Siamo tornati
a Tonadico, sulle Dolomiti trentine, dove, 70 anni fa, è iniziata l’esperienza del cosiddetto Paradiso ’49. Sono con la Scuola Abbà, una
delle felicissime creazioni del genio di Chiara Lubich.
È forse
la prima volta che tutti i membri di questa Scuola succedutisi negli anni si
ritrovano insieme. Siamo 65, per un seminario che ha come titolo: «Prospettive
antropologiche alla luce del Paradiso ’49».
Ma prima di tutto siamo qui per rinsaldare l’unità tra noi perché, nel susseguirsi
delle generazioni, la Scuola Abbà continui a essere quel “cenacolo di santità”
che garantisce il compimento della missione che Chiara le ha affidato: enucleare
ed elaborare la dottrina contenuta nel carisma dell’unità.
Con
questo seminario iniziamo una riflessione su un tema che stava particolarmente
a cuore a Chiara e che più volte nel passato ci siamo proposti di affrontare:
la visione antropologica che emerge dal Paradiso
’49.
Abbiamo
scelto la formula del seminario piuttosto che del convegno.
Un convegno esigerebbe ben altra preparazione, soprattutto nella pianificazione
dei diversi contributi e nella scelta dei relatori, in modo da dare completezza
al tema affrontato. Questi sono piuttosto giorni di comunione e di dialogo tra Di noi.
Ieri, nel dare inizio ai lavori,
ho lasciato la parola ad un membro della Scuola Abbà ormai in Paradiso, Marisa
Cerini, che tanto ha lavorato sul testo. In un suo tema, pubblicato sul recente
numero di “Nuova Umanità” dedicato al Paradiso
’49, trovo sintetizzato in maniera semplice e bella il metodo di lavoro che
caratterizza la Scuola Abbà:
Prima di elaborare la dottrina contenuta in
questa luce [l’esperienza del ’49], dobbiamo essere discepoli fedeli, che la
mettono in pratica e sono da essa evangelizzati, dobbiamo divenire «segni visibili
di questa unità».
Vale perciò per tutte le nostre scuole, in
tutta la nostra attività di riflessione filosofica, teologica, ecumenica,
sociologica ecc., quella che per il Movimento è la premessa fondamentale: «la
mutua e continua carità, che rende possibile l’unità e porta la presenza di
Gesù nella collettività» (Statuti generali dell’Opera di Maria. Premessa).
Se Gesù è fra noi, egli che è la verità
incarnata, ne è anche il più legittimo e il più grande maestro, l’unico maestro
della sua verità. Con lui fra noi possiamo dire ciò che ha scritto Paolo: «Noi
abbiamo la mente – la noûs – di Cristo»
(1 Cor 2, 16) [riferimento
particolarmente caro a Peppuccio!].
E Cristo è luce per ogni uomo.
Se non è così, se non c’è l’amore reciproco
tra noi e la sua presenza fra noi, è notte.
Sono
sicuro che questi giorni di incontri segneranno una tappa decisiva per questo
nostro cammino d’unità e di riflessione.
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