martedì 31 maggio 2022

OMI in sinodalità


 

Il Congresso dei laici oblati (29-29 maggio) è terminato, ma gli echi continuano vivissimi.

Il primo congresso produsse documenti di valore. Questo non aveva di mira dei documenti. Si era proposto di suscitare un evento: conoscersi, riconoscersi, condividere le esperienze, le aspettative, i sogni… I diversi gruppi, nelle diverse parti del mondo, sono molto eterogenei, neppure le denominazioni sono comuni. Eppure, pur in tanta varietà di esperienze, di rapporti, di iniziative, si sente un forte sottofondo comune. La parola maggiormente ricorrente è stata indubbiamente sant’Eugenio, il Fondatore: tutti si ritrovano attorno a lui, al suo ideale di vita, alla sua proposta di santità e di missione. Sembra un miracolo!



Ora occorre continuare nella comunione e nel dialogo. Il sito raccoglie i video dei tre giorni ed è aperto ai nuovi apporti. 

https://omioikia.org/

La sinodalità in atto!







 

lunedì 30 maggio 2022

Qualcuno mi aspetta


Un Paese dell’Asia che non ricordo. Ricordo bene invece che, arrivato all’aeroporto, non c'è nessuno ad attendermi. Poco dopo mi ritrovo solo nella sala d’uscita, fattasi vuota per i pochi voli. I soliti tassisti si avvicinano, disponibili ad accompagnarmi a destinazione. Già, occorrerebbe un indirizzo! Apro il computer ma non posso collegarmi… Non mi resta che aspettare. Dopo un’ora finalmente arriva qualcuno, non lo conosco, ma sento pronunciare il mio nome. Che sollievo!

Una città dell’Africa dove giungo inatteso. Non c’è una stanza pronta per me. Vedranno come fare… Mi sento un po’ a disagio…

Ieri Gesù è salito al cielo. Ha detto che è andato a prepararci un posto. Sono tranquillo: quando arriverò c’è chi mi aspetta e il posto sarà già pronto…

Il mio babbo lo ha già raggiunto 17 anni fa:

http://fabiociardi.blogspot.com/2020/05/leonello-ciardi-un-mite.html?m=1


 

domenica 29 maggio 2022

Accompagnamento

Oggi si parla ovunque di “sinodalità” e ormai sappiamo che questa parola proviene dal greco, col significato di percorrere la strada insieme. Non ricordiamo invece che c’è anche una bella parola latina che parla del camminare insieme: “co-ire”, da cui viene “comes”, il nostro “compagno”, colui con il quale si compie un comune viaggio: il “compagno di viaggio”.

Un viaggio di lavoro si può intraprendere anche da soli, ma non il viaggio d’una vita! Che tristezza camminare da soli, si rischia di annoiarsi, di smarrire la strada, di scoraggiarsi... Spesso abbiamo bisogno di una guida, di chi ci offre delle indicazioni sicure, ci aiuta a capire a che punto siamo, a interpretare e superare situazioni critiche. Ben vanga la guida. Ma più spesso abbiamo bisogno di un semplice compagno, di un amico, di qualcuno con cui condividere gioie, prove, incertezze, scoperte, frustrazioni, debolezze. Che bello avere accanto un compagno di viaggio! Meglio ancora se siamo in tanti! Ci si può tenere per mano, si fa causa comune, si cerca di decifrare il percorso. Insieme si è più sicuri, ci si spalleggia, il viaggio si fa più spedito, la meta più vicina. Un compagno, non uno che sta davanti come battistrada, o dietro a spingere, ma accanto, un semplice amico, un fratello, di cui si diventa ora discepolo ora maestro, con il quale si impara insieme la strada, nella condivisione delle speranze e degli insuccessi del percorso, nell’accompagnamento reciproco, dove ognuno diventa protagonista perché si fa carico dell’altro. E chissà che non si affianchi un terzo, come accadde a due che se ne stavano andando verso Emmaus…

Anche quando ci sentissimo davvero soli, la Lettera agli Ebrei ci ricorda che siamo comunque «circondati da una moltitudine di testimoni» che dal cielo ci incoraggiano, fanno il tifo per noi, ci sostengono perché hanno già raggiunto la meta e conoscono le difficoltà del cammino (12, 1-2). Forse abbiamo più compagni di quanti immaginiamo, basta lasciare che si affianchino a noi e decidersi ad affiancarci a loro.

sabato 28 maggio 2022

Misteri gloriosi /2 - L’ascensione di Gesù al cielo

 

Vincitore del peccato e della morte, Gesù sale al cielo dove ha portato la nostra carne, che è la tua carne, ed è investito della Signoria divina: Signore del cielo e della terra. Siede alla destra del Padre presso il quale si fa nostro avvocato, per sostenere la nostra causa e così fare in modo che anche noi possiamo salire e sedere alla sua destra, nel posto che è andato a prepararci. Nella fede e nella speranza intravediamo l’esito del nostro viaggio terreno: dov’è il capo lì è il suo corpo, dov’è il pastore lì è il suo gregge. Mentre sale al cielo Gesù manda i suoi apostoli su tutta la terra per continuare la sua missione, per portare in terra il Cielo e in Cielo la terra. Egli è salito e insieme rimane: è salito per essere ancora più vicino: con noi, fino alla fine dei tempi.

Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno Gesù:

1. che è salito al cielo e siede alla destra del Padre (Mc 16, 19)
2. che è andato a prepararci un posto (Gv 14, 2)
3. che intercede per noi come nostro avvocato (1 Gv 2, 1)
4. che manda gli apostoli in tutto il mondo a proclamare il Vangelo a ogni creatura (Mc 16, 15)
5. che ha promesso di rimanere con noi fino alla fine del mondo (Mt 28, 20)
6. che trasformerà il nostro misero per conformarlo al suo corpo glorioso (Fil 3, 21)
7. in lui il Padre ci ha risuscitati e ci ha fatti sedere in cielo (Ef 2, 6)
8. che tornerà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni (Mt 16, 27)
9. che siederà sul trono della sua gloria per giudicare i vivi e i morti (Mt 25, 31; Credo)
10. dal quale speriamo di sentirci dire: “Venite benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo” (Mt 25, 34)

Padre santo, che nel cammino della Chiesa, pellegrina sulla terra, hai posto quale segno luminoso la beata Vergine Maria, per sua intercessione sostieni la nostra fede e ravviva la nostra speranza, perché nessun ostacolo ci faccia deviare dalla strada che porta al cielo.

venerdì 27 maggio 2022

Con semplicità

Primo giorno del Congresso dei Laici Oblati nel quale abbiamo cercato di conoscerci nella grande varietà delle esperienze.

Per tre ore abbiamo spaziato attraverso i cinque continenti per conoscere alcuni delle migliaia di laici oblati. Una passeggiata straordinariamente ricca, con i colori tipici delle diverse culture. In serata a Sassone a trovare un centinaio di laici italiani riuniti per vivere insieme il congresso. 

Su YouTube si possono rivedere i passaggi più belli… 

https://www.youtube.com/channel/UCSXnDqucwV12qNkEg44uTWg

Quello che più mi ha colpito è stato lo stile: persone semplici, presentazioni vere, non sofisticate, con mezzi tecnici amatoriali. Una famiglia ordinaria, senza niente di straordinario, eppure con sperienze profonde. Mi ha sorpreso, in Kenya, una piantagione di tè portata avanti dai nostri laici per sostenere la missione locale! Ma anche tante iniziative di aiuto ai profughi, ai poveri, di preghiera e di servizio nella pastorale e nella catechesi… Una vita cristiana bella, senza fronzoli, nella gioia. Col timbro oblato…



giovedì 26 maggio 2022

Convegno dei Laici Oblati



27-29 maggio: siamo finalmente al Secondo Convegno dei Laici Oblati, tanto atteso. La preparazione è risultata un autentico processo sinodale, che ha coinvolto centinaia di laici oblati in tutto il mondo: hanno partecipato a laboratori e sessioni di condivisione generando idee, progetti, sogni per vivere il carisma oblato. Il Congresso farà conoscere molte testimonianze dalle diverse parti del mondo.

Le persone si radunano nei diversi Paesi, in tutti i continenti – gli italiano a Sassone e una delegazione in Polonia – e tutti sono collegati via streaming. Ogni intervento è tradotto nelle tre lingue ufficiali: francese, inglese, francese.

A me il compito di tracciare in pochi minuti una lunga meravigliosa storia:


Laici Oblati: la nostra storia


Conoscete Adolphe Tavernier? Forse è il primo laico oblato. Apparteneva a quel gruppo di giovani che sant’Eugenio aveva riunito attorno a sé e che presero possesso della cappella della Missione ad Aix nel 1815. Prima ancora degli Oblati sono nati i giovani laici.

Adolphe aveva 15 anni quando, all’inizio del 1814, entrò a far parte dell’Associazione dei giovani di Aix. Divenuto avvocato, sant’Eugenio il 27 dicembre 1823, benedisse il suo matrimonio. Il Fondatore lo consultava spesso come avvocato su diverse questioni riguardanti la famiglia e la Congregazione. Conserviamo una bella corrispondenza tra i due, che 10 anni dopo la morte del Fondatore, Alphonse pubblicò nel libro Alcuni ricordi del vescovo Charles Eugène de Mazenod.


Conoscete Teresa Bonneau? È forse la prima laica oblata. È entrata nella prima comunità di Aix prima ancora degli Oblati. In quella casa c’era un pensionato di ragazze e Teresa era a servizio delle ragazze. Quando il pensionato lasciò il posto alla comunità oblata quella giovane donna passò a lavorare con i missionari. Per quasi 50 anni ha cucinato per gli Oblati, sistemato la casa, lavato…

In poche parole: Adolphe e Térèse potremmo nominarli patroni del laicato oblato.

Ma la storia è appena iniziata. L'anno seguente alla partenza dei primi missionari oblati per il Canada (1842), Mons. de Mazenod concede al signor Olivier Bertelet e alla moglie la partecipazione ai "meriti dei sacrifici, delle preghiere, dei digiuni e di tutte le buone opere in generale" della Congregazione, come segno di riconoscenza per l'aiuto che la coppia aveva prestato agli Oblati di Montreal.

Potremmo nominarli patroni degli Oblati onorari.

Sant’Eugenio ha gettato un seme che si è poi sviluppato in quell'albero magnifico che è l'Associazione Missionaria di Maria Immacolata e le numerose altre associazioni missionarie.



Le iniziative per far nascere un laicato oblato

Il Capitolo Generale del 1879 auspicava l’istituzione di una Associazione, una specie di Terz' Ordine con un legame spirituale con la Congregazione.

Il Provinciale della Provincia anglo‑irlandese fece presente che nel 1876 a Inchicore era già stata fondata una "Associazione dell'Immacolata Concezione", che contava 10.000 membri. 

In Germania nel 1894 nasce la "Associazione Missionaria di Maria".

In Francia nasceva l’Oeuvre des vocations.

Le associazioni di laici oblati sono quindi nate e si sono sviluppate a livello locale, con grande varietà e creatività.


Nel 1896 p. Louis Soullier, Superiore Generale, indirizza alla Santa Sede una richiesta di indulgenze per queste associazioni chiamandole con un unico nome: Association de Marie Immaculée. Indica tre finalità: favorire e sostenere le vocazioni, preghiera e offerta, pellegrinaggi a dei celebri santuari mariani.

Finalmente Mons. Dontenwill, il 7 giugno 1929, propone una federazione di associazioni che, pur avendo lo stesso scopo, impieghino i mezzi più adatti alle persone e alle situazioni locali.

Così scriveva: «L’Associazione di Maria Immacolata intende raggruppare attorno a noi gli amici delle nostre opere, soprattutto delle nostre missioni. Sotto la protezione di Maria Immacolata, Madre di misericordia, sono gli apostoli ausiliari dei Missionari Oblati; in qualche modo fanno parte della nostra famiglia religiosa; partecipano alle sue gioie e ai suoi dolori, alle sue battaglie e alle sue lotte; gioiscono dei suoi successi. (Circulaires administratives, 4, p. 151-152, 157)


L’Associazione Missionaria di Maria Immacolata

Il Capitolo del 1947 si pronuncia energicamente per l’unificazione di tutte le associazioni e viene approvato il nuovo nome: Associazione Missionaria di Maria Immacolata.



L’anno dopo Padre Léo Deschâtelets, il 25 gennaio 1948, pubblica una circolare sull’AMMI: «Uno degli scopi dell’Associazione, che noi consideriamo il primo e il più importante, è la formazione profondamente cristiana dei nostri Associati. […] Se pensiamo che i nostri Associati fanno parte, in qualche modo, della nostra famiglia religiosa, dobbiamo lavorare seriamente alla loro santificazione personale e a formare in loro un vero spirito missionario. [...] L’ideale dell’Oblato di Maria Immacolata è talmente bello che vale la pena trasfonderlo nel cuore dei fedeli. È un tesoro da condividere. (Circolare n. 182, 25 gennaio 1948, Circulaires administratives, 5, p. 208-218)

L’altra tappa fondamentale è quella del 1972, quando il Capitolo Generale inserisce nelle Costituzioni e Regole un articolo sulla Associazione Missionaria di Maria Immacolata

Infine nel 1982 le Regole offrono una nuova presentazione del laicato oblato aperto ad altre espressioni oltre all’AMMI.

Dal 18 al 21 maggio 1996 si celebra il primo congresso internazionale dei laici associati a Aix-en-Province.




Dal sistema tolemaico a quello copernicano


Spesso il rapporto religiosi-laici è stato pensato su un modello che richiama il sistema tolemaico: la terra al centro con il sole e altri pianeti che gli ruotano attorno. Al centro ci sono gli Oblati, detentori del carisma, attorno ad essi ruotano i laici.

Forse occorre pensare i rapporti secondo il sistema copernicano, con il sole al centro e i pianeti che gli ruotano attorno. Al centro c’è il carisma di sant’Eugenio e attorno ruotiamo tutti, a cerchi concentrici. L’“astro” più vicino al sole sono forse gli Oblati, che per primi hanno ricevuto il carisma e lo ha incarnato, poi altri gruppi e altre persone che partecipano in forma diversa alla stessa vita.

Nasce, come afferma Papa Francesco, «una “famiglia carismatica” – noi potremmo dire: la grande Famiglia Oblata – composta di religiosi, religiose, consacrati secolari e fedeli laici. Nessuna di queste realtà è da sola depositaria o detentrice unica del carisma, ma ognuna lo riceve in dono e lo interpreta e attualizza secondo la sua specifica vocazione, nei diversi contesti storici e geografici. Al centro rimane il carisma originario, come una fonte perenne di luce e di ispirazione, che viene compreso e incarnato in modo dinamico nelle diverse forme. Ognuna di esse viene offerta alle altre in uno scambio reciproco di doni che arricchisce tutti, per l’utilità comune e in vista dell’attuazione della medesima missione. [...] Siate sempre più consapevoli che “è nella comunione, anche se costa fatica, che un carisma si rivela autenticamente e misteriosamente fecondo” (Evangelii gaudium, 130)» (18 marzo 2019).

 

Pe informazioni:

“Living as Oblate People” | OMI World

C’è un canale per ogni lingua. 

English –

https://www.youtube.com/channel/UCSXnDqucwV12qNkEg44uTWg


French –

https://www.youtube.com/channel/UC98nhRXj-LCHwOeMWOj0ZVw


Spanish –

https://www.youtube.com/channel/UC15u2CWaMiIXwWaX38PENTw


mercoledì 25 maggio 2022

La casa di Maria all'annunciazione

Il prestigioso mensile di “Avvenire”, “luoghi dell’infinito”, nel mese di maggio mette a tema “Le case di Maria”, riprendendo il titolo di un fortunato libro di Ermes Ronchi. Viene per prima in evidenza la casa dell’Annunciazione. Subito appaiono alla mente le infinite interpretazioni dell’arte. Com’era la casa di Maria a Nazareth? Normale come quella che dipinge Lorenzo Lotto o signorile e raffinata come quella di Carlo Crivelli? Oppure l’annunciazione avvenne in un grande giardino prospicente la casa come per Leonardo da Vinci o sotto il portico come per il Beato Angelico? Mella tradizione ortodossa Maria non ricevette l’annuncio a casa, ma alla fontana del paese. È là che è sorta la prima chiesa a Nazareth, ancor oggi luogo di intensa devozione. L’angelo, dice il Vangelo, “entrò da lei”. Ma entrò in casa? Alla fine del racconto Luca non diche che l’angelo “uscì”, ma che “si allontanò da lei”. Le stava davanti, con il giglio che la divide da lei, come nelle annunciazioni di Andrea Della Robbia a La Verna o di Filippo Lippi?

Quell’entrare da lei, al di là delle raffigurazioni plastiche, dice un’esperienza di profonda interiorità. L’angelo le parla dentro, in quella stanza segreta che è il suo cuore immacolato, la sua vera casa. Una casa che Dio aveva preparato da tutta l’eternità per avere quell’incontro con lei. È lì che avviene il colloquio, talmente vivo e reale che Maria avverte così forte la presenza dell’angelo che lo vede con gli occhi dell’anima con l’immediatezza con cui lo vedrebbe con quelli del corpo e ascolta la sua voce con una nitidezza come lo sentisse con le orecchie del corpo. Ma non c’è bisogno di parole, di sguardi. È un dialogo silenzioso e insieme distinto, un a tu per tu intenso e serrato che sembra quasi una battaglia, come Giotto ha saputo drammatizzare nel polittico di Santa
Reparata a Firenze.

La casa di Maria. E la mia casa?

martedì 24 maggio 2022

Una vita di Gesù?


Luciano Cabbia, direttore dell’editrice Rogare, mentre mi consegnava le copie di Testamento di luce, il quarto libro che ho pubblicato nella sua “Collana pastorale”, mi ha detto: “Mi è piaciuto. Tra l’altro sono contento che è uscito proprio a Pasqua… Perché non ne scrivi uno anche sul Natale?”

E' riaffiorato il mio sogno di sempre: scrivere una vita di Gesù, come l’hanno scritta tutti i grandi. Lo so che la critica moderna ha mostrato l’impossibilità di scrivere una “vita” di Gesù. L’ultimo tentativo è quello di Ricciotti (1941).

Si erge poi il monito di san Paolo: “Se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così” (2 Cor 5, 16). È proprio questo che dovrebbe ispirarci: l’invito a rileggere la storia di Gesù con gli occhi della fede, a partire dalla sua resurrezione. È quanto hanno fatto gli stessi evangelisti! In questo senso si può dunque scrivere una “vita” di Cristo, se la pensiamo come una meditazione, una contemplazione dei suoi “misteri”. Cominciando proprio dell’incarnazione, il Natale. Non a caso due volte la settimana, recitando i “misteri gaudiosi”, rivisitiamo il Natale…

Chissà. Sarebbe bello dedicare gli ultimi anni della mia vita a fare della vita di Gesù “l’oggetto del nostro ricordo, del nostro pensiero e della nostra stessa immaginazione”, come scriveva Bernardo di Chiaravalle.


lunedì 23 maggio 2022

Misteri gloriosi / 1

 


Con i misteri gloriosi entriamo nei tempi ultimi della nostra storia, inaugurata dalla resurrezione di Gesù: iniziano sulla terra e trovano il loro compimento nel cielo, meta finale del nostro camino. Non dovremmo mai staccare gli occhi dal cielo, come invita san Paolo: “cerchiamo le cose di lassù” (Col 3, 2), perché ormai Gesù e Maria sono nel Paradiso, dove ci attendono. Questi misteri ci aiutano a ricordare costantemente la nostra meta e a dare la giusta direzione alla nostra vita.

Nel primo mistero glorioso si contempla la resurrezione di Gesù.

Il primo racconto della resurrezione ci è tramesso dall’apostolo Paolo in un’antica formula: «A voi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto, cioè “che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che appare a Cefa e quindi ai dodici”» (1 Cor 15, 3-5). Qui è racchiuso tutto il mistero della nostra fede. Gesù risorge perché anche noi possiamo risorgere con lui e avere la pienezza della vita.

Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetta fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno Gesù:

1. che il terzo giorno è risorto secondo le Scritture (1 Cor 15, 4)
2. che è costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della resurrezione dai morti (Rm 1, 4)
3. la Resurrezione e la Vita (Gv 11, 25)
4. risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti (1 Cor 15, 20)
5. che ha vinto la morte per dare a noi la vita
6. che dà la vita eterna a chi accoglie la sua parola e crede in lui (Gv 15, 24-26)
7. che è risorto per la nostra salvezza (Rm 4, 25)
8. senza la sua resurrezione è vana la nostra fede (1 Cor 15, 14.17)
9. se moriamo con lui, con lui anche risorgeremo (2 Tm 2, 11)
10. con lui risorti, cerchiamo le cose di lassù (Col 3, 2)

O Dio, che nella gloriosa risurrezione del tuo Figlio hai ridato la gioia al mondo intero, per intercessione di Maria Vergine concedi a noi di godere la gioia della vita senza fine.

domenica 22 maggio 2022

Davanti al Crocifisso di san Filippo Neri

 

La mia passeggiata romana mi ha portato nell’inesauribile Piazza Navona e nella sua chiesa, sant’Agnese, ricca di santi, fino al fonte battesimale di santa Francesca Romana. Ho poi continuato fino a sant’Agostino dove, nel mezzo della navata, mi aspettava la statua di santa Rita attorniata da nuvole di rose in occasione della sua festa. Abitualmente percorro la navata sinistra, cominciando dalla Madonna dei pellegrini del Caravaggio, fino alla tomba di santa Monica, passando per la statua di sant’Anna del Sansovino e l’affresco di Elia di Raffaello. Oggi invece me la sono presa con calma e ho indugiato sulla navata di sinistra. 

Per la prima volta ho visto la cappella del Crocifisso di san Filippo Neri. Giovane studente presso lo studium dei padri Agostiniani, Filippo sostava a lungo in preghiera davanti a quale Crocifisso, fino a quando decise di vendere i suoi libri e di percorrere la sua strada, dietro al Crocifisso. Nell’inginocchiatoio davanti alla cappella vi è una preghiera che mi ha particolarmente colpito. Ho chiesto a uno dei Padri chi ne fosse l’autore ed egli deciso: “San Filippo Neri!”. Ho i miei dubbi, ma è comunque molto bella:

Amabilissimo Gesù mio Signore crocifisso,
unito a Maria santissima addolorata,
adoro le tue sante piaghe:
le piaghe delle tue mani divine,
sempre pronte a guarire e consolare;
le piaghe dei tuoi piedi che passarono
facendo del bene a tutti;
la piaga del tuo costato, da cui
sgorgarono sangue e acqua
per la nostra salvezza;
la piaga della tua spalla che
sopportò il peso della croce che
portasti per i miei peccati.
Ti ringrazio dell’amore infinito
con il quale hai accettato
tanti e così atroci dolori
per espiare i miei peccati,
che detesto con tutto il cuore.
Ti prego mio Signore Crocifisso:
concedi alla tua Chiesa
di essere nel mondo
testimone fedele del tuo Vangelo
e a tutti i tuoi figli
di camminare sulla via
del comandamento nuovo
dell’amore. Amen.

sabato 21 maggio 2022

Se uno mi ama


L’amore non è soltanto belle parole, non è sentimento soltanto. L’amore è accondiscendenza verso l’altro, lasciarsi compenetrare dal suo mondo interiore, mettersi a suo completo servizio: vivere l’altro, vivere per l’altro. Anche se questo richiede di mettere da parte i propri sentimenti, i desideri, le preferenze. L’innamorato per la persona amata fa questo e altro e spesso non ne avverte neppure il peso: l’altro vale più di me stesso.

Anche Gesù vuoi essere amato così. Non basta dirgli: «Signore, Signore». Amarlo significa vivere le sue parole, fare come egli dice, come egli vuoi. A volte sono davvero esigenti le sue parole, domandano di lasciare il nostro mondo, i nostri sentimenti, per entrare nel tuo mondo, nei suoi sentimenti e volere ciò che egli vuole. È questione di amore: «Se uno mi ama». È tutto qui.

Se uno ti ama non sente neppure il peso delle tue richieste e il tuo giogo diventa «soave e leggero».

Avremo quest’amore grande che ci fa accogliere d’impeto la tua parola, comprenderla, viverla? L’iniziale fiamma d’amore, sincera e ardente, col tempo non rischia di affievolirsi? Allora il tuo linguaggio ci risulta duro, perché duro si è fatto il nostro cuore.

«Se uno mi ama». E se mancasse l’amore? Se non sapessimo amare? Se venisse meno l’amore? Ci conosci, ci conosci bene. Per questo hai promesso lo Spirito dell’amore. È lui che accende e tiene viva la fiamma dell’amore. Una fiamma, la sua, che illumina e fa capire dal di dentro ogni tua parola, la rende viva e palpitante, la suggerisce al momento opportuno in modo che sia guida costante ai nostri passi, giorno dopo giorno. Una fiamma, la sua, che riscalda il cuore e lo fortifica, infondendo ardore; dà volontà ferma per seguire quella voce e far vivere la parola. Allora non sarò più io a vivere, ma vive in me la tua parola; non vivo ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu: vivo te, che sei la Parola, il Verbo del Padre.

Ed ecco scattare il miracolo. Se vivo la Parola tu vieni a vivere in me. Se sei la Parola del Padre anche lui è lì dov’è la sua Parola e anche lui vive in me. Anche lo Spirito è lì, in me, perché è lui che rende vive le parole ed è in lui che il Padre dice te, Parola. Non soltanto venite, ma prendete dimora: intimità celeste, presenza

stabile, duratura, come è quella dell’amore vero. Amore chiama amore.

venerdì 20 maggio 2022

Sant'Eugenio de Mazenod: una nuvola di parole ispiratrici

 

Agosto 1818. Faceva caldo, come fa caldo nel mezzo dell’estate nel sud della Francia. Ma in quelle aperte campagne sulle colline dell’Alta Provenza, in mezzo a un mare di girasoli, quando la sera si leva leggera la brezza, pare d’essere nel posto più bello del mondo. 

La prima volta che era stato a Saint-Laurent-du-Verdon, nell’antico castello di famiglia, Eugenio si era annoiato da morire. Che ci faceva da solo, con i suoi vent’anni, confinato in mezzo ai campi, tra pochi contadini. Sognava le sale dei palazzi di Aix, con le musiche, i balli, le belle ragazze, le conversazioni brillanti… I mesi non gli passavano mai.

Questa volta era diverso. Aveva con sé la mamma, la sorella, due giovani amici fidati. Era lì per riposare, ma soprattutto per mettere a punto le Regole della società di missionari a cui da poco aveva dato vita, i Missionari di Provenza. Nella quiete della grande e fresca stanza nella quale si rifugiava, scriveva, scriveva… Articolo 1, articolo 2, articolo 3, articolo 4... Gliele bastano quattro per sentirsi già stretto. Apre allora una parantesi e si inventa un “nota bene”, così può finalmente scrivere quello che vuole, senza preoccuparsi del taglio giuridico. Otto anni più tardi, quando andrà a Roma per fare approvare dal papa la nuova regola, ha preso quel “nota bene” e ne ha fatto l’introduzione, intitolandola “Prefazione”. Da allora – attraverso i molteplici cambiamenti avvenuti nella regola in questi 200 anni – la “Prefazione” è rimasta lì, intatta, a custodire il cuore della sua ispirazione.


21 maggio: festa di sant’Eugenio de Mazenod. Vale la pena rileggere quel testo fondativo. Lo metto nello strumento online per creare la “nuvola di parole”, indicizzazione del testo che mostra una grandezza diversa delle parole a secondo della loro frequenza. Balza in primo piano Gesù Cristo! Poteva essere diversamente? È lui che lo ha ispirato, è lui che l’ha chiamato, è lui che vuole seguire, lui che vuole annunciare, lui che vuole far conoscere. La seconda è “santità”. Anche qui nessuna meraviglia: da subito aveva capito che è la condizione essenziale per compiere l’opera di evangelizzazione che è chiamato a svolgere insieme con i suoi compagni. Vengono poi i destinatari: la gente, i cristiani, le anime… non si vive per se stessi, ma per gli altri. E poi, e poi… quante parole belle, che è bene avere sempre sott’occhio e che continuano ad ispirare la Famiglia oblata. Auguri a tutti!

giovedì 19 maggio 2022

Parlare di mistica senza competenza

 

Non mi piace entrare nei dibattiti e che siano altri a dettare la mia agenda. Comunque vedo che continua a rimbalzare il libro di Pinotti sulla Setta divina. L’ho letto appena uscito, fermandomi alla prima parte (163 pagine), riguardante la dottrina, perché quella che maggiormente mi interessa e perché mi sembra di conoscere abbastanza il campo per esprimere un giudizio.

Si riportano come frutto di uno scoop giornalistico testi che si afferma essere “esoterici”, quando invece sono stati pubblicati e ripubblicati e noti da tempo al grande pubblico. Lo si fa senza distinguere gli scritti del 1949 dai commenti di Chiara Lubich e di altri, generando confusione. Addirittura fra Chiara e Igino Giordani sarebbe stato stretto “un misterioso patto”! Niente di più noto del “patto” tra i due, palese, pubblicato, ripubblicato, commentato. È stato addirittura scritto un libro intero su questo patto, che però Pinotti mostra di ignorare, così come non conosce l’abbondante letteratura sulla dottrina di Chiara Lubich.

Si chiamano a commentare quegli scritti autori di scarso livello – come teologi, non come persone! – che mostrano di non avere dimestichezza con i testi mistici. Si cita Gordon Urquhart (roba vecchia), Vignon (sarà un grande giurista, ma dimostra incompetenza nel campo della teologia spirituale, fino a dichiarare “testi deliranti” gli scritti della Lubich). Si dà il titolo di “teologa” a Silvia Martinez: se qualcuno sa indicarmi un suo scritto gliene sono grato. Si esibisce un pool di dottori davvero povero, che non mi sembra particolarmente accreditato a giudicare di teologia e di mistica. L’autore si affida dunque a cinque sedicenti teologi mettendo a tacere tutte le altre voci, le decine e decine di teologi veri che per anni hanno lavorato sul testo, guidato dibattiti pubblici, convegni, seminari, tavole rotonde in università, luoghi prestigiosi di cultura, con personalità di spicco al di fuori dell’ambito del Movimento dei Focolari, sempre alla luce del sole, producendo centinaia di articoli, decine e decine di libri. Di tutti questi non una parola. Se ne ignora persino l’esistenza. Come si può scrivere un libro su un tema ignorando del tutto la letteratura che lo riguarda?

Rimane padre Hennaux, indubbiamente il più serio. Quando, alcuni anni fa, egli scrisse in merito su un libro in collaborazione – ripreso adesso da Pinotti –, gli risposi nel modo che si usa tra accademici, con un articolo sulla rivista “Nouvelle Revue Théologique”. Lo scrissi, mi sembra, in maniera garbata, non polemica, argomentata. Mi fu risposto che l’articolo non poteva essere pubblicato perché il mio francese non era buono. Sono direttore di una rivista che pubblica articoli in inglese, francese, spagnolo. Quando mi accorgo che un articolo non è scritto in buona lingua lo affido a una persona di madre lingua che lo lavori. Suppongo che NRT abbia nella sua redazione persone capaci di rivedere un articolo nella forma linguistica. La vera ragione è che, comprensibilmente, non si voleva mettere in cattiva luce un emerito di valore come p. Hennaux così importante per la storia dell’Università Cattolica di Lovanio. Il mio breve saggio, Unità nel Paradiso ’49: alcune osservazioni metodologiche, è comunque apparso – in italiano – sulla rivista “Nuova Umanità”, XLI (2019), n. 233, p. 113-133.

Non credo che p. Hennaux abbia avuto l’opportunità di studiare gli scritti di Chiara Lubich. Molto più probabilmente gli sono stati forniti alcuni testi, avulsi dal contesto, come è stato fatto, ad esempio, con il card. Martini, invitandolo a difendere la dottrina della Chiesa. Così c’è il rischio di fare come un tempo, quando si condannavano le “sentenze” che venivano estrapolate da testo e contesto.

Vi sono poi, nel libro in questione, passaggi del tutto arbitrari: che senso ha mettere in rapporto Chiara Lubich con Medjugorje per il fatto che i suoi nonni venivano dal mondo slavo, oppure con Bitterlich perché mons. Hnilica conosceva entrambe? L’autore del libro si scandalizza perché Chiara Lubich afferma che Gesù si è ridotto a “verme della terra” e si domanda come mai la Chiesa non condanna una simile bestemmia! L’autore mostra non soltanto di non conoscere la mistica, ma neppure la Sacra Scrittura.

Un libro così mi sembra non meriti una recensione. Se ne parlo è perché è stato ripreso da una rivista seria, “SettimanaNews” e qualcuno mi ha chiesto un parere: sui contenuti, ripeto, non sulle persone, che non conosco.

mercoledì 18 maggio 2022

Suggestioni di un viaggio tra scritti scelti di Chiara Lubich

Nell'Aula Magna ex Istituto di Scienze Religiose di Oristano, ed in collegamento streaming, è stata presentata l’edizione critica del libro “Meditazioni”.

La parte più consistente dello studio riguarda l’apparato critico, che annota le varianti che si susseguono attraverso le 29 edizioni: vengono proposte in maniera dettagliata e accurata, testo per testo, per ognuna delle 58 “meditazioni” che compongono l’opera.

A prima vita potrà sembrare arido. Interessa soltanto qualche erudito? Niente affatto. Si possono scoprire con sorpresa universi impensati. È come leggere un thriller. Le varianti, specialmente per i testi più antichi, del 1949-1951, lasciano intuire storie personali sofferte, confronti problematici con l’ambiente ecclesiale del tempo, richieste di adattamenti per una scrittura che oggi diremmo politically correct, adattamento a un diverso pubblico…

Possiamo rilevare innanzitutto un processo di spersonalizzazione nell’intento di universalizzare un’esperienza vissuta in prima persona dall’autrice. Appare evidente, ad esempio nelle forme verbali, che passano dal singolare al plurale. La cosa è comprensibile, come rileva la stessa Maria Caterina Atzori, la curatrice: considerando «la novità del Carisma – ancora tutta la studiare –, con la sua specificità, la figura di una giovane donna laica che osa scrivere su argomenti teologici per un vasto pubblico, un ruolo attivo non ancora riconosciuto ai laici in fase preconciliare, ecc.,» non fa meraviglia i testi dovevano essere “addolciti” e universalizzati.

Conoscendo il percorso delle varie edizioni, così come nel confronto con i testi nella forma antecedente la prima edizione, si può ora maggiormente apprezzare il recupero degli scritti nella loro versione originale. Alcuni esempi sono lampanti. Nella famosa meditazione “Ho un solo sposo sulla terra” (n. 14) oggi possiamo leggere, di Gesù Abbandonato, che «Lui è il Peccato, l’Inferno», come nell’originale del 20 settembre 1949, e non più come in precedenti edizioni, quando era diventato semplicemente «il Dolore» o «il Peccato». Non meno interessanti varianti di dettaglio che, ad una lettura attenta, fanno la differenza e si rivelano autentiche perle.

Nella presentazione di oggi mi sono soffermato soprattutto a illustrare il ripristino del testo originale dello scritto “Passeranno i cieli e la terra”:

Si può notare ad esempio una variante di valore letterario, là dove al prosaico «rivedersi sempre» dell’edizione stampata si preferisce il più poetico «sempre rivederci» del manoscritto.

Ma vi sono varianti di ben altro spesso, teologico. Così, al posto di «Dio ab aeterno ci ha pensati» delle edizioni a stampa, viene recuperato l’autografo originale che recita: «Dio ab aeterno ci ha sognati». Sapersi oggetto del “sogno” di Dio suona diverso dal sapersi “pensato” da lui, come ho avuto modo di scrivere un anno fa: https://fabiociardi.blogspot.com/2021/08/sono-in-sogno-di-dio.html

Maria Caterina fa ancora notare che questo testo, apparentemente disincarnato, quasi una meditazione fuori del tempo e dello spazio, è  un biglietto scritto a Igino Giordani, che nell’originale, viene chiamato familiarmente “Focherello”: «Ed io, Focherello, m’accorgo sempre più che “passeranno i Cieli e la terra…” ma il disegno di Dio non passa». Che rapporto amichevole e dolce traspare da questo vezzeggiativo! D’altra parte Chiara Lubich era solita chiamare diverse persone con questi nomi affettuosi. Sto leggendo le sue lettere appena pubblicate e trovo, ad esempio, che anche Aldo Stedile lo chiama “Alderello”, per non parlare delle infinite varianti del nome della sorella Liliana. Eppure, nonostante o proprio grazia a questa intimità, Chiara guarda a Igino Giordani nella sua realtà più vera, in quel disegno che Dio ha su di lui e che non passerà mai, perché lo costituisce in tutta la sua dignità e, se egli è fedele nell’attualo, lo soddisferà, lo appagherà pienamente; ed è la “sola cosa” che può appagarlo, mentre tutto il resto lascia dei vuoti, non porta alla pienezza.

“Per contestualizzare” è la preziosa parte che accompagna ogni testo dell’edizione critica, collocandoli nell’ambito storico. Si può così ricostruire quando, come, perché sono nati certi scritti e la loro comprensione è aiutata di molto.

Maria Caterina Atzori con Chiara Lubich
Tornando al nostro testo - “Passeranno i cieli e la terra” - l’edizione critica ci restituisce anche luogo e tempo: Trappa di Grottaferrata, 1952Cosa ci facevano Chiara Lubich e Igino Giordano in quell’anno dalle Trappiste di Grottaferrata? Adesso quella trappa non c’è più e le monache si sono trasferite a Vitorchiano, sempre nel Lazio. Giordani aveva un rapporto profondo con la badessa, Maria Pia Gullini, una delle pioniere del movimento ecumenico. Nel 1940 egli aveva già scritto la presentazione della prima biografia di sr. Gabriella Sagheddu, che in quella Trappa era morta appena un anno prima, consacrando la sua vita per l’unità della Chiesa. E Chiara Lubich non perseguiva lo stesso ideale?

Per lei è da poco iniziato un momento particolarmente difficile, perché in quello stesso periodo il Sant’Offizio sta conducendo un processo nei suoi confronti. Cosa le dava il coraggio e la forza per essere fedele al suo Ideale? Forse proprio quell’ultima frase che, depennata dalle edizioni del libro Meditazioni, viene recuperata nell’edizione critica: “E lì [dove ab aeterno Dio ci ha sognati] rimaniamo per tutta l’Eternità».

Il libro Meditazioni proporre un cristianesimo che esce dalle chiese e si riversa sulle strade, per incendiare la città (n. 33), fino a che essa diventi «una città d’oro dove il divino è in rilievo» (n. 34).

Colpisce l’enumerazione dei luoghi e degli ambiti: parrocchie, associazioni, società umane, scuole, uffici (n. 33), il chiasso della «radio aperta a tutto spiano dell’inquilino accanto, o lo strepito delle macchine, o l’urlo degli strilloni» (n. 44); la tipologia delle persone: babbo e mamma, figlio e padre, madre e suocera (n. 33), nobile o cencioso (n. 44), «il lattaio, il contadino, il portiere, il pescatore, l’operaio, lo strillone… (…) delusi idealisti, mamme cariche di pesi, innamorati in prossimità delle nozze, vecchiette spente in attesa della morte, ragazzi frementi, tutti» (n. 35); la tipologia delle situazioni più varie: «gioia e dolori, nascite e morti, angosce ed esultazioni, fallimenti e vittorie, incontri, conoscenze, lavoro, malattie e disoccupazione, guerre e flagelli, sorrisi di bambini, affetto di madri» (n. 38). Sono queste le persone chiamate alla santità, questi i luoghi della santità di oggi, queste le situazioni nelle quali si è chiamati alla santità: tutto «è materia prima della nostra santità» (n. 38). Fino a giungere al testo del 12 novembre 1958 che può essere considerato come la cifra del cristianesimo di Chiara Lubich, “L’attrattiva del tempo moderno”, che consiste nel calarsi fino in fondo nel mondo, «mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo», per condividere con tutti «l’onta, la fame, le percosse, le brevi gioie», e nello stesso tempo «penetrare nella più alta contemplazione» e «disegnare ricami di luce» sull’umanità (n. 41). Conferma la centralità di questo testo la sua collocazione all’inizio del libro, a cominciare dall’edizione del 1984.

Lavoro ottimo, che mette in luce i testi di Chiara Lubich nelle diverse sfaccettature. A mano a mano che si scorre il libro, questi testi emergono in tutta la loro bellezza. Sono cinquant’anni che li leggo e sempre mi dicono cose nuove. In essi si celano dimensioni ancora segrete, segno che davvero Meditazioni è un “classico” e, come ogni classico, continua a parlare al lettore e a instaurare con lui un colloquio sempre nuovo.