“Dalla
ricerca di sé alla ricerca dell’altro: il cammino di santità di p. Giovanni
Santolini missionario OMI”. È il titolo della conferenza che ho dato a Genova il
30 aprile
L’idea
della santità gli brilla quando Giovanni ha 18 anni. Lo racconta in una lettera
alla sorella Maria, il 3 agosto 1978: «Ritengo che 18
anni siano l’età più bella per una persona. Tutto è bello, tutto ti appare
possibile. Mi ricordo che quando ho compiuto i miei 18 anni avevo da poco
iniziato la III liceo e sentivo come se tutto il mondo fosse a mia
disposizione. Fu in quell’anno che presi la decisione più importante della mia
vita (…). Non ho deciso allora di farmi missionario, no, quello è venuto dopo,
ho deciso di farmi Santo! Sì, è vero, mi ricordo come se fosse adesso, erano
gli esercizi prima dell’Avvento, verso la fine di novembre e leggevo la vita
del Curato d’Ars, quando mi sono detto: “Perché non potrei diventare Santo
anch’io?”. Solo un pazzo può pensare così, oppure uno che ha 18 anni ed è pieno
di generosità ed entusiasmo».
A questo punto, sempre nella lettera alla sorella, accenna
ai maldestri tentativi per raggiungere la santità, sui quali torneremo più
avanti: «Mi sembrava che per essere Santo bastasse poco, pochissimo: amare Dio,
e basta. Forse, siccome io sono un tipo troppo attivo, ho inteso il farmi Santo
con tante cose grosse da fare e allora, pensa te, andavo alla ricerca delle
stranezze più strane pur di fare qualcosa che piacesse al Signore. Mi ricordo
che passai un periodo che per fare penitenza dimagrii di 9 kg. Pensa te,
mangiavo tanto poco che Don Canessa, che era prefetto, mi ha dovuto obbligare a
mangiare di più. Ti scrivo questa cosa, non per farti vedere come ero bravo, ma
per dirti che uno a 18 anni è capace di generosità tali che poi non lo sarà per
tutto il resto della sua vita».
Giunge qui l’appello rivolto direttamente alla sorella: «Ti
consiglio solo una cosa, è molto importante: chiedi al Signore Gesù che ti
faccia diventare Santa. Ricorda che per essere Santi non importa né essere
consacrati a Dio con i voti, non bisogna fare grandi cose, né tanto meno fare
stranezze, ma bisogna fare quello che Dio ha pensato per noi fin dall’Eternità.
Dio ha su ognuno di noi un disegno, che poi è la Sua volontà; se noi la
attuiamo, se noi prendiamo quella forma che Lui ci ha preparato, ci facciamo
Santi. È chiaro che poi qualcosa dobbiamo fare, come quando la Madonna ha detto
il suo “sì” e poi è nato Gesù, cioè ogni “sì” detto a Dio corrisponde a un dono
che Lui ci fa, ma intanto a noi interessa dirlo, al resto ci pensa Lui…».
Un’idea eroica della santità
L’ideale della santità gli brilla quindi davanti molto
presto. Ma come diventare santo?
Ha un’idea eroica della santità, quasi prometeica: deve
diventare santo, deve farsi santo, lui.
Lo racconta più volte: «Ho cominciato a fare un sacco di
cose strane: dormivo per terra, mi alzavo di notte a pregare, d’inverno facevo
la doccia fredda, stavo con la finestra aperta... certe volte mangiavo poco,
lavoravo a più non posso, ma sentivo che tutto questo non mi bastava».
Alla fine dei pasti andava dal famoso cane a portare gli
avanzi che le suore della cucina mettevano in
un secchiello sotto il lavandino. Una volta un suo compagno lo apostrofa:
“Ecco, non mangi a tavola, poi ti mangi la roba del cane…”. Per Giovanni è
un’occasione d’oro sia per fare penitenza sia per mostrarsi stupido e comincia
a mangiare il pasto del cane. I cliché classici della santità gli dicevano
infatti che bisognava umiliarsi: «Volevo essere il più povero, il più disprezzato
di tutti gli uomini».
Presto si accorse egli stesso che forse quella delle
penitenze e delle umiliazioni non era la sua via di santità. Allora di nuovo la
domanda: “Come farmi santo?”. «Avevo finito il liceo e cominciavo a domandarmi
meglio cos’è che avrei dovuto fare: devo diventare prete, oppure Dio mi chiede
qualcosa di diverso? Forse devo diventare monaco. Allora dovevo imparare a
stare sempre da solo, perché i monaci stanno da soli. Così, ad esempio, salivo
sempre sul tetto del seminario». Neanche questa è la sua via di santità.
Gli dicono che Gesù praticava lo yoga, per questo era
capace di passare le notti in preghiera e di lavorare di giorno. Così Giovanni
inizia a studiare e praticare lo yoga. «Tutte le mattine doccia fredda; dormivo
sempre con la finestra aperta per vivere con la temperatura ambiente, come
richiesto dallo yoga. Nessun maglione. M’ero abituato a sopportare il freddo,
sempre con le maniche corte. Una volta mi ero addormentato sotto la finestra
mentre stava nevicando e mi sono trovato tutto imbiancato. Mi alzavo di notte
sempre puntuale verso le due e mezza per pregare. Dovunque mi sedevo mi
addormentavo, era automatico. Una volta stavo parlando con il cardinale e mi
sono addormentato davanti a lui. “Giovanni, mi dice, sei stanco? “No, no...”.
Allora ho deciso di non sedermi: mangiavo in inginocchio, anche a scuola stavo
sempre in piedi o in ginocchio. Una volta sono andato a parlare con il rettore
e mi dice di sedermi: “No, preferisco stare in ginocchio…”. Era un po’
imbarazzato nel vedermi in ginocchio davanti a lui…». Ma non è questa la sua
via alla santità.
Inizia a pensare alla via del nascondimento dei Piccoli
Fratelli di Gesù. Charles de Foucauld esercitava in quel periodo una forte
attrattiva sui giovani. Va a trovarli a Torino… Non è la sua vita di santità.
Finalmente la grande idea: il martirio. Ecco la via più
sicura alla santità! Si mette a studiare quali siano i luoghi nei quali anche
oggi si può diventare martiri. Si fa l’idea che nelle terre artiche, tra gli
eschimesi, ci sia ancora questa possibilità. Ed ecco i Missionari Oblati di
Maria Immacolata, i missionari del Polo Nord.
Fantastico
RispondiElimina