domenica 15 maggio 2022

Tre verbi per camminare insieme

 

“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti…” (Lc 10, 30). Quando Gesù raccontò quella parabola disse chi erano i passanti: un sacerdote, un levita, un samaritano… Ma non disse niente di chi fosse quello derubato, spogliato, colpito a sangue e lasciato a terra mezzo morto. Semplicemente “un uomo”. Non aveva un volto, una nazionalità, una religione, un mestiere… era semplicemente “un uomo”. Gesù non ha voluto specificare perché in quell’uomo ferito noi possiamo riconoscere qualsiasi persona che sulla nostra strada noi ha bisogno di aiuto: non importa chi essa sia, importa che quella persona ha bisogno di aiuto, della mia agape; è un “prossimo”, come dice Gesù, un mio fratello, una mia sorella.

1. Cosa fece il Samaritano quando vide quell’uomo ai margini della strada? Per prima cosa “ne ebbe compassione” e prese su di sé la sua situazione. Il primo nostro istinto è di evitare chi ha dei problemi: ci sentiamo a disagio, non sappiamo come comportarci, meglio ignorarlo. Il Samaritano si fermò invece a guardare l’uomo ferito ed ebbe compassione. “Com-passione” significa vivere insieme all’altro la medesima “passione” che egli sta vivendo, è entrare in sintonia con il “pathos” che agita il suo animo, è condividere il suo “sentire”, il suo “patire”. Il suo mondo, i suoi sentimenti, i suoi problemi non mi sono estranei, voglio farli miei perché sono miei.

2. La compassione si tramuta allora in “com-mozione”: il cuore non solo sente, percepisce, capisce, fa sua la situazione che gli sta davanti, ma avverte il bisogno di “muoversi verso l’altro”. Questo sia nei rapporti personali, sia davanti alle sfide e alle necessità della società, fino a calarvisi dentro, con una pregiudiziale positiva per “essere con”, “vivere con”, nel desiderio di offrire una risposta, come si può, fin dove si può... Non è invasione di campo, intrusione indebita e indiscreta nel mondo dell’altro, ma offerta di prossimità, di amicizia, che dice semplicemente: possiamo darci una mano?

3. La “compassione” e la “condivisione” si tramutano allora in “con-divisione”. L’altro divide con me ciò che ha: un problema, una difficoltà, ma anche una gioia. La condivisione affratella, arricchisce, appaga, crea una complicità che non ti fa sentire solo. La sofferenza più grande è essere soli, senza nessuno con cui comunicare, scambiare un’idea, un sentimento, un’opinione, un ricordo, un desiderio. Di solitudine si può morire, o almeno illanguidire.

Occorre camminare insieme: Stare vicino all’altro, uscire dall’anonimato che genera solitudine.

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