lunedì 22 luglio 2019

A Venezia con sant'Eugenio / 1


La casa degli Zinelli a sinistra
e quella dei de Mazenod al centro
Chiesa di san Silvestro
La Venezia che trovò Eugenio de Mazenod quando vi giunse da esiliato politico il 14 maggio 1794 «viveva solo della sua fama», come scrive lui stesso, le glorie del passato… erano passate.
Arrivò durante i festeggiamenti dell’Ascensione quando si festeggiava lo sposalizio del Doge col mare. Così la sua famiglia non riuscì a trovare alloggio e per due o tre notti rimasero nella barca con la quale erano giunti da Torino.
Un certo Mantecatini, faccendiere e «simpatico imbroglione, riuscì a trovarci un buco per disagiato che fosse… un appartamento minuscolo composto di due stanze dove bisognava sistemare le undici persone di cui era composta la nostra famiglia, compresi i padroni, i ragazzi e i domestici. Pazientammo un mese in questo brutto alloggio dove eravamo ammucchiati; ma finalmente gli stranieri venuti per le feste dell’Ascensione sgomberarono e noi potemmo trovare sul Canal Grande, di fronte al bel palazzo Grimani, un piacevole appartamento che conservammo fino alla partenza».
Del primo alloggio, la barca, naturalmente non c’è traccia; del secondo neppure; e quello “sul Canal Grande, di fronte al bel palazzo Grimani”?

Sono venuto a Venezia, città che ho visto di sfuggita una o due volte, per ritrovare i luoghi di sant’Eugenio. Impresa non facile. Per fortuna ho una guida d’eccezione, Daniela Merlani, che ha fatto mille ricerche in merito.


Chiesa di san Fantino
Eugenio ricorda che la casa, situata nella parrocchia di S. Silvestro, «era separata da una strettissima strada da quella della famiglia Zinelli». Fu lì che nacque un rapporto profondo con il giovane sacerdote Bartolo Zizelli che gli segnerà la vita. Lo racconta lui stesso:
Un giorno io passavo il tempo affacciato alla finestra che si apriva sulla casa della famiglia Zinelli, quando don Bartolo mi apparve sul lato opposto e, rivolgendomi la parola, mi disse: – Signorino Eugenio, non vi dispiace di perdere il tempo baloccandovi così alla finestra?
 – Purtroppo, signore, lo faccio con molto dispiacere; ma che ci posso fare? Sapete che sono forestiero e non ho libri a mia disposizione –. Lì voleva giungere il mio interlocutore. – Non preoccupatevene, figliolo caro; sto qui proprio nella mia biblioteca dove si trovano tanti libri latini, italiani, anche francesi, se volete approfittarne. – Non chiedo di meglio, feci io –  Immediatamente don Bartolo staccò la sbarra che fissava gli scuri della finestra e, mettendoci sopra un libro, me lo porse attraverso la stradina che ci separava. Il libro fu divorato subito perché io leggevo con avidità e il giorno dopo mio padre mi consigliò di andarlo a restituire e ringraziare don Bartolo. Tutto previsto.

C’è poi la parrocchia di S. Fantino, quella della prima dimora, dove gli zii di sant’Eugenio presero a celebrare la messa. Dopo che si spostarono sul Canal Grande lo zio Fortunato continuò a celebrare a S. Fantino, mentre il prozio Andrea prese a celebrare nella nuova parrocchia. Morì il 22 novembre 1795 e vi fu sepolto.
Ma dov’è la tomba dello zio Andrea? Quando sant’Eugenio tornò a Venezia nel 1842, questa volta da vescovo, trovò la chiesa completamente rifatta dai lavori del 1838 e non trovò più la tomba dello zio. Nel corridoio che dal coro conduce alla sacrestia c’è una lapide che lo ricorda, scritta forse dallo stesso Eugenio, che la firma.


Gli Oblati amano ricordare questo periodo del loro Fondatore, che ne ha segnato profondamente la vita, come lui stesso racconta:
Passarono così quattro anni, e l’affetto di questa famiglia [gli Zinelli] così rispettabile che mi aveva adottato cresceva in proporzione del legame che mi univa ad essa (…) La famiglia in cui vivevo era cristiana al cento per cento e don Bartolo, che più particolarmente s’era interessato di me, era un santo autentico da canonizzare. (…)
Alla scuola di questo santo sacerdote ho imparato a disprezzare le vanità del mondo e a gustare le cose di Dio: lontano da ogni distrazione pericolosa, da ogni contatto con giovani della mia età, non pensavo nemmeno a quanto formava l’oggetto delle loro aspirazioni. (…) Da lì ha inizio la mia vocazione allo stato ecclesiastico e forse a uno stato più perfetto

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