“La cittadina di Ripalimosani, riconoscente ai Missionari O.M.I.
per la presenza ottuagenaria, per la testimonianza del Vangelo e per aver
portato il nome di Ripalimosani fino ai confini della terra. Con gratitudine. L’Amministrazione
Comunale A.D. 2007”.
Così la lapide ai piedi della croce della missione all’angolo del
piccolo parco che fiancheggia la chiesa e il convento che per tanti anni è stato il
noviziato degli Oblati italiani.
Di qui sono passati centinaia di giovani, poi sono partiti
missionari nel mondo intero.
Tra tutti non posso non ricordare il beato Mario Borzaga, che vi
arrivò a 20 anni, il 5 novembre 1952, come scrisse più tardi nel diario: «quattro anni fa facevo il mio rabbuiato (era notte)
ingresso nel convento di Ripa: puzzavo di sigarette Aurora, avevo sete e
pioveva».
Era
già stato a Ripalimosani nel mese di luglio di quello stesso anno, per rendersi
conto del posto dove si trovava il noviziato; una visita fugace, alla
chetichella. Era stata la mamma a consigliargli di fare quel viaggio per
esplorare il paese di Ripalimosani, la città di Campobasso, il Molise, luoghi
del Sud, molto lontani, e non soltanto geograficamente, da Trento. In casa
Borzaga c’era una certa sospensione nel vedere un figlio che partiva per una
destinazione ignota e per un istituto altrettanto sconosciuto.
Dopo
la prima impressione di sconforto, lui trentino nel profondo
sud, si ambienta subito: «il paesaggio che
prima mi sembrava così brutto, ora incomincia a piacermi, anzi lo trovo qualche
volta bello e poetico». «Padre Maestro ci ha lasciato un paio di volte andare a
passeggio mentre nevicava. Che bellezza! Che corse qui sui bellissimi colli del
Molise, spazzati dal vento fra le raffiche dì neve! Poi si ritornava a casa
tutti ansimanti, a bere il tè caldo, e a cambiarci calze, scarpe...».
Il paese si annuncia da lontano, solitario, adagiato
lungo la cresta di una montagna verdissima, almeno in questo periodo di inizio
estate. A mano a mano che mi avvicino si mostra la sua asprezza, tutto pietre e
roccia.
Sono anni che non tornavo. Ormai gli Oblati se ne sono
andati.
Cammino brevemente attorno al convento. Tutto è ordinato, pulito, come
mi immagino lo fosse al tempo dei novizi.
Ci sono ancora dei giovani come allora, ma sono profughi dall’Africa. Vi
è anche una casa famiglia. Per lo meno la casa ha mantenuto la sua vocazione
missionaria. Dal balcone si affaccia la mamma del parroco… c’è ancora una
presenza sacerdotale. La vita continua e cambia.
Ma perché in mezza giornata mi sono fatto tre ore all’andata
e altrettante al ritorno? A domani…
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