L’ho
ascoltato a lungo, con attenzione. Da tempo chiuso in stanza, allettato, aveva
bisogno di raccontare. Non terminava mai. Alla fine ha esclamato: “Mi hai
ridato la vita!”. Aveva bisogno di condividere con qualcuno ricordi e
sentimenti.
Quando dentro rimugini cose brutte o
angosciose se non le condividi incancreniscono. Quando hai cose belle che ti
riempiono il cuore se non le condividi ti muoiono in mano, non ti danno gioia. Quando
una notizia ti colpisce improvvisa non è più notizia se non la condividi subito
con qualcuno sul cellulare. Il pane è più buono quando lo si mangia insieme
(meglio il genato, come dice una mia amica: “Per tanti anni non ho mai mangiato
un gelato da sola, mi sembrava che perdesse il sapore!”). La condivisione affratella,
arricchisce, appaga, crea una complicità che non ti fa sentire solo.
La
sapeva Gesù, che aprì l’ultima cena dicendo: “Ho desiderato ardentemente
mangiare questa cena con voi” (Lc 22, 14) e spezzò lo stesso pane e fece
passare tra i commensali lo stesso calice. Anche lui aveva bisogno di
condividere con i suoi discepoli, e in quell’atto di condivisione per la prima
volta li chiamò “amici” e disse parole che aveva serbato in cuore fino a quel
momento e che finalmente poteva scambiare con loro: “Vi ho
chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto
conoscere a voi” (Gv 15, 15).
La sofferenza più grande è
essere soli, senza nessuno con cui comunicare, scambiare un’idea, un
sentimento, un’opinione, un ricordo, un desiderio. È la tristezza di tanti
anziani isolati, chiusi nella stanza di un hospice. Non soltanto di loro: si
può essere tristi anche nel vortice della vita perché non si ha nessuno con cui
condividere davvero ciò che si ha dentro o senza accogliere quello che l’altro
accanto ha dentro perché anche lui non sa o non vuol comunicare. Di solitudine
si può morire, o almeno illanguidire. Non voglio che l’altro muoia per colpa
mia: lo incontro, lo ascolto e condivido un progetto, un libro, un sentimento,
una scatola di biscotti e forse lo sentirò dire (e anch’io posso dire): “Mi hai ridato la vita!”.
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