venerdì 31 agosto 2018

Ad Assisi con Chiara Lubich



Il "Franciscanum" di Assisi
La Scuola Abbà ha terminato la sua trasferta assisana. Siamo stati preceduti, negli anni Quaranta, dalla fondatrice stessa della Scuola Abbà, Chiara Lubich, che è stata più volte ospite della stessa casa, il Franciscanum, dove siamo stati ospitati anche noi questi giorni.

Abbiamo ripreso in mano e letto insieme le pagine del libro delle Cronache del convento, che annotano quelle sue venute.


Ad una breve nota del 19 aprile 1947, nella quale viene data la notizia che «giunge da Roma il Revmo P. Leone Veuthey per attuare alcuni piani della Crociata di carità con una persona», ne fa seguito una lunga del 22 aprile:





«Giorno beato. Conversazione con una signorina, la fondatrice della Crociata della Carità messa in pratica, la sorella Chiara. Essa ci ha detto come possiamo mettere in pratica la Carità nelle relazioni con i compagni e i superiori del collegio. Nella sua parola infiammata, esatta, esposta bene anche letterariamente, abbiamo notato qualche cosa di divino. In questa giovane abbiamo sperimentato quanto sia vera la parola di Gesù: “Quando voi parlate di me dinanzi ai vostri fratelli non siete voi che parlate ma sono io che parlo in voi!”. Il suo aspetto? Ci richiamava un sacro rispetto che certamente non si sente dinanzi ad una creatura qualunque. Essa ha molto insistito sull’unità. Quest’unità bisogna che si formi col p. Spirituale e con i Superiori e poi con i compagni: “O unità o morte!” diceva essa. Ha battuto pure su un altro punto importante: usare bene del tempo presente. Riferendo il discorso della Lubich, la nota continua: «Perché pensare al passato, quando questo ormai è passato e non possiamo far niente perché sia passato? Perché progettare sul futuro, quando queste opere futuribili sono soltanto basate nel futuro e non quindi nella realtà? Osserviamo bene i termini: richiamando il passato noi ci turbiamo per quelle date azioni che non sono andate così bene, come noi avremmo voluto; ripensando anche ai peccati la nostra pace subisce quasi un turbamento, una scossa, starei per dire una sfiducia nella misericordia di Dio. Progettando sul futuro, noi entriamo in una questione che non ci appartiene, quindi ci appropriamo di una cosa, di cui solo Dio è l’arbitro di essa. Ricordiamo la parabola del ricco, che aveva accumulato beni per anni, nella notte sentì la tremenda parola: “Stolto, questa notte morirai!”. Pensando invece ad impiegare bene il tempo presente noi siamo nel campo giusto perché badiamo che l’azione compiuta sia degna di Dio, quindi osserviamo la giustizia. In ogni azione pensare al momento presente e compierla sempre per amore di Gesù, e per amore di colui che è datore dell’amore: lo S[pirito] Santo!».


Un cronista diverso annota, invece, il 1 agosto 1947: «È giunta da Trento Sorella Chiara per una intervista col “Focolare” di Assisi. Ci ha parlato per due ore. Come è persuasivo il suo esempio! L’amore vince ogni cosa: o l’Unità o la morte».



I testi sono ora accessibili nell’articolo pubblicato da L. Abignente, L'unità un comune sentire nello Spirito. Una riflessione sul rapporto tra Chiara Lubich e p. Leone Veuthey alla luce di documenti inediti, in "Miscellanea Francescana", 114 (2014), pp. 477-478.




giovedì 30 agosto 2018

La Scuola Abbà alle Carceri




“Coloro che vogliono condurre vita religiosa negli eremi, siano tre frati o al più quattro. Due di essi facciano da madri ed abbiano due figli o almeno uno. I due che fanno da madri seguano la vita di Marta, e i due che fanno da figli quella di Maria”.




Inizia così la Regola dettata da san Francesco per la vita degli eremiti. Lui stesso ne ha fatto esperienza. Un’eremitismo completamente nuovo, perché la solitudine è vissuta, paradossalmente, in fraternità. 





Ed eccoci in uno dei luoghi dove Francesco si ritirava con alcuni compagni, sopra Assisi: le Carceri.
D’incanto, appena varcata la soglia che porta nella foresta, si è avvolti da un clima di pace intensa e si respira il silenzio nel quale Dio parla.

mercoledì 29 agosto 2018

Voglio mandarvi tutti in Paradiso



In una notte del luglio 1216, mentre se ne stava in ginocchio innanzi al piccolo altare della Porziuncola, vide all’improvviso uno sfolgorante chiarore. Seduti in trono, circondati da uno stuolo di angeli, apparvero, in una luce sfavillante, Gesù e Maria. Il Redentore gli chiese quale grazia desiderasse per il bene degli uomini. S. Francesco rispose: “Poiché è un misero peccatore che Ti parla, o Dio misericordioso, egli Ti domanda pietà per i suoi fratelli peccatori; e tutti coloro i quali, pentiti, varcheranno le soglie di questo luogo, abbiano da te o Signore, che vedi i loro tormenti, il perdono delle colpe commesse”.
“Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande - gli disse il Signore -, ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza”.
Alle prime luci dell’alba, quindi, Francesco, prendendo con sé solo frate Masseo di Marignano, si diresse verso Perugia, dove allora si trovava il Papa, Onorio III. Francesco chiese l’indulgenza plenaria, riservata soltanto per i Crociati.
Nonostante l’opposizione della Curia, il pontefice gli accordò quanto richiedeva.
E qualche giorno più tardi insieme ai vescovi dell'Umbria, al popolo convenuto alla Porziuncola, Francesco disse tra le lacrime: “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso”.


Con la comunità del Movimento in Umbria
Oggi pomeriggio, interrompendo i lavori della Scuola Abbà, abbiamo rievocato questo evento visitando la Purziuncola a Santa Maria degli Angeli.
Siamo poi stati nel focolare, proprio sulla piazza della basilica, dove era radunata la piccola comunità locale. Assieme abbiamo vissuto un intenso momento di comunione. È stato così bello e profondo che alla fine, ascoltando le impressioni dei presenti, mi è sembrato di vedere attuato il desiderio di san Francesco: “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso”. Davvero eravamo in Paradiso!

Già la mattina era iniziata con la celebrazione della messa sulla tomba di san Francesco e con la visita del sacro convento. C’era con noi un Francesco vivo, che aveva il volto di p. Mario e di p. Alfio.


Messa alla tomba di san Francesco
È poi continuato il consueto lavoro della Scuola Abbà, ormai segnato da questa presenza carismatica di san Francesco. La decisione di vivere questi momenti di studio ad Assisi era motivata da motivazioni contingenti. Non avremmo mai pensato che fosse condizionata in maniera così decisiva e positiva dal carisma francescano. Leggiamo san Francesco alla luce del carisma dell’unità e il carisma dell’unità alla luce del carisma francescano: si illuminano e si arricchiscono reciprocamente. È un’autentica esperienza di Chiesa, dove si fa a gara nello stimare il dono dell’altro e, così facendo, si cresce nella comprensione della propria identità.


Padre Rino Martignago, missionario



Insieme sulle Dolomiti nel 1969

Padre Rino Martignago è partito per il cielo.
Ci siamo incontrati la prima volta nel 1968, sessanta anni fa, a Vallada, sulle Dolomiti.
Abbiamo fatto il noviziato insieme, continuando poi gli studi di teologia. Fino a quando è partito per il Sud America.

Per 30 anni si è donato totalmente tra la gente dell’Uruguay, del Paraguay, della Bolivia, del Guatemala. Un missionario vero, buono, semplice, capace di condivisione, che ha sempre dato senza mai pretendere qualcosa per sé.
Nel 2005 fu colpito da un ictus che lo paralizzò, togliendogli la parola e la capacità di leggere, di scrivere, di comunicare. A 55 anni non ha più potuto svolgere le consuete attività del missionario, visitare la gente, consolare, parlare di Dio, donare speranza e parole di saggezza.
Rientrato in Italia, dopo mesi di terapia intensiva, raggiunse san Giorgio Canavese, la casa di cura per gli Oblati anziani o ammalati.
Erano gli anni della sua maturità. Dopo essere stato a lungo con la gente, dopo essere vissuto per anni nei noviziati del Sud America, aveva acquistato una invidiabile ricchezza interiore che gli avrebbe consentito di lavorare a lungo e in profondità per la crescita della Chiesa. E non poteva più fare niente.
Nelle mie poche visite a p. Rino, vedendolo immobile prima nella carrozzella e poi nel letto, era naturale pensare a Gesù in Croce, che non poteva insegnare, curare, compiere miracoli. Anche Gesù, come p. Rino, era immobile, impotente. Eppure proprio in quel momento, nell’inattività assoluta, compiva l’opera più grande, la redenzione. Così p. Rino. Così era diventato autentico missionario.


Un suo compagno di seminario così lo ricorda:

Rino, un bambino magrolino, generoso, simpatico, semplice, alquanto schivo! Proveniva da Maser (località famosa per la sua prestigiosa Villa, capolavoro dell'arch. A. Palladio), contrada Muliparte. Era venuto ad abitare a Riese Pio X nel 1957 coi genitori, i fratelli Linda, Antonio e Armando, e i due nonni.
Una famiglia di contadini numerosa e povera, ma ricca di valori che i suoi genitori Egidio e Bruna, vivevano nella fede cristiana, insieme a tanti sacrifici, e che cercavano di trasmettere ai loro figli con la costante collaborazione della nonna. Rino aveva frequentato, la quarta elementare ad Altivole, perchè più vicina, ma in quinta ci siamo trovati insieme a scuola ai Riese, sotto la valida guida del maestro Ferdinando Carraio.
Ho fatto da subito amicizia con Rino, perché, a cavalcioni delle nostre sgangherate biciclette, dovevamo percorrere assieme un buon tratto di strada, che allora era un viottolo di campagna, delimitato da ruscelli con numerosi alberi, sotto i quali ci siamo spesso fermati, senza preoccupazione di orario, a condividere problemi e sogni circa il futuro.
Allora, infatti, per la stragrande maggioranza dei ragazzi, la quinta elementare era l'ultimo anno di scuola. Poi si doveva pensare al lavoro, e se pur molto giovani, a cosa fare della propria vita. Rino, me l'aveva ripetuto spesso, che voleva fare il muratore. Lo diceva con cipiglio di ragazzo responsabile e concreto da cui traspariva una certa qual sicurezza di decisione. Io, entusiasmato dal catechista e dall'esempio di qualche compagno, avevo espresso la mia intenzione di entrare in seminario.
Rino, un paio di giorni dopo la confidenza del mio segreto, mi disse di averci ripensato e di voler entrare anche lui in seminario per diventare prete. Occorreva far presto. Eravamo a giugno, e dovevamo prepararci agli esami di "ammissione" per settembre (come si usava allora), per poi cominciare il ginnasio. Infatti gli anni che seguirono ci videro sempre assidui compagni di studio e di formazione (per me tuttavia il Signore ha disposto diversamente e ora, dentro una vita di famiglia, sono disponibile a prestare diversi servizi alla mia parrocchia).
Rino, dopo la quinta ginnasio nel seminario a Treviso, sentì l'impegnativo invito a diventare missionario e, nella sua generosa disponibilità, entrò nella Congregazione dei Missionari Oblati di Maria Immacolata (OMI). Le sue tappe formative furono: un primo breve soggiorno estivo ad Andrich di Vallada Agordina (BL), poi la comunità del Centro Giovanile di Marino (Roma), il Noviziato a Frascati e I'Università del Laterano a Roma.
Padre Rino, quando c'incontravamo nelle pause di studio o di impegno missionario, mi ripeteva una frase che era il suo programma di vita: "Io ho dato tutto al Signore e qualunque cosa accada, sono sereno, ci pensa lui". Ordinato Sacerdote nella chiesa arcipretale di Riese Pio X, santuario di San Pio X, il 17 maggio 1975, fin da subito fu solerte e instancabile sacerdote missionario, la cui storia si può così riassumere: 18 anni in Uruguay, 5 anni in Paraguay e 5 in Guatemala e il resto di "missionario... in croce".


Con la sorella Linda

Con Mons. Alessandro Staccioli
Nel 2015, in occasione dei suoi 40 anni di sacerdozio (siamo stati ordinati lo stesso anno), un gruppo di amici e parenti andò a visitarlo a san Giorgio Canavese. Nel discorso di ringraziamento, l’instancabile Lidia, la sorella di p. Rino che gli è stata accanto tutti questi anni con un amore di madre, tra le altre cose gli diceva:

Grazie, Padre Rino! E grazie ancor di più, per aver aperto il tuo cuore - ora sono più di 12 anni - all’inattesa, imprevedibile, ulteriore visita di Nostro Signore, che ti invitava a “riposarti”, dopo tanto camminare, in una nuova “terra”, in un nuovo “pianeta”: il pianeta della sofferenza.
Una chiamata nella chiamata. E tu l’hai accolta, dapprima con smarrimento (il prezzo era troppo alto) poi con un SÌ pieno, mettendo la tua povertà nelle Sue mani, nella consapevolezza che la tua missione sarebbe continuata, in un modo diverso, certamente, forse più sofferto, ma più profondo, più puro, trasformandoti in un pastore più vicino al cuore della gente, al nostro cuore.
Un pastore capace di condividere e di compatire il nostro dolore, la nostra fatica, portandoli nel cuore e trasformandoli in preghiera…
E un nuovo orizzonte di luce si è aperto, in un mondo malato di tristezza e di angoscia. Grazie, grazie, Padre Rino!
Un grazie gioioso e riconoscente che affidiamo a Maria, la vergine del Magnificat. I tuoi familiari, parenti e amici tutti, le parrocchie di Maser e di Riese Pio X.


martedì 28 agosto 2018

La nudità di Francesco e della Chiesa di oggi



Il vescovo di Assisi che avvolge con il proprio mantello san Francesco: icona dell’incontro tra dimensione gerarchica e carismatica della Chiesa.
Tanto nota la scena quando ignoto il luogo dell’evento, avvenuto nell’episcopio.
Nella sosta del pomeriggio il vescovo di Assisi ci ha accolto nella sua casa cosa il suo predecessore accolse san Francesco: lo stesso amore, la stessa premura.
Con la passione di un innamorato ci ha parlato di quell’evento di 800 anni fa come fosse accaduto ieri, come accadesse sotto i nostri occhi, facendoci rivivere. Mons. Domenico Sorrentino, professore di spiritualità, si è rivelato un autentico uomo spirituale; più che raccontare una storia, ha condiviso la sua esperienza a contatto con la storia.


Anche Papa Francesco è venuto pellegrino nella sala della Spogliazione. A Pasqua dello scorso anno, il 16 aprile 2017, ha scritto una lunga lettera al vescovo di Assisi con la sua esperienza. Tra l’altro vi si legge:

«Ricordo bene l’emozione della mia prima visita ad Assisi. Avendo scelto quale ispirazione ideale del mio pontificato, il nome di Francesco, la Sala della Spogliazione mi faceva rivivere con particolare intensità quel momento della vita del Santo… In un dipinto che decora la Sala della Spogliazione è ben visibile lo sguardo contrariato del genitore, che si allontana con il denaro e le vesti del figlio, mentre questi, nudo ma ormai libero, si getta tra le braccia del vescovo Guido. Lo stesso episodio, nella Basilica Superiore di San Francesco, è ricordato da un affresco di Giotto, che sottolinea lo slancio mistico del giovane ormai proiettato verso il Padre celeste, mentre il vescovo lo copre col suo mantello, ed esprimere l’abbraccio materno della Chiesa….
Ricorda alla Chiesa il suo dovere di vivere, sulle orme di Francesco, spogliandosi della mondanità e rivestendosi dei valori del Vangelo…».

Intanto la Scuola Abbà continua con gioia e impegno il suo lavoro. Oggi, in particolare, nell’elaborazione del programma per il convegno con gli esterni che si terrà alla fine di novembre.


lunedì 27 agosto 2018

In cammino verso l'unità... con san Francesco



Alla Scuola Abbà visita d’eccellenza (!), il vescovo di Assisi, Domenico Sorrentino. Ci ha invitato per domani a visitare il santuario della Spogliazione.
Intanto i lavori fervono. All’ordine del giorno di oggi il libro sull’unità, il sesto della collana “Studi della Scuola Abbà”, sul quale stiamo lavorando da mesi.
Un tema fascinoso, questo dell’unità. È la realtà più profonda di Dio – l’UniTrinità – e il sogno che egli coltiva da tutta l’eternità per l’umanità: renderla partecipe della sua stessa vita. Mi piace pensarla nel suo divenire. È in divenire in Dio stesso, nella sua costante dinamica di generazione, spirazione, reciprocità del donare e del ricevere. Lo è soprattutto per noi: tutta la storia è in cammino verso l’unità: ogni volta che si realizza è sempre provvisoria, quasi una tappa per un’ulteriore più profonda comunione, sempre in tensione perché l’unità non sia massificazione e uniformità che mortifica la libertà personale, la creatività, la ricchezza e la singolarità dell’individuo e dei diversi gruppi, e la libertà non rinchiuda persona e gruppi su se stessi, in affermazioni egoistiche incapaci del dono che arricchisce. Un cammino difficile e entusiasmante, che implica il dono e l’impegno.


Nel primo pomeriggio una pausa dai lavori per immergersi nella città. Oggi visita alla basilica di san Francesco, con una guida d’eccezione, p. Egidio Canil, che rende vivi e fa parlare sassi ed affreschi, che raccontano di Francesco e del suo carisma e lasciano trasparire la bellezza di Cristo e del suo Vangelo.
Vi ritroviamo quell’amore fraterno di cui meditiamo parlando del nostro libro sull’unità:

«In ossequio alla mia memoria – leggiamo nel Piccolo testamento di Francesco –, alla mia benedizione e al mio testamento, (i miei frati) sempre si amino tra loro come io li ho amati e li amo». Gli fa eco S. Chiara: «Amatevi a vicenda nell’amore di Cristo; e quell’amore che avete nel cuore, dimostratelo al di fuori con le opere, affinché le sorelle, provocate da questo esempio, crescano nell’amore di Dio e nella mutua carità».




domenica 26 agosto 2018

Ad Assisi un Concerto per la Pace



Era dagli anni Settanta che non andavo ad Assisi in treno. Allora si cambiava a Terontola.
Alla stazione scendo di corsa per andare a prendere il bus che sale in città, quando mi trovo davanti il comitato di onore venuto a ricevermi. Mi accompagnano in macchina percorrendo la strada che si spalanca su Assisi, distesa in tutta la sua lunghezza ai piedi del Subasio. Faccio arrestare un attimo la macchina per godere della visione.

Al convento dove sono ospite apro la finestra di camera e appare un altro panorama d’incanto: la piana d’Assisi con in mezzo santa Maria degli Angeli.
Due passi per prendere possesso della città. Entro in san Rufino. La messa domenicale sta serale. Uomini in costumi medievali posano gli stendardi ai piedi dell’altare e i balestrieri si schierano per la benedizione. Le madonne, con le tuniche dai colori vivi, ghirlande di fiori intrecciate tra i capelli, rimangono pudiche a un lato. Poi sfila per le strade il corteo con in testa sbandieratori e tamburini… Sono capitato nel mezzo del Palio di san Rufino, che sembra organizzato proprio per me.

Assisi accoglie così la Scuola Abbà, alla sua quarta sessione estiva.
Negli ultimi anni Novanta, Chiara invitava i membri della Scuola Abbà a raggiungerla in Svizzera durante l’estate, alcune volte anche nel periodo di Pasqua, per lavorare nella sua casa a Mollens in un clima di distensione, di riposo. Momenti indimenticabili. Era una festa. Ricordo la prima volta: ci fece visitare ogni angolo della casa, in modo che davvero ci sentissimo a casa. Volevamo costruire una autentica famiglia. Le ore di studio erano intense, piene di luce e si alternavano a passeggiate, momenti di distensioni, di dialogo, di fraternità.
Dopo tanti anni abbiamo ripreso la tradizione: 2015 Tonadico, 2016 Gerusalemme, 2017 Montet e quest’anno la città di san Francesco.


La prima giornata di lavoro  ci ha concesso una pausa per la visita a san Damiano, dove è iniziata l’avventura di san Francesco e culla delle Clarisse. Innegabile il fascino di quel luogo che, ancora dopo tanti secoli, invita al silenzio e alla preghiera.
Insieme recitiamo il cantico delle creature, lì dove è stato composto, almeno nelle ultime strofe:
Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so' le laude, la gloria e 'honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare…

Chiara Lubich diceva di santa Chiara d'Assisi e del suo convento: "San Damiano è la povertà cantata dalla natura". Quasi il carisma si esprimesse nella natura o la natura esprimesse il carisma.

Sora luna, piena, grande, bianchissima, illumina la notte.
La basilica di san Francesco splende e risuona delle note dell’Orchestra Giovanile “Falcone Borsellino”, i cui componenti provengono da situazioni di estremo disagio: povertà, degrado, genitori in cercare… Offrono, come si conviene ad Assisi, un “Concerto per la Pace”.


sabato 25 agosto 2018

Tu solo hai parole di vita



Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6, 60-69)

C’è un velo di tristezza in quella tua domanda: «Volete andarvene anche voi?». La tua missione è giunta a un momento critico. Inizia il rifiuto e l’abbandono da parte della folla e s’apre dritta la via per la condanna a morte. Che gli altri non ti capiscano e si ribellino contro il tuo insegnamento e contro di te è comprensibile. Ma se a voltarti le spalle fossero proprio quelli che sono con te, i tuoi amici, quel gruppo di intimi che, proprio a questo punto, per la prima volta, il Vangelo di Giovanni chiama i “Dodici”?
Le tue parole, ora come allora, possono sembrare troppo esigenti, addirittura offensive, “dure”. Avresti almeno potuto spiegarti, addolcire, usare un linguaggio “politicamente corretto”, per adeguarlo alle esigenze dell’uditorio. Invece rinunci ad annacquare il vino schietto e forte del tuo parlare, pur sapendo che può dare alla testa e stordire. Sei esigente, non ritratti, non cerchi compromessi e non oscilli tra i “sì, ma…”.

Fin quando sei tu che doni, le folle ti vengono dietro. Le hai appena sfamate e subito ti avrebbero voluto proclamare re. Ma quando parli di un altro pane e chiedi che siano loro a donare se stessi a te – perché questa è la fede che domandi – allora “tornano indietro”, non ti seguono più, “non credono”. Se ne vanno perché sanno che seguirti implica cambiare i comportamenti. Preferiscono il pane che si addenta al pane di vita, i beni della terra a quelli del cielo. Non comprendiamo che “la carne non giova a nulla”. Rimangono chiusi all’azione dello Spirito e del Padre che attira a te.

Tante volte anche noi siamo tentati di abbandonarti per andare dietro ai nostri desideri, facciamo tacere la voce dello Spirito che ci suggerisce di seguirti anche quando la tua proposta è difficile da accogliere. Per questo, nel tuo amore preventivo, ci rivolgi la domanda provocante: «Volete andarvene anche voi?». È un interrogativo salutare che ci obbliga a fermarci, a guardarti negli occhi, senza sfuggire il tuo sguardo, a dichiararci aper­tamente. Cosa voglio farne veramente di questa mia esistenza? Voglio seguire i richiami a una vita comoda ma vuota? Dare sfogo ai sentimenti di risentimento e di vendetta che lasciano l’amare dell’odio? Assecondare i sogni di grandezza e di prestigio che svaniscono presto? La risposta di Pietro è quella che avrebbe voluto darti ognuno dei Dodici e che vogliamo dare anche noi: «Da chi andremo se non da te?».

Non siamo migliori degli altri ma, grazie al Padre che ci attira a te, abbiamo avuto modo di ascoltarti, giorno dopo giorno, domenica dopo domenica. Ci hai mostrato in mille modi la tua vicinanza, ci hai nutrito del tuo pane, sei entrato in noi diventando carne della nostra carne, vita della nostra vita. Sappiamo chi sei, anche se a volte la nostra fede è confusa, offuscata dal peccato. Soltanto tu puoi dirci la verità, senza mai ingannarci, solo tu il sostegno, la luce, la forza, anche nei momenti più bui. Da chi altri potremmo andare?

La risposta di Pietro, che qui ha il suo inizio, trova la sua conclusione dopo la risurrezione, sempre in Galilea, sul bordo del lago: «Tu lo sai, tu sai tutto, tu lo sai che ti amo». Pietro ha sperimentato la bellezza e la vita racchiusa nelle tue parole, ha compreso che erano parole di cielo, che potevano essere pronunciate soltanto da colui che era disceso dal cielo. Aveva capito che, benché dure, erano l’espressione dell’amore del Santo di Dio per lui; l’hanno trasformato al punto da poter diventare lui stesso risposta d’amore.


venerdì 24 agosto 2018

Tempo di ferie: con la testa all’insù




Via del Gelsomino, stretta e breve, si percorre in macchina si senso unico.
In tempo di ferie la si può percorrere con calma, a piedi, anche in senso inverso.
Allora scopri che un occhio ti guarda dalla chiesa di san Domenico e una visione inedita della costruzione del 1200.








Se poi cammini con la testa in su, come si addice in tempo di ferie, ti si rivelano particolari ai quali non avevi mai prestato attenzione: un affresco, una icona nascosta…
Ma anche una comune sacrestia dischiude opere d’arte che se ne stanno lì nascoste: un Della Robbia, un angioletto che da secoli sostiene una cortina, una Maddalena accorata…



Ogni tanto vale la pena rallentare il passo, e stare un po’ con la testa in su.