La santità: il Santo in mezzo a noi
Una volta entrato tra gli Oblati la visione della santità di Giovanni Santolini comincia lentamente a cambiare.
Scopre una realtà nuova, una autentica vita di famiglia: la
realtà della comunità religiosa e con essa la realtà di una santità vissuta
insieme.
Dopo un anno tra gli Oblati scrisse al superiore
provinciale per chiedere di essere ammesso al noviziato. Innanzitutto gli dà
subito del tu, cosa che non avrebbe mai fatto con i superiori del seminario. È
già un primo segno del cambiamento avvenuto e del tipo di rapporti instaurati
con la nuova famiglia oblata. Nella lettera rievoca la storia della propria
vocazione, soprattutto la forte chiamata alla santità e i molteplici
rocamboleschi tentativi per raggiungerla, che già conosciamo. Ma ecco qualcosa
di nuovo che Giovanni afferma di avere appreso nel cammino percorso nell’anno
di Centro giovanile. Riguarda proprio la santità, molla interiore della sua
vocazione: «Dopo varie peripezie giunsi a Marino e durante tutto quest’anno
feci molte scoperte. Fondamentale è quella che non si può essere santi se non
abbiamo il Santo in noi e in mezzo a noi, con tutte le conseguenze che questo
comporta: prima di tutto l’Unità». In un anno appena ne ha fatto di cammino!
Nonostante i rigurgiti di folle ascesi che torneranno anche durante il tempo
del noviziato, l’idea della santità si è purificata e approfondita, percepita
adesso come vita di Cristo sperimentato nella comunità, secondo la sua
promessa: «Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono lì in mezzo a loro»
(Mt 18, 20).
Non è da pensare che sia un cammino più facile di quello individuale. Anzi.
Il 14 settembre, festa dell’esaltazione della Croce,
scrisse nuovamente al Provinciale, per chiedere di essere ammesso alla
professione religiosa. In questa lettera, aperta e sincera, Giovanni non
nasconde le difficoltà vissute durante il noviziato: «Ho passato momenti in cui
avrei mandato tutto a quel paese, momenti in cui ho pianto perché non riuscivo
a vedere niente, momenti in cui ho sentito dilaniarmi le carni per dover
sostenere determinate situazioni, momenti in cui ho provato l’esser solo,
estremamente solo, perché alcuni passi si fanno da soli, momenti in cui mi sono
sentito defraudato, rapinato di quello a cui più tenevo: la mia santità…».
L’idea della santità è ancora al centro del suo itinerario
spirituale e siamo giunti a un tornante. L’intuizione avuta all’inizio del
noviziato, che la santità è essenzialmente comunione con il Santo, doveva
essere interiorizzata. Contrastava con la sua idea originaria, tutta legata
all’ascesi.
«L’unica cosa che mi ha sostenuto e mi ha fatto andare
avanti – continua la lettera – è: “Signore da chi andremo, tu solo hai parole
di vita eterna”. Ed ora sono felice, non entusiasta, ma estremamente felice, di
tutto quello che il Signore mi ha dato e continua a darmi».
“Felice, estremamente felice, non entusiasta”. Parole
sincere che mostrano un Giovanni bel più profondo del giullare che appare: la
gioia vera dentro, l’entusiasmo fuori. Una gioia, sembra dire, frutto di un
cammino faticoso ed esigente. È la via della croce, come accenna
esplicitamente: «Posso dire che durante quest’anno Gesù mi si è presentato con
il suo vero volto, crocifisso e abbandonato, ed è lui che scelgo e nient’altro.
Tutto il resto c’è perché c’è lui».
Alla
vigilia dei voti perpetui – sono ormai passati cinque anni da quando è entrato
in comunità, Giovanni racconta: quest’ultimo anno è
stato «un anno duro duro e difficile sotto diversi punti di vista, un anno di
purificazione, di prove e anche di fallimenti, ma proprio per questo ho sentito
crescere in me il sentimento, la passione per la vita di comunità, per la
nostra vita. Reso partecipe delle ansie e dei dolori della comunità, mi sono
sentito nel cuore della famiglia, e così, coinvolto veramente in prima persona
nell’azione formativa. Mi sono come sentito chiamato a costruire la comunità;
ho cercato di farlo come responsabile dell’oggi del piano di Dio. È stato un cammino
faticoso, con alti e bassi, ma posso dire che come frutto dell’anno sia emersa
questa dimensione d’animo e di comportamento: non più io ‘perfetto’, ‘santo’,
ma noi, “Santi Insieme”. Noi come comunità, padri fratelli e scolastici
insieme».
Questa realtà del Santo in mezzo a noi tornerà fortissima al termine della vita, soprattutto a contatto stretto con il Focolare. Ne troviamo molte testimonianze del diario:
7 febbraio 1996: «Questo pomeriggio sono stato al Focolare
per vedere il programma di quello che dobbiamo fare ma soprattutto per mettere
Gesù in mezzo ed è stata una bellissima esperienza di unità per quello che ci
siamo detti ma soprattutto per quello che abbiamo vissuto come amore reciproco.
Ho sentito come il mio animo è fatto per l’unità e che si tratta di una
dimensione che mi è talmente entrata dentro che era come se ricominciassi a
respirare. Si tratta di una esperienza che non si può spiegare a parole, ma
senti che sei fatto per quello».
3 marzo «Ho una bella unità con il focolare e sono stato
diverse volte assieme a loro per la programmazione dell’anno e per l’incontro
con gli interni. Gesù in mezzo cresce e prende forma».
2 aprile: «Oggi… ho telefonato a Monika per dichiarare Gesù
in mezzo e sento che sia il modo migliore per crescere e andare avanti».
7 aprile: «Oggi ho telefonato in Focolare per fare gli
auguri e per ridirci che stiamo nel Risorto. Si tratta veramente del Centuplo
perché, rileggendo il diario, vedo che la mia più grande paura dell’anno scorso
era quella di non avere nessuno per tenere Gesù in Mezzo e adesso invece…».
29 aprile: «Sono stato in Focolare per decidere diverse
cose per la Mariapoli e per le giornate. Come sempre è stato un momento di Gesù
in mezzo e si sente che l’unità cresce e che bisogna andare avanti assieme».
È quanto cerca di vivere anche con i membri della sua comunità oblata, quelli vicini e quelli lontani. È la vita concreta con gli altri membri della comunità oblata, che garantisce il cammino quotidiano di santità: «Posso dire, senza presunzione – afferma –, che constato in me una maggiore maturità umana e spirituale dovuta al costante sforzo della comunità di crescere insieme nella via della santità». L’ideale di santità, sognato e perseguito fin dagli inizi della sua vocazione, continua a crescere, ad affinarsi, ad essenzializzarsi, nella ricerca del Santo in mezzo a quanti il Signore ha chiamato alla sua sequela.
Il frutto maturo di questa nuova comprensione della santità
lo troviamo espresso in una conferenza tenuta nel 1989 a Ottawa, in Canada, in
occasione di un convegno dedicato a “La missione oblata attraverso la comunità
apostolica”. Alla conclusione della sua presentazione scrive: «Siamo uniti nel
nome di Gesù Cristo; quindi uniti nella carità, nel Vangelo, nell’amore
reciproco. Di conseguenza, uniti per nessun altro motivo, per nessun’altra
ragione che Lui. È Lui la sola ragione della nostra unità, Lui, Gesù, il solo
motivo del nostro essere comunitario, e non l’apostolato, il ministero, la
missione stessa, o non importa quale altre azioni possiamo fare, tutte
conseguenze… La comunità è dunque missionaria perché è il segno della presenza
di Gesù: “Voi ne sarete testimoni” (Lc 24, 38). Essere testimoni della presenza
di Cristo è continuare la sua missione. È tutto qui… Bisogna supporre lo sforzo
personale di una conversione continua che conduce alla perfezione: una
perfezione acquisita non in senso individualista, ma dell’amore reciproco, che
ci consente di giungere fino in fondo, grazie alla presenza di Gesù che
dobbiamo alimentare. È Lui il perfetto ed è in Lui che dobbiamo trovare la
perfezione e dunque l’unità della nostra vita e delle nostre vite».
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