sabato 31 agosto 2019

Un mondo alla rovescia



“… non metterti al primo posto… va' a metterti all'ultimo posto… Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14, 1. 7-14).

L’arrivismo è una cosa che a Gesù proprio non va giù.
Lo fa capire in mille modi:
“Guai a voi che desiderate occupare i primi posti” (Lc 11, 43), afferma rivolgendosi ai farisei: “Essi occupano i primi posti nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti” (Lc 20, 46).
Ma ce l’ha anche con i figli di Zebedeo che chiedono i primi due posti nel Regno dei cieli, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, ministri degli interni e degli esteri; come con tutti gli apostoli che durante l’ultima cena discutono tra di loro chi sia il primo… proprio mentre Gesù si mette all’ultimo posto lavando i piedi a tutti.

La morale della favola, anzi della parabola, è chiara: “chi si innalza sarà umiliato e che si abbassa sarà esaltato”.
Sarà umiliato ed esaltato da chi? I nostri biblisti ci ricordano che questo è un passivo teologico: chi compie l’azione è Dio! Il Vangelo di Matteo lo dice esplicitamente: “Chi vorrà farsi grande, Dio lo abbasserà; chi resterà umile, Dio lo innalzerà” (23, 12).
L’aveva già cantato Maria nel suo Magnificat: “Dio ha rovesciato i potenti dai loro troni; ha innalzato gli umili” (Lc 1, 52)

È dunque un mondo alla rovescia quello che Gesù propone? Alla rovescia, caso mai, è il nostro mondo, fatto di bramosia di potere, di primeggiare, di apparire (anche quando sotto non c’è nessuna sostanza). Mettersi in mostra, volere essere famosi a tutti i costi, avere tanti followers, tanti like…
Ne siamo contagiati tutti.
Il mondo dritto è quello di chi tiene conto degli ultimi e ne condivide gioie e sofferenza, senza mettersi né sopra né sotto, ma accanto.
Quella di Gesù non è una lezione galateo o l’invito a non fare brutte figure. Ne va piuttosto della nostra salvezza, c’è di mezzo il giudizio finale, che ribalterà le situazioni.
Altro che primi posti!, piuttosto i servi di tutti.
Facile a dire, difficile a fare. Dobbiamo proprio aiutarci.
In proposito oggi mi ha colpito leggere il profilo di un “ultimo” che è andato in cielo proprio questi giorni, Ezio Sorgo, che scriveva: “invece di cercare la mia perfezione, vivere la perfezione della carità fra noi”.



venerdì 30 agosto 2019

Viaggio in Camerun


“Sono in un posto incantevole. Dal caldo umido di Kinshasa sono passato ad un bel clima primaverile. Mi trovo in montagna, a 1.500 metri. La natura è splendida nelle sue infinite variazioni di verde che spicca sulla terra rossa. L’uomo l’ha domata e coltivata: ananas, banane, cocco, caffè, papaia, mango…, ma non l’ha deturpata, direi quasi che l’ha abbellita”.
Così scriveva quando a Natale del 1986 arrivai in Camerun. Era la prima volta. Vi sono tornato nel gennaio 2009 per un convegno sulle religioni tradizionali. Ed eccomi al terzo viaggio.
Questa volta, a differenza delle due precedenti, sarò finalmente con gli Oblati, arrivati in questo Paese nel 1946.
Quarant’anni dopo il loro arrivo, nel 1986, proprio l’anno della mia prima visita, l’allora arcivescovo di Yaoundé, Mons. Jean Zoa, scriveva:

Agosto 1946: Padre Yves Plumey arriva in Ciad. Questa volta è dall'evangelista Luca che prendiamo in prestito questa parola profetica: “Sono venuto per accendere un fuoco sulla terra e come vorrei che fosse acceso!” (Lc 12, 49). Come queste parole di Cristo si applicano bene ai nostri primi Missionari! Padre Yves Plumey, presto monsignore Plumey, con i suoi quattordici primi compagni, lancerà il fuoco di Pentecoste sulle immensità del Nord Camerun, Ciad, Mayo-Kebbi. E poi il fuoco sale e lentamente sorge la Croce di Cristo
1946-1986: quarant'anni di epopea eroica. I quattordici compagni del vescovo Plumey furono seguiti da oltre 190 altri, per lo più Oblati di Maria Immacolata. Hanno percorso oltre 200.000 km, viaggiando per decine di migliaia di chilometri a piedi, a cavallo, in auto; hanno appreso 63 dialetti, evangelizza una popolazione di 3-4 milioni di abitanti tra Camerun, Ciad e Repubblica Centrafricana, con quasi il 50% di musulmani. Cinque diocesi, una popolazione cattolica per un totale di 120.000 battezzati, un seminario minore, un seminario maggiore con una cinquantina di seminaristi, per non parlare di scuole, collegi, dispensari, ospedali, centri di formazione per catechisti e movimenti di azione cattolica di giovani e adulti, sono il frutto di 40 anni di dedizione alla costruzione del Regno di Dio.

Nel frattempo sono passati altri 33 anni, mons. Plumay è stato ucciso, gli Oblati della Polonia sono arrivati nella regione dei pigmei, si è aperta la missione della Nigeria…
Chissà cosa mi aspetta in questo viaggio…

giovedì 29 agosto 2019

Che santo è oggi?

 
Il santo di oggi è facile: martirio di san Giovanni Battista.
Non basta. Ogni giorno ne ha una sfilza.
Oggi c’è anche una mia grande amica, Jeanne Jugan, con una vita da romanzo.
Di frequente ci sono anche nascoste feste della Madonna: oggi quella della Guarda a Genova.
Scorrendo la lista arrivano immancabilmente alcuni martiri della Corea, del Giappone, e più frequentemente della guerra civile spagnola, dei campi di concentramento nazisti…
Infine, accanto a queste stelle di prima grandezza, le nebulose di santi di cui si sa soltanto che sono: martire, vergine e martire, asceta, confessore... (e non è poco!) A parte alcune notizie leggendarie, di tanti santi e sante il più delle volte si conosce soltanto il nome e il luogo in cui è venerato.
Oggi è la volta di Sabina, di Candida, venerata a Roma, di Basilla, martire a Sirmio, di Vittore, eremita, di Mederico, venerato a Parigi…

Ogni mattina, appena sveglio, passo in rassegna i santi del giorno e scelgo di leggere un profilo a caso. Ogni volta è una scoperta nuova. Come quella di oggi: Beato Edmondo Ignazio Rice, dell’Irlanda del 1700. Gli muore la moglie e gli lascia una figlia disabile per la quale si prodiga con affetto. È solo l’inizio di una storia avvincente che lo porta a creare scuole per i poveri, fino a fondare due congregazioni religiose, le prime di origine irlandese.
Ha ragione l’autore delle Lettera agli Ebrei quando scrive che “Anche noi, circondati da una nuvola di testimoni…, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Eb 12, 1-2).
La mia giornata inizia sempre in buona compagnia. 
Non siamo mai soli nel nostro cammino. 
Già! i compagni di viaggio...


mercoledì 28 agosto 2019

Compagni di viaggio, anzi, compagne



“Che tristezza un viaggio da soli. Si può intraprendere per affari, per andare a trovare qualcuno… Ma un viaggio vero, verso una bella meta, di quelli che si preparano con cura, di quelli che non ci dormi la notte prima perché sei eccitato all’idea di andare in un posto nuovo, dell’avventura, va fatto insieme: il tempo passa più in fretta, ci si aiuta, ci si incoraggia se capita di sbagliare strada, si condividono le nuove scoperte, le gioie, le difficoltà”.
Così scrissi una volta su questo blog.
Il mio viaggio in Catalogna sarebbe stato così bello se fossi stato solo?
Ho avuto la fortuna di avere tre straordinarie compagne di viaggio. Con occhi si vede meglio e di più. Con quattro cuori le emozioni si moltiplicano. Con quattro menti si comprende meglio. Più ancora se i quattro sono uno!


E cosa sarebbe stato il viaggio senza l’accoglienza signorile di dom Carles in monastero o quella aperta, calda e generosa di padre Willi e della comunità dei Missionari del Sacro Cuore?




Porto con me il silenzio dell’alba di Monserrat, il sorriso della Madonna Nera, la lode alla Vergine – il Verolai – cantato dai pueri cantores dell’abbazia, il gioco delle fontane di piazza di Spagna a Barcellona, la musica dell’orchestra giovanile inglese nella chiesa di Maria del Mar, la mistica dei luoghi e dell’arte…
La bellezza, l'amicizia, la fraternità continuano a dare lode a Dio.

martedì 27 agosto 2019

Gaudí, nessuna dicotomia tra sacro e profano




Il nostro itinerario barcellonese, dopo la visita alla Sagrada Familia (non mancano altre sue costruzioni di carattere sacro, come chiese, cripte, cappelle, un monastero…), non poteva disattendere le costruzioni “laiche” di Gaudí, case e ville e parchi e aziende.
Ma questa distinzione non sembra faccia il suo caso. In ogni edificio “profano” ha inscritto il sacro: la croce con i quattro bracci, il nome di Gesù Maria e Giuseppe oppure il nome di Gesù. Così nel Parco Guël e nella Casa Battlo, che sono quelle che ho visitato.


Oggi la Casa Milà o La Pedrera. Avrebbe voluto completare questo capolavoro con una statua di Maria, a cui aveva dedicato il palazzo. I moti anticlericali non consigliavano tale completamento e la casa rimase incompiuta. Non ha rinunciato comunque a scrivere, sulla facciata, all’ultimo piano, il monogramma di Maria e l’inizio dell’Ave: “Gratia plena”.
Ma non c’era nemmeno bisogno di siglare l’opera con questi sorbii e quasi impercettibili segni religiosi. L’architettura stessa è un inno alla bellezza di Dio, grazie alle originali linee mosse, alla ricreazione di un ambiente selvatico e mistico insieme.
In Gaudí, sia nella vita personale che in quella d’artista, sacro e profano non si confondono e nello stesso tempo si compenetrano e si armonizzano tra loro, quasi a dire che il bello è già testimonianza del divino.


Mi ha colpito una sua affermazione: “La povertà porta all’eleganza e alla bellezza; la ricchezza porta all’opulenza e alla complicazione, che non possono essere belle”.
È vangelo. Ricorda i gigli del campo…
Diceva che avrebbe voluto morire povero. Quando fu investito dal tram fu creduto un barbone e soccorso alla meglio. Povertà – evangelicità - e bellezza si erano sposate.
E sempre la tensione al meglio, alla perfezione: “In generale la gente, quando fa una cosa, quando questa cosa è fatta bene, rinuncia ad andare in profondità e si accontenta del risultato ottenuto. Questo è un errore: quando una cosa è sulla via della perfezione, bisogna andare fino in fondo finché non sia fatta bene del tutto…”.
Un insegnamento di cui è stato maestro e che merita il riconoscimento della sua santità.

lunedì 26 agosto 2019

L’attenzione al dettaglio


  
Dalla Sagrada Familia alla cattedrale di Barcellona. Un salto indietro nei secoli, lo stesso presente di bellezza e di fede.
Quando entri in una cattedrale medievale come questa sei subito attratto dall’architettura, dalla visione d’insieme che ti prende per la sua eleganza e la sua finezza. Colonne possenti che si alzano agili, in armonia; gli archi che si incrociano e si rincorrono sempre più in altro e si perdono tra una navata e l’altra verso spazi che sembrano infiniti e insieme sapientemente misurati.
Dopo la prima impressione le forme si compongono e si armonizzano tra le navi, il transetto, il coro. Poi guardi indietro e il rosone appare in tutta la sua lucente maestosità. Vedi aprirsi le cappelle, varchi nascosti, l’organo.
La chiesa comincia infine a popolarsi di santi e di storie bibliche: statue, affreschi, quadri che raccontano di martirii, di miracoli…
Puoi passare delle ore ad abbracciare l’insieme e a lasciti abbracciare dalle linee che s’innalzano, s’incrociano, si perdono lontane.


Solo più tardi, quando ti sei ambientato e l’occhio si è adattato alla luce mistica, emergono i particolari, infiniti. Sono capitelli, figure minuti, ceselli. Le grate, le pietre, le lampade, i legni, gli intarsi. Ti viene in evidenza un dettaglio, poi un altro, un altro ancora, un altro ancora. Lavoro di secoli, di artigiani competenti e amanti del loro mestiere. Quella piccola scultura, autentica miniatura, è posta lassù in alto, appena visibile, persa allo sguardo. Eppure lo scalpellino l’ha pensata e studiata a lungo assieme ai suoi compagni, ha fatto i disegni, forse un modello in argilla, l’ha scolpita per giorni. Poi l’hanno collocata in quell’arco, accanto a un’altra…


La bellezza dell’insieme è fatta anche da questi piccoli particolari.
Occorrono giorni e giorni per scoprili, ammirarli, lasciarli parlare…
La contemplazione nasce anche da questo. I nostri antichi sapevano fermarsi e guardare, non andavano in fretta come noi oggi.
Capisco meglio il passaparola di oggi: “Fare piccole cose con grande amore”.

domenica 25 agosto 2019

Gaudí: Prima l'amore, poi la tecnica



Le guglie della montagna di Monserrat somigliano a quelle che facevamo da bambini al mare con la sabbia bagnata. Le stesse che salgono su attorno alla chiesa della Sagrada Familia a Barcellona.
Questa mattina vi abbiamo celebrato la messa, con la solennità degna di un’abbazia e con la bellezza degna dell’opera d’arte di Gaudí.
Vi siamo rimasti l’intera mattinata, mentre ieri avevamo passato la mattinata e girarle intorno per contemplarla da ogni lato.


“Per fare le cose bene è necessario: prima l’amore per esse, poi la tecnica”.
Queste parole di Gaudí sono espresse dalla sua opera, per la quale ha speso più di 50 anni, e che è ancora in costruzione. Un’opera che rimane, un inno a Dio e alla sua creazione. “È un canto alla natura”, avrebbe detto qualcuno rapito, come noi, da quello che il maestro stava edificando. “È piuttosto un canto alla creazione”, gli avrebbe risposto preso. Il nome di Gesù è infatti inscritto in ogni sua opera, anche sui palazzi civili e sulle case comuni.


Ieri mattina abbiamo pregato a lungo sulla tomba di Gaudí, nella cripta e oggi lo abbiamo visto ancora vivo, che continua il suo canto di loro al Signore
La selva di alberi che animano la cattedrale, le luci, i colori, le forme: un incanto, la foresta incantata.
La messa internazionale di oggi, curata nei minimi particolari, con il coro, il suono dell’organo, l’ordine, la partecipazione attiva e numerosa, continua a dare senso dell’esistenza di questo tempio, come ai augurava Antoni Gaudí: “Si deve mantenere sempre lo spirito del monumento, però la sua vita dipenderà dalle generazioni che lo trasmetteranno e nelle quali vive e si incarna”.


Il "monumento", prima ancora che dal genio di Gaudí e dalla sua santità, è nato su un carisma, che lo ha ispirato, da Josep Manyanet i Vives, fondatore delle congregazioni dei Figli e delle Missionarie Figlie della Sacra Famiglia, canonizzato nel 2004.
È sempre il dono di Dio, offerto e accolto, a generare bellezza.

sabato 24 agosto 2019

A prescindere



Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme (Lc 13, 22-30)

Chissà quanti riflessioni suscita il Vangelo di questa domenica:
chi sono gli ultimi e chi sono i primi?
come si fa a entrare per la porta stretta?

A me colpiscono soprattutto le prime parole, messe lì da Luca con fare redazionale, per dare un contesto agli enunciati così forti e drammatici di Gesù: “Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme”.
Gesù neanche si pone il problema se i suoi ascoltatori accolgo o meno la sua parola, se sono di quelli che diranno semplicemente: “Non ti ricordi di noi, tu hai insegnato nelle nostre piazze”, senza essere toccati dalla sua predicazione, o se sono di quelli che “mettono in pratica la sua parola”.
Lui insegna e basta.
Come il seminatore che getta con abbondanza e generosità la semente senza curarsi se essa andrà a finire sulla strada, tra i sassi, tra i rovi o in terra buona.
Sono gli altri che si preoccupano di sapere se sono molti o pochi quelli che si salvano.
Lui dà la vita per tutti, a prescindere se qualcuno accoglie o meno la sua vita.
Sulla croce ha sparso il suo sangue per tutti, anche se lì per lì sembra che uno solo l’abbia raccolto, quel centurione che aveva presieduto l’esecuzione capitale.

Mi sembra la lezione più bella del Vangelo di oggi.
Amare tutti, senza pensare al ritorno, gratis… a prescindere.


venerdì 23 agosto 2019

Da Monserrat a Manresa con sant’Ignazio


Da Monserrat sant’Ignazio scese a Manresa. L’ho seguito.
Manresa, cittadina modesta, con una cattedrale bellissima (anche se non è mai stata sede vescovile), in stile gotico-catalano. Le grandi tavole sugli alteri laterali, miracolosamente risparmiate dalla guerra civile, raccontano storie straordinarie di Gesù, di Maria, dei santi. Restiamo a contemplarle a lungo, soprattutto quella della Santissima Trinità, come certamente avrà fatto sant’Ignazio quando veniva a pregare qui. Una statua ritrai in santo proprio in rapimento.
Siamo andati in cerca di altri luoghi che ricordano la permanenza di Ignazio in questa cittadina, come il piccolo antico ospedale della famiglia Amigant che si era preso cura di lui; o il convento dei Domenicani, che però non c’è più, lasciando il posto alla piazza omonima.


Soprattutto abbiamo visitato la grotta dove soggiornò undici mesi, tra il 1522 e il 1523, «pensando alle cose di Dio», come è scritto nella sua “autobiografia”.
Qui ebbe le celebri visioni intellettuali, note come “la grande illuminazione del Cardoner”. Scrive il Nadal: «Qui comprese il suo fine e quello a cui doveva applicarsi e avere come scopo in ogni sua opera», scopo che è ora quello della compagnia.
Ispira ancora la Cova de Sant Ignasi, dove si era ritirato per scrivere i suoi Esercizi spirituali.
Dalla grotta si vede, lontana, la montagna di Montserrat, che ogni giorno avrà ricordato al santo la sua notte di veglia davanti alla Madonna alla quale s’era tutto donato.
Per me quella santa montagna non sarà più davanti agli occhi, ma l’immagine della Madre-Regina rimarrà sempre…


giovedì 22 agosto 2019

Monasteri cultori d'umanità



Oggi i monaci si sono dimenticati di celebrare la memoria di Maria Regina. Noi l’abbiamo fatto ugualmente, chiedendo a Maria che diventi sempre più regina dei nostri cuori.
E di nuovo in fila, con tutto il popolo di Dio per venerarla e toccarla, salendo lassù in alto, da dove domina sulla chiesa abbaziale e non solo.


Il monastero, oltre al “camerino” della Madonna ci ha aperto un altro dei suoi luoghi prestigiosi, la biblioteca. Nel 1812 le truppe napoleoniche, con quel fare vandalico che li caratterizzò in tutta Europa, incendiarono e distrussero il monastero di Montserrat, biblioteca compresa. I monaci, con pazienza e dedizione, hanno ricostruito monastero, chiesa e biblioteca.
La sala nobile conosce l’eleganza di un tempo. Attorno vi sono sale di struttura più moderna, con scaffalature in metallo e migliaia di volumi di tutti i generi, il cui catalogo è consultabile via internet. 


Tra gli innumerevoli tesori i numerosi papiri. Vi spicca la più antica testimonianza del Vangelo di Matteo… e siamo al II secolo!
I monasteri continuano ad essere custodi di fede e di cultura, d'umanità.


mercoledì 21 agosto 2019

A Montserrat con la Regina del cielo e della terra


Uno dei quaranta monaci della comunità ci guida alla scoperta del monastero, dalla sala capitolare al chiostro interno al giardino che custodisce la primitiva chiesetta romanica.
L'attenzione ai dettagli, l’amore alle cose ben fatte è ciò che più colpisce in questo ambiente monastico. Nella chiesa come nel monastero vi è una straordinaria ridondanza di particolari, tutto vuol trasmettere un messaggio, richiamare una verità, risvegliare lo spirito. Ogni porta è cesellata, ogni parete ostenta un dipinto, un arazzo, un quadro. Le frasi che ovunque fioriscono si rincorrono una dietro l’altra, e sono lodi a Maria tratte dalla Scrittura come dalla tradizione, nomi evocativi di persone o luoghi santi. Tutto parla e tiene desto lo spirito.
Il canto delle lodi e dei vespri, con melodie originali, come quello della liturgia eucaristica, introducono nella preghiera “angelica”, avvio alla contemplazione. La lingua catalana, di cui i monaci sono strenui difensori e promotori, non è di alcun ostacolo. Il monastero benedettino di Montserrat si presenta come un programma di vita. Ne fanno fede le migliaia di persone che lo frequentano e la chiesa gremita di fedeli che pregano con i monaci. Sono due milioni e mezzo i visitatori che vi giungono ogni anno.



I primi monaci vennero nel secolo VI, prima di Benedetto, attratti da queste montagne aspre e dolci insieme, che somigliano alle Meteori della Grecia o alle rupi della Cappadocia, altre montagne scelte da altri monaci a causa delle loro insolite conformazioni.
L’attuale monastero fu fondato nel 1025 e ricostruito a più riprese, incastonato in uno dei più straordinari paesaggi spagnoli con le originalissime guglie granitiche che hanno ispirato artisti come Gaudì. Sorse attorno alla chiesetta dedicata alla bella statua romanica della Madre di Dio, trovata almeno un secolo prima dai pastori che, come vuole la tradizione, scorsero in quel luogo una grande luce. Sulle cime delle guglie rocciose comparvero in seguito dodici eremitaggi, uno dei quali abitato fino alla morte dell’ultimo eremita, una quindicina d’anni fa.


Il cuore della chiesa e del monastero rimane la statua di Maria. Quasi si perde nella grande chiesa, su in alto, troppo lontana, tra ori e argenti. Basta tuttavia mettersi nella lunga fila che parte dall’atrio della chiesa e con pazienza percorrere tutta la navata destra. Al termine un grande portale di marmo bianchissimo, lavorato con finezza, introduce in una scala affiancata da decine di sante disegnate da mosaici, dalla madre Eva a Teresa d’Avila, che preparano all’incontro con la “santa”. Ed eccoci finalmente nel “camerino” della Madonna adornato di mosaici, pittore, ceselli in metalli preziosi che tuttavia scompaiono davanti alla bellezza della statua. Maria appare seduta in trono come una vera regina dell’antico medioevo. È d’una bellezza estrema, con un sorriso a fior di labbra che riempie il cuore di fiducia. In un momento nel quale sono solo – essendo ospite in monastero posso accedere con facilità – provo a fotografarla, ma chissà perché le foto non rendono la dolcezza del sorriso e la confidenza che esso suscita. Tanto vale rinunciare e fotografarla con gli occhi e con il cuore: se potesse darci il rapporto che ha con il Figlio che tiene seduto sulle ginocchia! È la mia preghiera, oggi, vigilia della festa che la vede incoronata regina del cielo e della terra.

martedì 20 agosto 2019

A Monserrat



In maniera inattesa e impensata, come Ignazio di Loyola anch’io mi ritrovo ai piedi della Madonna Nera di Montserrat.
Non ho, come lui una spada da deporre ai suoi piedi in segno di conversione, ma come lui ho bisogno di conversione.
Mi accolgono i monaci benedettini, come allora accolsero Ignazio e come continuano ad accogliere ogni anno migliaia di pellegrini.

Arrivo proprio nella festa di San Bernardo di Chiaravalle.
L’inno delle Lodi dice:
Tu guidaci alla vetta
della Santa montagna,
dove i miti possiedono
il regno del Signore.
Che in questi giorni Montserrat (in catalano significa monte segato) sia per me davvero una santa montagna?

lunedì 19 agosto 2019

Libere donne di Dio



Basilio, Gregorio di Nissa, Pacomio, Giovanni Crisostomo, Girolamo… chi non conosce questi grandi dei primi tempi del cristianesimo. Conosciamo meno le donne che stanno dietro, o davanti, o accanto a questi uomini: Macrina, Marcella, Paola, Eustochio, Melania. Meno ancora conosciamo donne indipendenti come Maria d’Egitto, Pelagia, Egeria…
Quando leggiamo dei Padri della Chiesa le donne appaiono quasi di riflesso, in maniera marginale. Esse hanno giocato invece un ruolo di primaria importanza. Vedere gli uomini a partire dalle donne offre una lettura nuova della storia.

Soltanto adesso, a più di vent’anni dalla sua pubblicazione, ho avuto occasione di leggere questo straordinario libro dell’amica e collega Mariella Carpinello, Libere donne di Dio. Figure femminili nei primi secoli cristiani, edito da Mondadori.
Si spalanca un mondo ricco di esperienze quotidiane ed estreme, un’umanità che ha preso sul serio il messaggio evangelico, senza annacquamenti. Non appaiono polarizzazioni tra maschio e femmina, ma rapporti costruttivi, di grande libertà, testimonianza della rivoluzione portata dal cristianesimo.
Sono storie d’altri tempi, alcune improponibili. Rimangono comunque un segno luminoso e una proposta sempre attuale per un cammino coraggioso nello sconfinato orizzonte aperto da Cristo e per un rapporto uomo-donna liberatorio e fecondo.


domenica 18 agosto 2019

Dipingere le missioni


  
A Santa Maria a Vico ho mostrato le foto di due dipinti che ritraggono due missionari Oblati ripetitivamente tra gli Inuit del Gran Nord Canadese e in una non meglio definita terra d’Africa.
Due quadretti ingenui e candidi, che esprimono l’immaginario correttivo ed evocano epopee di altri tempi.
Tutti quelli che ho interpellato mi hanno detto che non conoscevano quei dipinti.
Eppure li hanno ogni giorno sotto gli occhi. Sono due particolari dell’altare dedicato a santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni, un altare che sta nella prima cappella a destra del santuario dell’Assunta.
(Sul mio blog una volta ho raccontato come, grazie agli Oblati, Teresa di Lisieux è stata proclamata patrona delle missioni:

I dipinti sono di padre Gaetano Drago e risalgono al periodo in cui insegnava a Santa Maria a Vico, agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso.
Era un artista p. Drago: scrittore, poeta, letterato, pittore e ci ha lasciato tanti piccoli gioielli… come questi due quadretti.