilmente i loro cappelli per ricevere l’omaggio che nessuno rifiuta al loro merito, tale è l’entusiasmo che a Venezia suscitano simili gare.

Non lascia passare la descrizione di altre feste, specialmente quella dell’Ascensione e dello sposalizio del doge con il mare… commentando: “Che paese di divertimenti la Venezia di allora!”
Ma racconta anche di quella volta che finì in acqua nel Canal Grande e tornò a casa fracido marcio…
Venezia gli rimase sempre nel cuore: è lì che sentì per la prima volta la chiamata a seguire Gesù.


lunedì 22 luglio 2019

A Venezia con sant'Eugenio / 1


La casa degli Zinelli a sinistra
e quella dei de Mazenod al centro
Chiesa di san Silvestro
La Venezia che trovò Eugenio de Mazenod quando vi giunse da esiliato politico il 14 maggio 1794 «viveva solo della sua fama», come scrive lui stesso, le glorie del passato… erano passate.
Arrivò durante i festeggiamenti dell’Ascensione quando si festeggiava lo sposalizio del Doge col mare. Così la sua famiglia non riuscì a trovare alloggio e per due o tre notti rimasero nella barca con la quale erano giunti da Torino.
Un certo Mantecatini, faccendiere e «simpatico imbroglione, riuscì a trovarci un buco per disagiato che fosse… un appartamento minuscolo composto di due stanze dove bisognava sistemare le undici persone di cui era composta la nostra famiglia, compresi i padroni, i ragazzi e i domestici. Pazientammo un mese in questo brutto alloggio dove eravamo ammucchiati; ma finalmente gli stranieri venuti per le feste dell’Ascensione sgomberarono e noi potemmo trovare sul Canal Grande, di fronte al bel palazzo Grimani, un piacevole appartamento che conservammo fino alla partenza».
Del primo alloggio, la barca, naturalmente non c’è traccia; del secondo neppure; e quello “sul Canal Grande, di fronte al bel palazzo Grimani”?

Sono venuto a Venezia, città che ho visto di sfuggita una o due volte, per ritrovare i luoghi di sant’Eugenio. Impresa non facile. Per fortuna ho una guida d’eccezione, Daniela Merlani, che ha fatto mille ricerche in merito.


Chiesa di san Fantino
Eugenio ricorda che la casa, situata nella parrocchia di S. Silvestro, «era separata da una strettissima strada da quella della famiglia Zinelli». Fu lì che nacque un rapporto profondo con il giovane sacerdote Bartolo Zizelli che gli segnerà la vita. Lo racconta lui stesso:
Un giorno io passavo il tempo affacciato alla finestra che si apriva sulla casa della famiglia Zinelli, quando don Bartolo mi apparve sul lato opposto e, rivolgendomi la parola, mi disse: – Signorino Eugenio, non vi dispiace di perdere il tempo baloccandovi così alla finestra?
 – Purtroppo, signore, lo faccio con molto dispiacere; ma che ci posso fare? Sapete che sono forestiero e non ho libri a mia disposizione –. Lì voleva giungere il mio interlocutore. – Non preoccupatevene, figliolo caro; sto qui proprio nella mia biblioteca dove si trovano tanti libri latini, italiani, anche francesi, se volete approfittarne. – Non chiedo di meglio, feci io –  Immediatamente don Bartolo staccò la sbarra che fissava gli scuri della finestra e, mettendoci sopra un libro, me lo porse attraverso la stradina che ci separava. Il libro fu divorato subito perché io leggevo con avidità e il giorno dopo mio padre mi consigliò di andarlo a restituire e ringraziare don Bartolo. Tutto previsto.

C’è poi la parrocchia di S. Fantino, quella della prima dimora, dove gli zii di sant’Eugenio presero a celebrare la messa. Dopo che si spostarono sul Canal Grande lo zio Fortunato continuò a celebrare a S. Fantino, mentre il prozio Andrea prese a celebrare nella nuova parrocchia. Morì il 22 novembre 1795 e vi fu sepolto.
Ma dov’è la tomba dello zio Andrea? Quando sant’Eugenio tornò a Venezia nel 1842, questa volta da vescovo, trovò la chiesa completamente rifatta dai lavori del 1838 e non trovò più la tomba dello zio. Nel corridoio che dal coro conduce alla sacrestia c’è una lapide che lo ricorda, scritta forse dallo stesso Eugenio, che la firma.


Gli Oblati amano ricordare questo periodo del loro Fondatore, che ne ha segnato profondamente la vita, come lui stesso racconta:
Passarono così quattro anni, e l’affetto di questa famiglia [gli Zinelli] così rispettabile che mi aveva adottato cresceva in proporzione del legame che mi univa ad essa (…) La famiglia in cui vivevo era cristiana al cento per cento e don Bartolo, che più particolarmente s’era interessato di me, era un santo autentico da canonizzare. (…)
Alla scuola di questo santo sacerdote ho imparato a disprezzare le vanità del mondo e a gustare le cose di Dio: lontano da ogni distrazione pericolosa, da ogni contatto con giovani della mia età, non pensavo nemmeno a quanto formava l’oggetto delle loro aspirazioni. (…) Da lì ha inizio la mia vocazione allo stato ecclesiastico e forse a uno stato più perfetto

domenica 21 luglio 2019

Gesù ha ancora chi lo segue…



«Cristocentrismo Mazenodiano, imitazione integrale di Cristo fino a riviverlo come “altrettanti Gesù” a imitazione di Maria». È l’inconfondibile stile di padre Liuzzo, che continua: «Cristo al centro del nostro cuore e della nostra vita, Cristo Salvatore universale per la gloria di Dio. Lui è il nostro Ideale, il nostro modello di vita nelle cose minute di ogni giorno e in quelle grandi. Lui la nostra vita, la nostra gioia, la nostra mèta per la salvezza delle anime più abbandonate in tutto il mondo. Questo è l’affascinante piano di Dio per ogni COMI».



Con queste parole del loro fondatore si è concluso il ritiro delle COMI. Sono stato con loro gli ultimi tre giorni, quassù sull’Aventino, uno dei luoghi più santi e più belli di Roma…
Cristina, medico e teologa di Madrid, ha iniziato il suo periodo di discernimento e Liliane, del Congo, rinnova per l’ultima volta i suoi voti prima di quelli definitivi che farà presto nella sua terra.
La vita continua. Gesù ha ancora chi lo segue…


sabato 20 luglio 2019

Marta,Marta...


«Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 10, 38-42)

Domani sera tornerà alla casa paterna. Si chiama così, vero? Casa “paterna”. In effetti è la casa materna. Entrerò e non sentirò ripetere per due volte il mio nome, come era solita fare la mamma: “Fabio, Fabio”. Una semplice modulazione su due sole note contigue, d’una dolcezza unica, dal timbro inconfondibile. Una ripetizione del nome che diceva soltanto affetto, familiarità. 
Domani sera entrerò in casa e non sentirà più ripetere il mio nome con quel tono inconfondibile. Eppure lo sento ancora, tante volte…

Quando Gesù si rivolge a Marta e la chiama ripetendo due volte il nome, mi sembra di sentire nella sua voce il tono stesso di mia mamma: “Marta, Marta”. Anche lui ripete il suo nome. So che non è un rimprovero, è segno d’affetto, di familiarità. 
Riconosco lo stesso timbro di voce nell’appello rivolto a Saulo sulla via di Damasco, anche quello ripetuto due volte: “Saulo, Saulo”. Anche quello non era un rimprovero, ma un segno d’affetto, di familiarità.
Diverso dal nome della Maddalena pronunciato una volta sola nel giardino della risurrezione: “Maria!”, sussurro di chi vuol fare una sorpresa e suscitare la gioia. Diverso dal nome di Pietro pronunciato sul lago: “Simone, figlio di Giovanni”, solenne, ufficiale, autoritativo.

Quel “Marta, Marta” è amore indulgente e paziente che comprende la debolezza, forse la gelosia. È una carezza che apre il cuore a un insegnamento: “Cerca la parte buona, che è stare con me, tutto il resto non è buono”. Nel testo greco non c’è un comparativo, “migliore”, c’è semplicemente un “buono”: Maria non ha scelto la parte migliore, ma quella buona. Stare dalla parte di Gesù non è migliore di qualche altra cosa, è l’unica cosa buona da fare.
La scelta buona – l’unica – è sedersi ai piedi di Gesù, come ha fatto Maria, mettersi alla sua scuola, diventare suoi discepoli, bere le sue parole, viverle, fare propria la sua volontà: fare soltanto quello che egli desidera. Sì, Marta, Marta, puoi continuare pure a preparare la cena, ma che sia espressione della volontà di Dio, che sia soltanto per amore.
Chissà, cara Marta, quante volte lungo la tua vita, hai continuato a sentirti ripetere quel nome pronunciato con affetto: "Marta Marta...".
Che anche me continui a chiamarmi per nome e a ricordarmi quello che solo vale.

venerdì 19 luglio 2019

Riscoprire il progetto di Dio sull'umanità


Claudia di Lorenzo mi ha fatto un’intervista appena pubblicata sul sito del Movimento dei Focolari.
Le solite domande… le solite risposte…


E’ da poco iniziata la prima Mariapoli Europea promossa dal Movimento dei Focolari, a Tonadico sulle Dolomiti dal 14 luglio all’8 agosto
Nel contesto storico e politico di un’Europa divisa e conflittuale, l’evento vuole testimoniare che il sogno della fratellanza fra i popoli non è un’utopia. L’intuizione originaria di Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, a cavallo fra gli anni ’40 e ’50 del secolo scorso, trova attuazione nei diversi campi del sapere, come nel cuore delle relazioni fra i singoli e fra i popoli. Ne parliamo con Padre Fabio Ciardi, responsabile del centro studi interdisciplinare del Movimento “Scuola Abbà”:

Qual è il legame fra le esperienze mistiche che Chiara Lubich ebbe negli anni ’49 e ’50, durante e dopo la prima Mariapoli, e la nascita della Scuola Abbà?
“La Scuola Abbà è nata per approfondire quello che è avvenuto in quegli anni. Chiara ha avuto occasione di scrivere di quell’esperienza a mano a mano che avveniva, consapevole che lì c’era una dottrina, dei valori così profondi e ricchi che avrebbero potuto nutrire non soltanto l’Opera ma anche la Chiesa. Ad un certo punto ha sentito il bisogno di riprendere in mano quelle carte e ha iniziato a chiamare intorno a sé persone di un certo livello culturale per entrare in profondità dentro questa sua esperienza e farne scaturire la dottrina che è già in sé insita”.

Nella sala della Mariapoli europea
a San Martino di Castrozza
Tra le discipline oggetto di studio della Scuola Abbà ci sono la storia e la politologia. La riflessione della Scuola in questi ambiti può aiutare a comprendere le ragioni fondative dell’Unione Europea?
“L’esperienza che Chiara ha fatto nel ’49, le ha consentito di avere una visione dall’alto del disegno di Dio sull’umanità e sulla storia. Vi si ritrovano quindi valori che stanno alla base anche dell’Europa. La Scuola Abbà vuole metterli in luce e mostrarne l’attualità. Oggi la Mariapoli ci aiuta a riscoprire quel disegno, a comprendere qual è il progetto di Dio sulla nostra storia, sulla nostra identità”.

In quei primi tempi Chiara intuì che l’Europa era chiamata ad essere unita al suo interno – Igino Giordani, cofondatore del Movimento, auspicava la nascita degli Stati Uniti d’Europa – e a porsi come entità federatrice dei popoli nel contesto mondiale. Oggi però siamo lontani da quella visione e l’Europa è attraversata da nazionalismi e populismi. Come ritrovare quello slancio e renderlo “contagioso”?
“A me sembra che nell’esperienza iniziale del ’49 ci siano tutte le componenti per allargare il cuore, per far crescere il senso di fraternità, accoglienza, condivisione, e per promuovere un cammino insieme. All’inizio la riflessione di Chiara era concentrata sull’Italia: parlava di Santa Caterina e San Francesco come i patroni dell’Italia. Ma presto gli orizzonti si sono allargati perché si sono unite al Movimento persone di altri paesi d’Europa e di altri continenti e lei vedeva il carisma dell’unità vibrare in tutti ed ognuno vi ritrovava i suoi valori più profondi. Chiara vedeva tutta l’umanità in marcia verso l’unità. E questo mi sembra sia l’ideale fondamentale che può essere attuato anche oggi. Ci vuole una riflessione culturale che sappia coniugare il grande progetto di Dio sull’umanità con la situazione politica, storica, economica attuale”.

L’esperienza di una Mariapoli europea che messaggio può dunque mandare ai cittadini d’Europa?
“L’idea che l’unità europea non è uniformità o imposizione, ma è ricchezza che viene da una grande diversità. Non soltanto dei popoli europei storici ma anche dei nuovi popoli che arrivano. L’Europa si fa, è in costruzione continua sin dalle sue origini, e dovrebbe saper coniugare questi due elementi: promuovere la fraternità, la condivisione, la comunione, l’unità e, allo stesso tempo, valorizzare la grande diversità culturale, la storia particolare di ogni popolo. Penso che la Mariapoli possa essere il nuovo crogiolo nel quale si impara a rispettarsi, amarsi, a vivere insieme”.

La Mariapoli dunque come “laboratorio” di unità per l’Europa. Si potrebbe obiettare che si tratta di una prospettiva utopica…
“I luoghi dell’utopia sono luoghi immaginari nei quali uno sogna una realtà che di fatto non c’è. La Mariapoli invece è un luogo diverso, non è utopico ma reale, e penso che occorra riproporre esperienze come questa, significative, anche se piccole, che facciano vedere come potrebbe essere il mondo se si vive davvero la legge della fraternità, dell’amore e dell’unità”.


giovedì 18 luglio 2019

Verso un’estate di luce


Un pool di storici di valore per contestualizzare un preciso fatto storico. Gli autori vanno da un esperto di fama mondiale come il professore emerito Paolo Siniscalco, a un giovane ricercatore come Giovanni Delama. In tutto tredici docenti, tra i quali spiccano nomi come Silvio Cataldi,  Maria Intrieri e Martin Roch. Il fatto storico di riferimento sembrerebbe non degno di nota eppure, per certi aspetti, è uno degli eventi più rilevati del Novecento. Un evento dello Spirito, destinato a segnare i secoli, come l’esperienza di Manresa con Ignazio di Loyola o l’esperienza della torre di Lutero, fatti che accadono nel segreto dell’interiorità e che tuttavia incidono nei solchi della storia.  È il vissuto di un pugno di ragazze che, in un paesino sperduto delle Dolomiti, durante una vacanza estiva nel 1949, dice di essere stato coinvolto in una esperienza del Divino. Realtà imponderabile eppure ne nasce l’Opera di Maria, uno dei maggiori Movimenti ecclesiali che si esprimerà nei più diversi ambiti sociali ed ecclesiali, dall’ecumenismo alla politica, dall’economia all’editoria, radicandosi capillarmente in molteplici culture in ogni continente.


I contenuti mistici e dottrinali di quei mesi dell’estate, noti come Paradiso ’49, sono già stati ampiamente analizzati, anche se, nonostante numerosi libri e saggi, l’indagine di quell’esperienza “di luce” è appena agli inizi. Fecondi si sono rivelati anche gli studi di linguistica e letteratura sul testo che trasmette l’esperienza. Mancava invece una adeguata contestualizzazione storica del fatto, che trova adesso un primo valido contributo nell’opera Verso un’estate di luce. La cornice storica dell’esperienza mistica di Chiara Lubich nel 1949, curato da Silvio Cataldi e Paolo Siniscalco, accolto nella collana “Studi della Scuola Abbà”.


Inizia così la recensione del libro Verso un’estate di luce che ho pubblicato sull’ultimo numero “Nuova Umanità”. Lo abbiamo presentato ieri sera a san Martino di Castrozza davanti a 400 persone.
Un pubblico vivace, costituito da persone semplici, provenienti da mezza Europa, partecipanti alla Mariapoli europea. Un piccolo popolo che si succede di settimana in settimana e che ogni volta rinnova un patto d’unità tra i popoli, in netta controtendenza rispetto alle forze disgregatrici in atto.

È stata una serata bella, con un dialogo sincero sulle sfide politiche, interreligiose e le difficili problematiche nelle quali siamo tutti immersi. Aleggiava un forte senso di speranza, per niente ingenuono, fondato sulle certezze evangeliche.