giovedì 30 settembre 2021

La formula di oblazione / 9

 


“prometto, faccio professione e voto… per tutta la vita”. È un impegno serio. L’oblazione è per tutta la vita. È questo che le dà consistenza e bellezza. Possono esserci fedeltà e infedeltà, rettitudine e sbandamenti… l’importante è che sia per tutta la vita. Se non la sperimenti fino in fondo, con tutte le sue sfumature, che amore è?

Un’infatuazione, una passione, sono passeggere. Un amore è per tutta la vita, e per essere vero ha bisogno della durata, della continuità. Come ho scritto tante volte, un amore senza una storia non è un amore, e una storia degna di questo nome è la storia di una vita, di tutta una vita: solo nel suo compimento acquista senso pieno.

mercoledì 29 settembre 2021

La formula di oblazione / 8

 


“Faccio… voto di castità, povertà, obbedienza”. Non si dice “faccio i voti”, ma “faccio voto”. In effetti il voto è uno solo e prende la persona in tutta la sua interezza: corporeità, affettività, intelligenza, fantasia, volontà... Il voto riguarda tre aspetti, ossia tutti gli aspetti del nostro vivere. È il dono totale di sé, è amare Dio con tutto il cuore, le forze, la mente, la volontà.

“Per noi Dio è tutto”, disse la ragazza.
Poi, rivolgendosi a lui, le chiese:
“E per te?”.
Ed egli le rispose:
“Vorrei che lo fosse”.

martedì 28 settembre 2021

La formula di oblazione / 7

 



“Faccio professione e voto…”. Dopo aver raccolto attorno a sé cielo e terra ecco e dopo aver “pro-messo”, messo davanti a Dio la propria vita, ecco l’atto fondamentale dell’oblazione.

Innanzitutto la professione, che letteralmente significa “parlare davanti”, ossia una dichiarazione aperta, fuori dai denti, è la proclamazione della propria scelta di vita, fino a farla un’autentica “professione” pubblica, anche nel senso di mestiere, di lavoro, di impegno di dare il contributo alla società. La professione, il mestiere, danno una identità alla persona, la qualificano: “Faccio professione…”, ossia mi faccio Oblato, sono un Oblato, una persona che non vive più per se stessa, ma che si è tutta donata a Dio e ai fratelli…

 

lunedì 27 settembre 2021

La formula di oblazione / 6

 


“… prometto a Dio”. Siamo arrivati al dunque! O meglio, non ancora, perché il dunque saranno i voti. Ma prima c’è questa bella promessa. Niente a che fare con le “promesse” che erano state introdotte per alcuni anni quasi un surrogato dei voti. No, qui siamo davanti a una promessa solenne.

L’oblazione è davvero un “mittere-pro”, mettere davanti la propria vita, sotto gli occhi di Dio, dare la parola. È dare la parola, mettersi pienamente in gioco, rischiando il tutto per tutto.

domenica 26 settembre 2021

La formula di oblazione / 5


“Alla presenza… dei fratelli qui riuniti”. Non basta la Santissima Trinità, la Beata Vergine Maria, tutti gli angeli e i santi: l’oblazione si fa anche in presenza dei fratelli. Geniale! Non è un fatto personale tra me e Dio e tutto il cielo, si richiede anche la presenza della terra.

Il 29 settembre 1970 “i fratelli qui radunati” erano veramente in piccolo gruppo, assieme a qualche amico, qualche suora della Santa Famiglia. Ma non conta il numero dei presenti: l’oblazione è un evento ecclesiale, un impegno preso davanti a tutti, pubblico ed è in favore di tutti, una vita data non soltanto a Dio ma anche all’umanità.

La coscienza di questa destinazione sociale a volte può essere determinante nella fedeltà all’impegno preso. Come posso disattenderlo senza creare sconcerto in “tutti i fratelli” presenti a quell’evento? Quelli che lo erano fisicamente, quelli che essi rappresentavano, quelli incontrati successivamente lungo la vita e che ne sono comunque testimoni. Allora lo fai per rispetto umano? No, per amore di “tutti i fratelli” che non posso deludere.

Dalle foto che hanno accompagnato questa prima parte di lieve commento alla “formula di oblazione”, si capisce che questi giorni li abbiamo passati sul lago di Albano, alla casa Divin Maestro ad Ariccia. Fabio Bastoni ha guidato i nostri esercizi spirituali proprio sul tema della fraternità, con un approccio geniale, mettendoci in presenza di … “tutti i fratelli”. 

sabato 25 settembre 2021

Basta un bicchier d'acqua

Questa domenica il Vangelo di Marco ci presenta tre detti diversi di Gesù, legati tra loro da parole simili, per ragioni mnemoniche; sarebbe stato più facile ricordarli, un po’ come facciamo con le filastrocche. Quale scegliamo? (ammesso che si possa scegliere…)

Forse il detto più semplice: “Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa” (9, 41).

Matteo, nel suo Vangelo, ci fa conoscere l’originaria collocazione di questo “detto”. Esso conclude il discorso che Gesù rivolge ai suoi discepoli quando li manda in missione: “E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa" (10, 42).

Gesù vuole rassicurare i discepoli, ai quali affida una missione difficile. Dice loro di andare “leggeri”, portarsi dietro l’essenziale. Si preoccupino solo di incontrare le persone, di annunciare loro il Regno di Dio, al resto ci penserà il Padre e la generosità di quanti li accolgono.

A chi si prende cura dei suoi missionari Gesù promette una ricompensa. Basta dare anche solo un bicchiere d’acqua. Matteo precisa: “acqua fresca”. Non era secondo la buona ospitalità offrire l’acqua fresca. Di solito la si riscaldava. Ma forse non c’è tempo, perché il missionario deve proseguire subito il suo viaggio. Per avere la ricompensa basta un bicchiere d’acqua, pure non scaldata, come vorrebbe la buona educazione.

Anche per un’azione apparentemente così banale Gesù promette una ricompensa. Perché? Perché niente è insignificante se fatto per amore, neppure il più piccolo gesto. E poi quel gesto vale ancora di più perché è fatto proprio a Gesù!

Un bicchiere d’acqua dato a Gesù (sulla croce dirà esplicitamente che ha sete… e non gli verrà dato neppure un bicchiere d’acqua!), perché chi accoglie il missionario riconosce in lui un discepolo di Gesù, come dice Matteo. Marco, in maniere ancora più profonda, afferma che il bicchiere d’acqua è dato al missionario perché egli appartiene a Cristo. Tra l’altro è la più bella definizione del cristiano: “essere di Cristo”, come ripeteva anche Paolo: “Siete di Cristo” (Rm 8, 9; 1 Cor; 3, 23). Appartenere a Cristo è l’identità più profonda del missionario e di ogni cristiano: il nostro vivere è Cristo.

Quale ricompensa riceveremo dunque per un bicchiere d’acqua dato a chi ci ricorda Gesù? Il Vangelo non lo dice, ma ce lo fa capire Matteo quando riporta le parole del Figlio dell’uomo nel momento in cui verrà nella gloria per giudicare tutte le genti. “Ho avuto sete e mi avete dato da bere”, dirà a quelli che sono alla sua destra. Decreterà anche la ricompensa che li attende: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo”. Addirittura! Il regno dei cieli per un bicchiere d’acqua. Questa sì che è una promessa da Dio.

venerdì 24 settembre 2021

La formula di oblazione / 4


“Alla presenza… di tutti gli angeli e i santi”. Dopo essere compresenti con la Santissima Trinità e la Beata Vergine Maria, ecco adesso anche tutti gli angeli e i santi: non ci facciamo mancare proprio nessuno, Paradiso al completo! Questo almeno fino al 1982. Poi il beato Eugenio de Mazenod – in seguito santo – ha preso da solo il posto di tutti gli angeli e i santi! Ma io sono prima del 1982 e quindi continuo imperterrito “alla presenza di tutti gli angeli e i santi”.

Conviene stare in compagnia di così grande schiera. Mi viene in mente la Lettera agli Ebrei che ci vede «circondati da tale moltitudine di testimoni» che ci incoraggiano ad andare avanti «con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù…» (12, 1-2); oppure l’Apocalisse che ci parla della «moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, diogni nazione e tribù, popolo e lingua» (7, 9). Viene naturale pensare anche a tutti gli Oblati che ci hanno preceduto, agli amici, ai parenti… Tutti là a sostenere la nostra oblazione, che diventa un affare di stato! Li invochiamo perché ci siano vicini, ci aiutino. Tutto il cielo è con noi, alla nostra presenza!

giovedì 23 settembre 2021

La formula di oblazione / 3


“Alla presenza… della beata Vergine Maria”. Non potrebbe essere altrimenti. Siamo o non siamo gli Oblati di Maria? Non c’è oblazione (= Oblati) senza Maria. È nell’oblazione di Maria – “Eccomi, si compia in me la tua parola…” – che si rispecchia la nostra oblazione. È lei il foglio bianco sul quale Dio può scrivere. Si fa l’offerta di sé guardando a lei, attenti a quello che ci suggerisce, per imparare da lei come fare.

Anche qui la presenza, grazie al testamento di Gesù, è speculare: “Donna, ecco tuo figlio… ecco tua madre”. Madre e figlio sono compresenti, una di fronte all’altro. 

Siamo  in buona compagnia…

mercoledì 22 settembre 2021

La formula di oblazione / 2


Dopo aver iniziato nel nome del Signore, la formula prosegue: “Alla presenza della Santissima Trinità”. La cosa si fa seria! Non vuol certo dire che noi siamo di qua e la Trinità è davanti a noi. Non è la Trinità alla presenza nostra, siamo noi alla sua presenza. In Dio «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo», come ricordava Paolo ad Atene (cf. Atti 17, 28). La Trinità ci avvolge, ci penetra… La formula dell’oblazione vuole renderci consapevoli di questa realtà per metterci, come invita sant’Eugenio nella Regola, costantemente alla presenza di Dio. Nessun atto – tanto meno quello nel quale ci si dona totalmente a Dio  può essere fatto al di fuori della sua presenza. L’oblazione avviene in Dio!

Essa è un atto che suppone l’azione di ognuno dei Tre. È la risposta alla chiamata di Gesù, Verbo incarnato, a seguirlo. Ma questa non si dà se il Padre non attira verso il Figlio (cf. Gv 6, 44). E niente può avvenire senza che lo Spirito metta sulla bocca la parola Padre (cf. Rm 8, 15) e senza che faccia proclamare che Cristo è Signore (1 Cor 12, 3), versando nel cuore l’amore (cf. Rm 5, 5).

L’oblazione nasce dunque dall’amore della Trinità ed è una risposta d’amore a questo amore.

martedì 21 settembre 2021

La formula di oblazione / 1

 

L’immagine più tenace di fratel Andrea Valiante, che rimane anche dopo tanti anni dalla sua scomparsa, è il suo passo cadenzato, che si sentiva a distanza nei corridoi dello scolasticato di Vermicino, con la corona in mano che sbatteva contro la stampella e quel suo essere assorto in preghiera: un vero fratello oblato che amava passeggiare con Maria, dentro e fuori casa. Anche nella sala da pranzo, con una mano apparecchiava, con l’altra teneva il rosario. «Per me – scrive uno dei giovani di allora – Andrea è stato davvero un esempio di perseveranza nella vocazione Oblata con tutte le sofferenze vissute col sorriso ed un po’ di ironia. Ho imparato anch’io a volte a scherzare su me stesso per andare avanti quando c’è il buio». Tra i suoi piccoli segreti c’era quello di rinnovare ogni giorno la sua consacrazione con la formula usata il giorno dell’oblazione. Vale la pena rivisitarla quella formula un po’ arcaica eppure ispiratrice.

Inizia con: “Nel nome di nostro Signore Gesù Cristo…”. L’oblazione è l’atto più importante della vita dell’Oblato, quello che gli conferisce l’identità. E in nome di chi potrebbe essere compiuto se non nel nome di Gesù? La Lettera ai Colossesi chieda che «tutto avvenga nel nome del Signore Gesù» (3, 17), quel nome «che è al di sopra di ogni altro nome», davanti al quale ogni ginocchio si piega nei cieli, sulla terra e sotto terra (cf. Fil 2, 9-10): nel suo nome è la salvezza! (cf. Atti 4, 12). Siamo stati segnati sulla fronte con il suo nome (cf. Ap 14, 1), gli apparteniamo. L’oblazione ricalca il segno battesimale e ci fissa nel suo nome, nella sua identità più profonda. Lo conosciamo per nome! e lo condividiamo: ci fa essere cristiani autentici. Tutto è fatto per lui: “Per te, Gesù”… anche l’atto della nostra consacrazione.

lunedì 20 settembre 2021

Nel monastero di santa Maria Maddalena de' Pazzi

 


Sabato scorso ho terminato il mio percorso di santa Maria Maddalena de’ Pazzi andando a visitare il luogo nel quale ha vissuto da monaca e dove è morta: san Frediano in Cestello. Vi era là il monastero di Santa Maria degli Angioli delle Carmelitane, poi passato ai Cistercensi. Soppresso nel 1792 subito dopo divenne sede del seminario diocesano. Ed è proprio un seminarista, Bernardo, che mi accoglie con gentilezza e mi introduce nel grande complesso.



Le vestigia della santa sono ben presenti. Mi attende nel chiostro, con la sua grande statua che lo domina al centro. Poi la cappella dove ricevette l’abito carmelitano e dove fu portata su un lettino, in situazione di salute drammatica, per emettere i voti; dove ebbe tante delle sue estasi… Nel sottosuolo il pozzo e il lavatoio e nel grande corridoio la cella ora trasformata in cappellina.



Le trasformazioni architettoniche sono state così tante che è difficile rivedere gli ambienti del tempo della santa, meno ancora cogliere il senso del divino di cui era pervasa, l’affetto delle sorelle che la circondava, la presenza di cielo che vi si respirava.





Peccato che l’itinerario della santa sia così frammentato. Perché non riportare il suo corpo nella chiesa a lei dedicata in centro città, piuttosto che lasciarlo nascosto in una villa in collina? Perché non attivare percorsi per renderla vicina e lasciare che proclami ancora il suo messaggio di rigenerazione della Chiesa? Una città come Firenze e un Ordine come quello dei Carmelitani potrebbe dare un altro rilievo a questa grande santa.

domenica 19 settembre 2021

Bene e benessere

 

La ricerca del benessere imperversa. Ed è una cosa positiva. Ma spesso s’adombra di egocentrismo: il mio benessere a ogni costo, anche a scapito degli altri. Basta che io stia bene…

Ma il bene è un’altra cosa. È qualcosa che trascende la mia persona, che riguarda tutta la collettività. Per esso devo essere pronto a posporre il mio interesse personale.

Soltanto quando voglio il bene dell’altro – anche se mi costa – trovo anche il mio bene… e il mio più autentico benessere.

Ne è riprova questa foto di oggi... 

sabato 18 settembre 2021

Pacta sunt servanda


Questa domenica celebro per un cinquantesimo di matrimonio.

Mi torna alla mente uno dei miei scritti che più mi è caro: “Elogio dell’infedeltà”, nel quale tra l'altro scrivevo: 
«Beato chi ha deciso in cuor suo di essere infedele a se stesso, ai propri progetti, con quanto ha promesso e pianificato.
Beato chi ha affidato la propria vita ad un Altro e lo lascia fare da regista, e si dichiara pronto a recitare la commedia, la divina commedia che Lui gli suggerisce.
Beato chi Lo lascia libero di scombinare gli schemi; Lui che come vento soffia dove vuole: sai da dove viene ma non sai dove ti porta: è libero e creativo, sempre imprevedibile. (“Quando eri giovane andavi dove volevi, quando sarai grande un altro ti afferrerà e ti porterà dove tu non vorrai”)
Vivere in balia dello Spirito.
Passare dal certo all’incerto, dal noto all’ignoto.
Avventura di vita nuova, imprevedibile.
La coerenza è lineare (o almeno lo sembra, vista dal basso). Ma non lascia libero lo Spirito di esprimersi con la creatività che lo caratterizza.
L’incoerenza è bizzarra (o almeno lo sembra, vista dal basso). Ma possiede la linearità del disegno di Dio. La sua armonia la cogli dall’alto. Incoerenza per una coerenza superiore.
Conviene lascia la sicurezza del timone, sciogliere la vela e affidare la guida allo Spirito».

Allora cosa dirò agli sposi? Che vadano dove vogliono?

C’è un altro mio scritto che mi è altrettanto caro: “Elogio della fedeltà” dove tra l'altro scrivo:

«Fedeltà: È la qualità dell’amore che ne esprime l’ininterrotta continuità, la coerenza non contraddetta.
Può esserci amore vero senza una storia? senza la prova del tempo? senza la durata, che sola consente di assaggiare tutte le stagioni dell’amore e lo rendono saporoso e fecondo?
Non è l’amore una storia d’amore, che si alimenta costantemente del ricordo?

Fedeltà. Memoria dell’amore, ne richiama le radici lontane, ben piantate nel passato: garanzia di vita anche in tempi d’arsura. Gusto della continuità.
Senza nostalgia, perché il ricordo non è mai fissato staticamente una volta per tutte. La memoria lo plasma continuamente componendo e ricomponendo, caleidoscopio di eventi già vissuti, resi al cuore con sempre nuovi colori e nuovi sapori.
Esperienza che rivive nel presente.

Fedeltà. È la promessa dell’amore che si apre al futuro e ha il coraggio di dire: per sempre. È speranza certa, che dilata spazio e tempo all’infinito, ebbrezza di perennità.
Non conosce la noia perché non è ripetitiva fissità. Apre percorsi inediti, inventa, fantasia dell’amore, creatività dinamica, ogni giorno rinnovata.
È la crescita dell’amore.

Fedeltà. E quando il tradimento ne spezza il filo?
No, non è un percorso lineare la storia del mio amore (quanti strappi e quanti nodi, matassa di fili aggrovigliati…).
C’è posto anche per l’infedeltà nella fedeltà: la colora di misericordia e di perdono.
E quando il futuro è incerto e la fragilità non ne dà più la garanzia?
C’è posto anche per la trepidazione e le paure, nella fedeltà: la rendono autentica.

Allora “infedeltà”, nel senso di libertà creativa e autorealizzazione, oppure “fedeltà”, fatta di perseveranza, di stare ai patti, costi quello che costi? Mettere al primo posto se stessi o l’altro? Ma sono proprio contraddittori, o sono due dimensioni dello stesso amore?

venerdì 17 settembre 2021

Il trionfo di santo Stefano



Sono entrato in quella stanza più volte, per un saluto, una pratica... senza mai alzare la testa. Incredibile ma vero. 

Stamani, per la prima volta, alzo la testa e resto incantato: il trionfo di santo Stefano ricopre l'intero soffitto.

Ed è solo l'ufficio di un parroco...

In questa povera Italia ne abbiamo per tutti… e ogni tanto vale la pena alzare lo sguardo!


giovedì 16 settembre 2021

Da Santa Maria Maddalena de' Pazzi

 



Quand’era ragazza santa Maria Maddalena de' Pazzi veniva a villeggiare dalle mie parti: https://fabiociardi.blogspot.com/2012/07/a-montemurlo-alla-ricerca-di-maria.html

Ho pensato di ricambiare la visita, andando a visitarla a Firenze. Ieri sono dunque stato a Firenze, nella chiesa a lei intitolata. Ma lei non c’è!

La chiesa nasce nel 1527, assieme alla casa di accoglienza delle donne convertite, che seguono la regola di san Benedetto. Un secolo dopo la struttura passa ai Cistercensi. Nel Rinascimento il convento è completamente ricostruito e la chiesa acquista un magnifico quadriportico, mentre il suo interno fiorisce con opera di Botticelli, Perugino, Ghirlandaio…

Finalmente nel 1626 giungono le Carmelitane, che portano con sé le spoglie di Maria Maddalena da’ Pazzi, e dopo la sua canonizzazione, nel 1669, la chiesa viene intitolata a lei. Con l’unità d’Italia le monache emigrano, prima in piazza Savonarola, poi a Careggi, e Maria Maddalena le segue… Ma un anno prima, nel 1887, una quindicenne in pellegrinaggio dalla Francia fa ancora in tempo a pregare sulla tomba della santa… e sarà santa anche lei: Teresa di Lisieux.

Non posso vedere neppure il celebre affresco della crocifissione del Perugino, nella sala capitolare del convento, oggi scuola statale: è chiusa per Covid!



Oggi eccomi di nuovo alla ricerca della santa, sulle colline di Firenze. Il monastero delle carmelitane è una bella villa nascosta. Le monache sono appena sei e dalla voce – i volti non si possono vendere – piuttosto anziane. Hanno sequestrato il corpo della santa: chi mai andrà a vederla nella loro chiesta?

L’urna che contiene il corpo è molto bella, più bella ancora la santa, che sembra quasi intatta.

Di lei Divo Barsotti ha scritto: «Più vertiginosa nelle sue intuizioni è Angela da Foligno, più essenziale e metafisica Caterina da Genova, insuperata per profondità e ricchezza di analisi psicologica Teresa di Gesù; nessuna di loro tuttavia ci ha dato una contemplazione teologica del mistero cristiano come Maria Maddalena de’ Pazzi».



Ella stessa scrive: «In Dio, tutto è amore, ragion per cui per sovrabbondanza d’amore dà tutto per amore, fa tutto per amore, castiga persino per amore: “Se procede dal Padre: amore; se procede dal Figliuolo: amore; se procede dallo Spirito Santo: amore. La potenza tua: amore; la sapienza tua; amore; la bontà tua: amore; l’eternità tua: amore; ardirò di dire che ancora la giustizia tua è amore”» (II, 756).

Poi, rivolgendosi a noi: «O anime create d’amore e per amore, grida la Santa, perché non amate l’amore? E chi è l’Amore se non Dio? Questo mio amore non è amato né conosciuto. O amore, tu mi fai struggere e consumare, tu mi fai morire e pur vivo. Amore, gran pena mi fai sentire a tal che il corpo ne partecipa ancor lui! Ad amare, anime, venite ad amare l’Amore da cui siete tanto amate, ad amare venite!» (II, 830).

mercoledì 15 settembre 2021

Alla Santissima Annunziata di Firenze... e ancora a Loreto

 


Maria Addolorata, festa di tutti noi, dei Servi di Maria in modo particolare. Ed oggi sono stato proprio da loro, nel santuario dell’Annunziata a Firenze, a pregare davanti alla bella icona del 1200.

In cuor mio continuo però a meditare sull’altra Maria, quella di Loreto, cantando il prefazio della sua messa propria:

… la beata Vergine Maria
che a Nazaret accolse l’annunzio
della sua divina maternità.

Nella sua casa
in quotidiana familiarità con il Figlio,
offre a noi il primo germoglio della salvezza
e un prezioso insegnamento di vita.

Madre e discepola del Cristo Salvatore
custodisce e medita, nell’intimo dell’animo,
le primizie del Vangelo.

Unita a Giuseppe, uomo giusto e fedele,
con vincolo nuziale verginale,
ti celebra con il canto, ti adora nel silenzio,
ti loda con il lavoro delle mani,
ti glorifica con tutta la vita.

martedì 14 settembre 2021

A Loreto

 

Sabato mattina sono salito al santuario di Loreto, il modo migliore per preparare la festa del 15 settembre. È davvero uno scrigno d’arte!

Il capolavoro più prezioso è naturalmente la Sacra Casa, icona della casa dell’annunciazione e insieme della Santa Famiglia di Nazaret. È un luogo santo, che parla ancora, dopo duemila anni. E dice purezza d’amore di Dio, adesione al suo disegno, fa respirare aria di cielo, rivivere armonia di rapporti, unità… Chi uscirebbe mai?

Significativo il lungo elenco dei santi che vi sono passati (naturalmente il nome di Eugenio de Mazenod è scritto sbagliato!).

Nel suo diario, il 7 maggio 1826, sant’Eugenio, in visita al santuario, scrisse: «Quando si dice messa in questo luogo santo si vede arrivare con gioia il momento in cui Gesù ricompare nella dimora in cui è vissuto durante il suo passaggio quaggiù. […] Sono andato via quando la stanchezza mi ci ha costretto. La pietà dei fedeli, che vanno e vengono dalla cappella e non ne escono senza aver baciato le mura ripetutamente con una dimostrazione di affetto commoventissima, ispira un non so che di tenero e invita a immedesimarsi dei loro sentimenti».

lunedì 13 settembre 2021

Un santo sorridente

 


11 settembre. Come ogni mattina scorro i santi del giorno, sempre numerosi. Nicola da Tolentino è il primo della lista. Nel primo pomeriggio parto per Civitanova, lungo la nuova superstrada che parte da Foligno e che percorro per la prima volta. A metà strada il cartello indica Tolentino. Tolentino? Ma oggi è la festa di san Nicola… da Tolentino. Esco e salgo verso la città, che non ho mai visitato. Che belle mura, e che bei palazzi… Le numerose indicazioni mi conducono facilmente al santuario.

Entro e resto strabiliato dalla bellezza del complesso, la chiesa come una grande sala, il chiostro in cotto… Ed eccomi nel “cappellone”. Non credo ai miei occhi: che ciclo di affreschi… “Non immaginavo tanta bellezza, dico a un fraticello. Sono capitato qui per caso”. “Non esiste il caso!”, mi risponde, “l’ha chiamato qua san Nicola”, e mi porta a visitare il complesso, la cappella delle braccia, e mi parla del santo…



Qui ha vissuto stabilmente per 30 anni, ma da qui già prima partiva per annunciare il Vangelo in tutta la regione. Diffondeva ovunque sorriso e gioia, attirando penitenti. Bello un santo sorridente….

Tornerò per conoscerlo meglio. 

domenica 12 settembre 2021

Lode: ancora l'incanto del primo amore


 

Il campanile della chiesa di Cristo Re è anche il radio-faro del porto di Civitanova Marche: una coincidenza significativa o almeno simbolica: che sia davvero Cristo Re che lanci i messaggi per una buona e sicura navigazione nella nostra vita?

La chiesa, moderna e ampia, come un grande salone, ha accolto la serata dedicata a Chiara Lubich, in una serie di eventi che vuole mettere in luce la testimonianza di cristiani del Novecento, da La Pira a Mazzolari a Tonino Bello. Ha trovato posto anche la testimonianza di una donna, nel centenario della sua nascita.

Io ho detto le solite cose. 

https://youtu.be/W3M9bZ4KXNU

Originalissimo invece l’intervento di Valerio Lode Ciprì, figura storica del mitico Gen Rosso e autore delle sue più fortunate canzoni, a cominciare dalla prima, Maria. Ha raccontato come sono nate tante di quelle canzoni, dando una testimonianza di vita straordinaria.


Ciò che in lui più mi ha colpito è la limpidezza del bambino evangelico, nonostante i 78 anni o giù di lì. Ha conservato l’incanto del primo amore, nonostante le prove che non sono mancate e che ha condiviso con semplicità.

Per contrasto mi vengono alla mente altre persone che hanno perso quell’incanto. Deluse cadono nella tristezza, poi nell’insoddisfazione, poi nella critica feroce… A chi non mancano le difficoltà, chi non precipita nel buio? Ma non possiamo mollare. Perché non aiutarsi? Continuare a credere, senza mai perdere la certezza di essere amati… Avere il coraggio di passare “il gelo del dolore”, per arrivare “all’incendio dell’amore” e ritrovare l’incanto del primo amore degli inizi, quel sorriso che non è ingenuità o dabbenaggine, ma espressione di fede eroica e d’amore consumato.

sabato 11 settembre 2021

Vivere per qualcosa di bello

 «Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8, 35).

Più chiari di così non si può. Nessun alibi. Per quanto cerchiamo di addolcirle quelle di Gesù rimangono parole scandalose. Anche Pietro si è ribellato perché inaccettabili.

Vanno contro la tendenza attuale – e di sempre – dell’autoaffermazione, dell’autorealizzazione, dell’io al primo posto, re assoluto. Ne ho scritto giorni fa:

http://fabiociardi.blogspot.com/2021/09/remo-ma-e-mia-moglie.html

La parola di oggi mette in primo piano Gesù e il Vangelo: “per causa mia e del Vangelo”. Proietta fuori di sé, verso un ideale infinito, una pienezza di vita senza confronti.

Eppure non è una cosa tanto strana. Rita Livi Montalcini ha perso la sua vita – non si è sposata, non ha avuto figli – perché aveva un ideale grande davanti a sé, che motivava ogni possibile rinuncia: la scienza. Non dava l’impressione di una donna che aveva “perso”, rinunciato a qualcosa, ma a una donna che aveva vissuto pienamente per una causa. E Madre Teresa ha pensato a sé? Eppure che donna! Ma quanti esempi più umili vediamo attorno a noi, di persone che hanno saputo mettere da parte la propria realizzazione per dedicarsi a qualcosa per la quale pensavano valesse la pena vivere.

E anche quanti esempi contrari, purtroppo, di chi cerca solo se stesso e poi trova il vuoto attorno a sé, la solitudine, l’insoddisfazione, il non senso…

Nel dono di sé, nell’amore per l’altro, nel vivere per la persona o la causa amata – costi quello che costi – si trova la piena realizzazione di sé, la gioia del vivere.

Vale anche per il cristiano. Per cosa vivo? per chi vivo?

venerdì 10 settembre 2021

Gli Oblati pregano con Manzoni

 Lira sacra della Gioventù cristiana, ovvero raccolta d’inni e lodi. Ad uso dei Missionari O.M.I.  Marsiglia, dai tipi di M. Olive.  Non c’è la data di edizione, ma c’è quella dell’approvazione del vescovo Mons. Eugenio de Mazenod: 1841.

Un libretto di preghiere e di canti preparato per i giovani italiani che erano emigrati a Marsiglia e lavoravano come spazzacamini e in altri poveri impieghi. Gli Oblati si occupavano di loro istituendo la "Opera per gli Italiani" e per loro hanno preparato anche questo libretto.

Courvoisier, uno dei nostri massimi archivisti, pensa sia stato composto da p. Rollieri, un Oblato di studio (cosa abbastanza rara), nato a San Remo, che nel 1839 era tornato a Marsiglia dalla Corsica dove era stato mandato come missionario. Il libro fu poi edito a Bastia, quando p. Rolleri vi tornò nuovamente per predicare le missioni.

La cosa che mi ha colpito – oltre alla nota vicinanza degli Oblati ai migranti – è trovare nel libretto quattro inni di Alessandro Manzoni, scritti pochi anni prima! P. Rollieri non soltanto era un uomo che conosceva la letteratura contemporanea, ma che aveva anche il coraggio di proporre come testi di preghiere gli inni di Manzoni!

Se penso che nell’attuale breviario c’è un inno soltanto tratto dalla letteratura italiana – la preghiera alla Vergine di Dante nel Paradiso; e solo per la festa di san Francesco il Cantico delle creature – mi verrebbe voglia di proporre alla CEI l’esempio degli Oblati di 200 anni fa… Perché non introdurre nella nostra preghiera alcuni delle tante liriche religiose che la letteratura italiana ci offre?

Gli inni pubblicati nel libretto di preghiera oblato sono:

 1 - Il Natale:

Qual masso, che dal vertice
Di lunga erta montana…

2  - Il Venerdì Santo:
O tementi dell’ira ventura
Cheti e gravi oggi al tempo moviamo…

3 - La Risurrezione:
È risorto; or come a morte
La sua preda fu ritolta

4 - La Pentecoste:
Madre dei Santi: immagine
Della Città superna…


mercoledì 8 settembre 2021

A Civitanova con Chiara Lubich per una cultura del dialogo



Venerdì 10 settembre 2021, alle 21,15, presso la chiesa di Cristo Re, in Civitanova Marche, grande appuntamento culturale e religioso attorno alla figura di Chiara Lubich (1920- 2008), fondatrice del Movimento dei Focolari, diffuso in cento ottantadue  paesi e portatore della spiritualità dell’unità.

Don Mario Colabianchi, parroco dell’Unità Pastorale San Pietro e Cristo Re, introdurrà la serata.

Aldo Caporaletti, promotore e organizzatore culturale, presenterà l’iniziativa e gli invitati.

Padre Fabio Ciardi, docente emerito di Teologia, terrà una conversazione sulla figura di Chiara Lubich, attingendo direttamente dalla sua opera di cui è curatore.

Emilia Bacaro, attrice della compagnia teatrale “Piccola Ribalda” di Civitanova Marche, presterà la propria voce nella lettura di scritti e pensieri di Chiara Lubich.

Valerio Lode Ciprì, compositore e autore del gruppo Gen Rosso porterà la propria testimonianza e contestualmente eseguirà alcuni brani scritti da lui: Maria (solista), Vieni e seguimiServo per amoreResta qui con noi (con il pubblico).

Cosa dirò? Forse qualcosa di analogo a quando annunciai a Bergamo l'1 febbraio 2020, mostrando i gradi orizzonti dell’unità e le parole chiave per la sua realizzazione. Ho sempre un certo senso di vergogna a guardare i miei video, ma quello di Bergamo me lo sono visto tutto: chissà che non mi ispiri anche per Civitanova.

Lo consiglio… Padre FABIO CIARDI OMI - Centro Studi Focolari - YouTube

Un dono a Maria per il suo compleanno

Per il suo compleanno Maria ha ricevuto in dono, dalla comunità di Marino, quattro nuovi Oblati, da Vercelli, Verona, Cosenza, Palermo.

«In quanto professione religiosa nella Congregazione degli Oblati di Maria Immacolata – scriveva 70 anni fa un grande Oblato –, l’oblazione è essenzialmente una consacrazione a Dio. Ma, da noi, questa consacrazione la si fa “sotto gli auspici di Maria”, come dice il Fondatore (20 marzo 1826). In questo senso si tratta di una consacrazione a Maria per raggiungere Dio con lei e per lei, come ha detto ancora il Fondatore: “Riconoscete che sarà per noi glorioso e consolante essere consacrati a Maria in un modo speciale e portare il suo nome!” (20 dicembre 1825 ). […]

L’oblazione, incorporandoci alla Congregazione, ci costituisce ufficialmente ministri delle misericordie di Maria, suoi collaboratori nel ruolo dell’Alma Socia Christi, sua continuazione, il suo “duplicato” nel ministero di corredentrice, il pleroma attraverso cui essa esercita la maternità spirituale. […].

Siamo stati voluti da Dio, a quanto pare, per evidenziare, in tutta la sua luce e nel pieno esercizio, il ruolo della misericordia materna dell’Alma Socia Christi, l’Immacolata, Madre di misericordia. Sotto questo aspetto, il ruolo di Maria nell’ideale oblato è più di uno scopo particolare da raggiungere, è l’atmosfera dove si realizza tutta la nostra vita, l’ambito pratico e psicologico di ogni nostra attività, ciò che conferisce all’istituto una propria fisionomia, che è eminentemente mariana». (M. Gilbert)

martedì 7 settembre 2021

Un nome, un ideale


L’8 settembre tanti Oblati hanno fatto la loro oblazione. Nella comunità di via Aurelia 290 sono in venti a celebrare l’anniversario…

Missionari Oblati di Maria Immacolata. Il papa approva la Congregazione con questo nuovo nome, inatteso eppure da sempre preparato per questa famiglia che Maria, nel silenzio, era venuta formandosi. […]

Gli Oblati sono offerti come lei, sul modello di lei. Offerti da lei e in lei, a lei uniti nella sua stessa adesione a Cristo. Maria insegna come si vive la morte di Gesù, come ci si unisce a lui nel suo mistero pasquale, come si diventa suoi cooperatori, come solo passando per questo mistero di croce si possa diventare padri e madri di anime e generare la Chiesa. Solo «ispirandosi all’esempio di Maria», leggiamo nella Regola, ci si potrà mettere «totalmente a servizio della Chiesa e del Regno».

Maria esprime Dio. È la creatura per la quale Dio è il tutto della vita. Essa riflette perfettamente Dio. Avendo spento in sé tutto l’umano e tutto il creato, vive nella grande solitudine con Dio, senza appoggio umano. Ma proprio per questa solitudine, per questa pienezza di unione con Dio, diventa Madre. Sola e Madre della Chiesa. La solitudine più alta, la massima fecondità.

Gli Oblati vivranno la loro missione con lei. Da lei parte la loro cooperazione con Cristo, e a lei deve tornare il frutto del lavoro apostolico, come afferma Leone XI nel breve di approvazione della Regola: voi Oblati dovete «portare nel suo seno di Madre di Misericordia i figli che Cristo dalla croce volle darle». Ecco perché Eugenio quando contempla Maria, la chiama «Madre della Missione», «Madre di Misericordia», «Scala di Misericordia», «Nuova Eva», «Corredentrice», «Madre delle anime», «Madre spirituale di una moltitudine di figli di Dio», «grande nemica dell’impero del demonio», «Dispensatrice di grazie»...

(e la foto che c’entra? C’entra, centra…)

lunedì 6 settembre 2021

Remo: “Ma è mia moglie!”.


Chissà perché è invalsa questa enfasi ormai pervasiva sulla propria realizzazione. Ci si può realizzare senza tenere conto di chi si ha attorno? A costo di piantare tutto e tutti e farsi la propria vita? Mandando all’aria gli impegni presi, con gli elettori, con i soci, con il coniuge, con la comunità religiosa? Basta che io mi realizzi.

E sempre mi torna alla mente Remo, che per anni ha accudito la moglie inferma, senza più conoscenza, in stato vegetativo, bisognosa di tutto. “Perché lo fai? Lasciala morire”, gli suggerivano gli amici. “Ma è mia moglie”, rispondeva con semplicità. Era l’unica motivazione: bastava! Non esercitava un atto eroico, continuava semplicemente ad amare, come aveva sempre fatto, “fino alla fine”. Ha trovato la propria realizzazione nella costanza dell’amore.

Quante testimonianze di fedeltà nascosta! Quella di un padre o di una madre che per una vita intera ogni giorno va al lavoro per sostenere la famiglia. Si alza presto, affronta il viaggio, col bello e cattivo tempo, fatica… Quanta monotonia, quante poche soddisfazioni, eppure quella regolarità, che si ripete di giorno in giorno, per anni e anni, “fino alla fine”, è espressione di fedeltà e di sincero amore.

In risposta al post che ho inviato qualche giorno fa sulle coppie sante una lettrice mi ha scritto: «Vedo questa “santità di coppia” in molti genitori di bambini con disabilità. Molte volte avrei voluto proporli come santi!».

Ogni mattina ripeto la mia consacrazione con parole desuete, ma che amo ridire, nelle quali tra l’altro affermo ostinatamente: “Faccio voto di perseverare fino alla morte nel santo Istituto e nella Società dei Missionari Oblati della Santissima e Immacolata vergine Maria. Così Dio mi aiuti”. Certo che senza il suo aiuto… Ma quanta gioia in questa professione di appartenenza.

domenica 5 settembre 2021

Ospedale da campo


 

“Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia”. Destò meraviglia questa definizione di Chiesa data da papa Francesco all’indomani della sua elezione. Corpo di Cristo, casa di Dio, tempio dello Spirito…, ma “ospedale da campo” è davvero nuova! Riporta alla mente edifici che recentemente si trasformano in luoghi di accoglienza: la basilica di santa Maria in Trastevere a Roma dove i banchi lasciano il posto alle tavole per la mensa dei poveri, la cattedrale di san Paolo del Brasile che nelle inusuali rigide notti d’inverno ospita i senza tetto… Le chiese in muratura, prima di essere la “casa di Dio” – che non ha bisogno di una casa – sono la “casa del popolo di Dio”, a cominciare da chi non ha casa o è comunque provato dalla solitudine, dalla violenza, dal fallimento, dall’abbandono.

Chi, se non la comunità cristiana, è chiamata a far casa a tutti? Quante piaghe, fisiche e morali, feriscono la nostra povera società. Accogliere chi è ferito, ecco la missione della Chiesa, che mostra la sua vera identità “nella capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, nella vicinanza, nella prossimità... E bisogna cominciare dal basso”.

La prima “riforma” della Chiesa “deve essere quella dell’atteggiamento… riscaldare il cuore delle persone, camminare nella notte con loro, saper dialogare e anche scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi”. Siamo ben al di là del ritualismo, dell’attestarsi puntigliosamente sui principi morali. Siamo davanti alla persona concreta, che domanda di essere accolta così com’è, nella sua particolare situazione. “Tutto – direbbe ancora papa Francesco – dipende dall’amore che muove il cuore di chi fa le cose”.


sabato 4 settembre 2021

Effatà... sporcandosi le mani

 

Isaia l’aveva sognato: Dio avrebbe ridato la vista ai ciechi e l’udito ai sordi.

Cecità e sordità, segno della barriera che impedisce la comunicazione, la condivisione, la comunione, e rinserra nella solitudine.

La sordità impediva l’ascolto della parola di Dio, la cecità la contemplazione delle sue opere. Ragliati fuori dagli uomini e da Dio: è dello smarrimento del cuore.

Ed ecco l’annuncio del profeta: “Coraggio. Non temete!”, perché Dio interverrà e riaprirà le vie della comunicazione.

Gesù compie la profezia: fa vedere i ciechi, fa udire i sordi, fa parlare i muti. Basterebbe la parola “Effatà”, “apriti”, e invece usa le mani, la saliva, tocca…

Non è bello questo Gesù pienamente umano? Potrebbe guarire da lontano e invece si immischia e condivide, entra in contatto, si sporca…

Quante infermità fisiche e morali ci portano allo “smarrimento del cuore”, all’angoscia, al senso di impotenza! Gesù è lì che ripete: “Coraggio! Non temete!”. E si fa uno con noi, assumendo la nostra povera carne con tutte le sue debolezze, ridandoci vita.

venerdì 3 settembre 2021

Santità di coppia / Esempi illustri

 

Luigi Martin e Maria Zelia Guérin si sposarono il 13 luglio 1858, a mezzanotte! Dal loro matrimonio nacquero nove figli, di cui solo cinque femmine sopravvissero. Tutte divennero religiose. Zelia morì per un cancro al seno nel 1877, mentre Luigi, affetto da arteriosclerosi e da paralisi, si spense nel 1894. È significativo che le loro cause di beatificazione, avviate separatamente, finalmente furono congiunte. Beatificati insieme sotto papa Benedetto XVI il 19 ottobre 2008 a Lisieux, sono stati canonizzati da papa Francesco il 18 ottobre 2015, durante il Sinodo della famiglia.

«Quando abbiamo avuto i nostri figlioli – scrive Zelia nel 1877, ormai alla fine della sua vita – le nostre idee sono un po’ cambiate: vivevamo ormai solo per loro, questa era la nostra felicità. Insomma tutto ci riusciva facilissimo, il mondo non ci era più di peso». Eppure le circostanze si rivelarono durissime, ma tutto era trasfigurato dall’amore tra loro due.

«Il Signore – diceva la figlia, santa Teresa di Lisieux – mi ha dato due genitori più degni del cielo che della terra», e confessava di aver imparato la spiritualità della “piccola via” sulle ginocchia di mamma. «Pensando a papà penso naturalmente al buon Dio», sussurrava, mentre alle consorelle confidava: «Non avevo che da guardare mio papà per sapere come pregano i santi».

Sintetizzando il loro cammino, papa Francesco, nel giorno della canonizzazione, ha detto: «I santi coniugi Ludovico Martin e Maria Azelia Guérin hanno vissuto il servizio cristiano nella famiglia, costruendo giorno per giorno un ambiente pieno di fede e di amore».



Luigi Beltrame Quattrocchi e Maria Corsini sono stati ugualmente beatificati insieme, come coppia, il 21 ottobre 2001 da San Giovanni Paolo II, nel 20o anniversario dell’Esortazione apostolica Familiaris Consortio. Catanese lui, fiorentina lei, si erano conosciuti a Roma nel 1902, all’età rispettivamente di 22 e 18 anni. Lui studente di legge, lei di lingue. Una fitta corrispondenza epistolare caratterizza i circa 7 mesi di fidanzamento: lettere e bigliettini dai quali traspare la stima, il rispetto, e il pudore tra i due giovani, ma anche capaci di esprimersi con parole appassionate come “kiss you”. Il 25 novembre 1905 nella Basilica romana di Santa Maria Maggiore si celebra il matrimonio.

La quarta gravidanza, particolarmente travagliata, mette a rischio la vita del feto e della madre. Gli sposi rifiutano di abortire e nel 1914 nasce Enrichetta (di cui è in corso la causa di beatificazione). Ogni giorno partecipano alla Messa, recitano il Rosario, praticano l’adorazione notturna. Ugualmente intenso l’impegno sociale: volontari dell’Unitalsi, cura e assistenza di soldati e civili feriti durante i due conflitti mondiali, aiuto  oltre 150 persone salvate dalla persecuzione nazista, assistenza a terremotati, sostegno all’Università Cattolica, avvio di corsi per fidanzati…

Il rapporto tra loro è semplice e profondo. «Usciti di chiesa – scrive Maria – mi dava il buongiorno, come se la giornata allora avesse il ragionevole inizio». Mezzo secolo di vita insieme, fino all’infarto di Luigi, nel 1951. Quattordici anni dopo parte anche Maria. La testimonianza dei coniugi Beltrame Quattrocchi, ha affermato San Giovanni Paolo II, è «una singolare conferma che il cammino di santità compiuto insieme, come coppia, è possibile, è bello, è straordinariamente fecondo ed è fondamentale per il bene della famiglia, della Chiesa e della società».