sabato 31 agosto 2013

Gli Oblati in Sri Lanka: Viva immagine di Dio che è amore

Nel 1854, sette anni dopo il loro arrivo, il superiore del piccolo gruppo di missionari Oblati – allora erano una ventina –, padre Giovanni Stefano Semeria, scrisse al fondatore, Sant’Eugenio:
Posso dire con tutta sincerità che siamo tutti un cuore e un’anima. È con grandissima gioia posso testimoniare che tutti i nostri Padre mettono in pratica con la perfezione possibile lo straordinario articolo della nostra Regola che riguarda l’amore fraterno, nel quale è riassunto, come io stesso ho sentito ripetere dalla vostra bocca, lo spirito della nostra amata congregazione. I nostri cattolici non hanno mancato di far notare la loro grande sorpresa. Recentemente hanno visto con quanta dimostrazione di affetto abbiamo accolto i nuovi arrivati, Padre Flurin e Padre St. Geneys. Ci hanno domandato se li avevamo conosciuti in Europa. Quale sorpresa quando abbiamo detto loro che era la prossima volta che li vedevamo, Come i pagani, anche loro erano semplicemente stupefatti. Non si può certo dire di noi che ci incontriamo senza conoscerci, che viviamo insieme senza amarci l’un l’altro, e ancor meno che moriamo senza che i nostri confratelli piangano. Ricordo spesso ai Padri che questa santa unione è la garanzia per l’immenso bene che non possono mandare di compiere verso le anime… Vivendo a immagine di Dio che è amore, guideranno quanti non credono a conoscerlo e ad amarlo”.

Quant’anni più tardi un vescovo gesuita, dopo aver visitato Jaffna, scrisse al vescovo oblato del luogo: “Ammiro tantissimo il vostro lavoro, ma ciò che mi ha colpito più di tutto il resto è la carità che regna tra i vostri missionari. Dopo averli visti si è tentati di credere che sono nati tutti dallo stesso padre e dalla stessa madre”.

Ho terminato di guidare una settimana di ritiro a 40 Oblati dello Sri Lanka, nel santuario della Madonna del Rosario a Madhu. Due settimane fa ne ho guidato un altro con 45 Oblati sempre dello Sri Lanka a Kandy… Posso dire oggi quello che diceva cento anni fa? Oggi non sono più una ventina ma 250, vengono da una guerra trentennale che li ha divisi tra nord e sud, tra tamil e singalesi, portano con sé il retaggio della divisione in caste... Eppure per la prima volta hanno potuto fare i ritiri insieme Oblati del nord e sud, tamil e singalesi… un cammino serio verso un’unità sempre più intensa.

venerdì 30 agosto 2013

Mannar, terra di martiri

 Il santuario di Manhu si trova nella diocesi di Mannar, piccola città sul mare dove nel 1847, durante il viaggio per raggiungere Jaffna, prima sede degli Oblati in Sri Lanka, fu lasciato da solo p. Ciamin perché prendesse in mano il lavoro pastorale tra i pescatori senza più missionari, morto da poco.
È proprio qui, a Mannar, che è iniziata la Chiesa dello Sri Lanka, con gli inizi che caratterizzano ogni nuova Chiesa: il martirio. I Francescani erano già arrivati a Colombo, ma è stato a Mannar che la prima Chiesa srilankese ha conosciuto il battesimo del sangue.
Una leggenda racconta che il cristianesimo sarebbe stato portato nello Sri Lanka da uno dei Magi, Mechiorre. Un’altra che fu portato dall’Eunuco della regina di Candace, dopo essere stato battezzato, come raccontano gli Atti degli Apostoli, dal diacono Filippo; sarebbe sua la grande impronta del piede lasciata nella roccia sul Picco di Adamo (e non di Buddha, come dicono i buddisti; e non di Shiva, come dicono gli indù; e non di Adamo, come dicono i musulmani…).

Al di là delle leggende il cristianesimo arrivò nel nord dello Sri Lanka, in una delle sue piccole isole, Mannar appunto, i cui abitanti, conosciute le gesta di san Francesco Saverio, gli scrissero di venire anche da loro ad annunciare la nuova religione. Il santo mandò uno dei suoi sacerdoti, nell’ottobre-novembre 1544. Due mesi più tardi il re di Jaffna inviò i suoi soldati con l’ordine di uccidere tutti coloro che si fossero dichiarati cristiani. Come al tempo dei primi tempi della Chiesa, nessuno dei nuovi cristiani rinnegò la fede appena ricevuta: in un solo giorno furono massacrate dalle sei alle settecento persone. L’anno successivo passò di lì san Francesco Saverio a confermare i cristiani nella loro fede.
Anche la missione degli Oblati è nata dal sangue dei suoi “martiri”. Nei primi anni ne morirono sette, tutti giovani, al punto da far gridare, al superiore della missione, padre Semeria: “Dio mio, Dio mio perché ci hai abbandonato! Povera missione del Ceylon! Se solo sapessi quante lacrime ci sei costata! Sette di noi, che non hanno tenuto conto dei più duri sacrifici, sono appena stati immolati per la tua salvezza. Lascia che almeno siano i tuoi intercessori davanti a Dio”.


giovedì 29 agosto 2013

Il santuario nella giungla


Ogni giorno mi reco al santuario e mi fermo a parlare con i pellegrini accampati nelle vicinanze, anche se pochi sanno l’inglese. Nella chiesa e attorno la preghiera è costante, spesso in gruppo, con le cantilene tipiche di queste regioni. Rimango sempre impressionato dalla devozione sincera della gente, che prega con i gesti e i segni comuni alle altre religioni, buddismo e induismo. Qualcuno prega con una intensità tale che sembra impossibile che la Madonna non lo ascolti e lo esaudisca seduta stante.




Tutto attorno la giungla. Piano piano mi rendo conto di cosa significa essere circondati dalla giungla. Tra l’altro, oltre al caldo e all’umidità, occorre abituarsi a convivere con gli animali. Non con gli elefanti selvatici che attaccano l’uomo, non con i leopardi o i serpenti velenosi. Convivere nel senso che tanti animaletti stanno proprio nella tua stanza. Io ho con me alcuni coinquilini stabili: il solito geco timidissimo, il grosso ragno sornione, e soprattutto un’intera famiglia di rospetti saltatori che di giorno dormono beati arrampicati in alto verso il soffitto e di notte scorrazzano dappertutto lasciando le loro inevitabili tracce. Inutile cacciarli, riappaiono tranquillamente dalle mille apertura che ogni stanza deve avere per farla arieggiare. Ci sono poi gli animali di passaggio: il camaleonte che tenta inutilmente di mimetizzarsi su un filo della luce, la cavalletta impertinente. Appena finisce un temporale compaiono nuvoli di insetti volanti che si appiccicano addosso e guai a toccarli: ti rispondono subito con un odore terribile. Non parliamo poi dei soliti insettini quotidiani… Mi difendo, come posso, con la zanzariera.
È roba da niente, se penso ai nostri missionari di un tempo. Come hanno fatto a sopravvivere in queste regioni? Infatti tanti sono morti di dissenterie, malaria e altre malattie tropicali. Dovevano imparare una lingua così diversa dalla loro, abituarsi a usi, costumi, cibi completamente diversi…

Quando il primo gruppo di Oblati arrivò in Sri Lanka, durante il cammino per Jaffna loro prima destinazione, a uno dei quattro fu chiesto di rimanere a Mannar, a pochi chilometri da qui: solo, senza sapere la lingua, sperduto in un paesino da niente, come ho visto in questi giorni, tra gente che non conosceva, senza mezzi di sussistenza… Erano proprio degli eroi. E ci credevano!

mercoledì 28 agosto 2013

Nel tempio indù di Nallur

La settimana scorsa, appena arrivato a Jaffna, sono andato al tempio indù di Nallur, il più importante in tutto il Sri Lanka. Anche gli Indù festeggiano la luna piena di agosto. In quei giorni vi si celebrava la festa di Skanda, figlio del dio Shiva. Nei due giorni che ho passato a Jaffna non potevo mancare all’appuntamento.
La torre rosata, si scorge dal lontano. Si erge alta, decorata con mille statue di divinità. Molto prima di giungere al tempio occorre togliersi i saldali perché si entra in territorio sacro. La vasta area è disseminata dei più diversi padiglioni, mercatini, alberi sotto i quali i fedeli si riposano al fresco… Per entrare nell’edificio principale non soltanto occorre essere scalzi, ma anche a dorso nudo; nessun problema, col caldo che fa è piacevole togliere la camicia. Gli uomini sono monocromatici: scurissimi e con un panno bianco attorno ai fianchi; in compenso le donne sono coloratissime, con abiti da favola.

All’interno del tempio parte la processione, tra suoni di strumenti e incenso. Il carro del dio, trainato da due cavalli alati, si muove lentamente lungo l’amplissimo chiostro interamente dipinto con storie delle infinite divinità e degli eroi del popoloso panteon indù. I fedeli seguono con le mani giunte. Altri si prostrano o si distendono completamente per terra. Ognuno esprime liberamente la propria devozione.
Un guardiano, un uomo bonario e gentilissimo, mi segna la fronte con la cenere in segno di benedizione e mi imprime al centro un tocco di pasta gialla, segno dell’occhio di Dio. Così segnato posso muovermi con libertà all’interno del vasto edificio strabordante di ornamenti, decorazioni, che si apre in sempre nuove cappelle segrete con ulteriori divinità, altri ornamenti…

Mi impressionano soprattutto le persone, così numerose, così comprese. Come fanno a non salvarsi? Dio non può non tener conto della loro fede, del loro senso del divino. Mi sembrano così vere le parole del Concilio: “nell'induismo gli uomini scrutano il mistero divino e lo esprimono con la inesauribile fecondità dei miti e con i penetranti tentativi della filosofia; cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza”.
Nel tempio di Nallur non è difficile scorgere uomini dediti alla vita ascetica e alla meditazione, ma soprattutto in questo giorno di festa, vedo il tempio rigurgitare di persone che cercano rifugio in Dio con amore e confidenza.

martedì 27 agosto 2013

Pellegrini alla Madonna di Madu


Nelle prossime feste mariane, 8 settembre, 7 ottobre, il santuario di Madu vedrà arrivare ancora migliaia di pellegrini. Ma ogni giorno sono qui a centinaia. Non ci sono alberghi o grandi strutture recettive. In compenso sono stati strappati alla giungla grandi spazi dove le persone possono accamparsi. Vi sono anche schiere di mini appartamenti che si possono prenotare: stanza e bagno; oppure tettorie adibite a dormitori, bagni comuni… Giungono pullman con villaggi interi, o pulmini con famiglie numerose. Le auto sono inesistenti come in quasi tutta l’isola. Rimangono alcuni giorni, bivaccano sotto gli alberi, cucinano in grandi pentoloni, si recano in preghiera al santuario… Mi immagino cosa può essere quando le presenze si contano a decine di migliaia. Intanto le scimmie fanno le matte saltando da un albero all’altro.

Nel periodo della guerra tutta la zona si era trasformata in un accampamento di rifugiati. In questi tre anni dalla cessazione delle ostilità ogni luogo è stato ripulito, la casa dei sacerdoti è stata ingrandita (vengono anche in 40 durante le feste) ed è stata costruita una casa di ritiri dove sto guidando il ritiro degli Oblati; il sentiero che attraversava la giungla e giungeva al santuario è diventato una bella strada asfaltata. Ma i segni della guerra rimangono. Oggi volevo addentrarmi in alcuni sentieri appena segnati della giungla, ma non mi è stato possibile: i terreni sono ancora minati e ogni tanto un elefante salta in aria…

Mi aggiro per le stradine polverose attorno al santuario, saluto le persone. Spesso trovo chi parla italiano: in questo mese di agosto tanti sono tornati per le vacanze da Milano, Modena, Napoli, Catania e sono arrivati qui con tutta la famiglia in festoso pellegrinaggio.
Questa mattina ho visto un gruppo di buddisti con il loro bonzo ed è attesa per oggi la moglie del presidente della repubblica.

Attorno al santuario un caos silenzioso e ordinato: si accendono le candele comprate all’unico emporio, ci si aggira per i portici, ci si siede per terra a gruppi per recitare il rosario, si percorre in ginocchio la navata centrale fino all’altare, si passa dietro l’altare a venerare l’immagine della Madonna toccando quello che si può toccare, accovacciandosi per terra a leggere il libretto delle preghiere… tutto è lecito nella casa della Mamma. A me portano una sedia perché possa recitare con comodità il mio rosario.

lunedì 26 agosto 2013

Madu: il santuario della Madonna del Rosario nella giungla


Era il 1670. La persecuzione olandese contro la Chiesa cattolica raggiunse il villaggio di Mantai, vicino a Mannar. La chiesa era già circondata, quando alcuni cristiani riuscirono a fuggire con la piccola statua della Madonna. Una ventina di famiglie seguirono la statua fino a raggiungere un minuscolo villaggio perduto nella giungla, Madu, presto sparito, mentre la statua passava di villaggio in villaggio fino a quando, all’inizio del 1800 ritornò a Madu invaso dalla giungla.

Nel 1823 un signore della regione disboscò un terreno sul luogo dove era stata riposta la statua e vi costruì una cappellina di fango. Ogni anno, il 15 agosto, un prete veniva a celebrare la messa, fino a quando gli Oblati presero in mano la situazione. Nel 1872 il vescovo di Jaffna, mons. Bonjean, che era succeduto al vescovo Semeria, iniziò la costruzione del santuario.
I pellegrini di una volta (non molto diversi
da quelli di oggi)
Oggi la Madonna del Rosario di Madu è il primo santuario dell’isola, capace di attirare migliaia di pellegrini ogni anno. Gli Oblati l’hanno reso famoso, ma soprattutto la Madonna si è resa famosa con i suoi miracoli. I fedeli si portano con sé la terra del suolo, efficace contro i morsi dei serpenti velenosi. Innumerevoli i racconti al riguardo.
Ho letto il “racconto edificante” di un manovale divenuto cieco a causa della calce schizzata negli occhi. Si rivolge invano a tutte le divinità indù, fino a quando un giorno vede una signora che gli dice: Vai a Madu e fatti cristiano. Lui non sapeva né dove fosse Madu né cosa fossero i cristiani. La signora gli apparve una seconda volta ripetendo le stesse parole. La terza volta gli disse che se non fosse andato si sarebbe perduto per sempre. Andò finalmente a Madu, si mise la terra negli occhi, guarì immediatamente e si fece cristiano.
Anni dopo padre Collin che l’aveva battezzato a Madu, seppe che conviveva. Santiago – questo il nome di battesimo dell’indù convertito – rispose che la sua ragazza non voleva assolutamente lasciare l’induismo per sposarlo, allora aveva chiesto a un altro padre se quella donna poteva cuocere il suo riso e il padre gli aveva risposto che non c’era nessun problema; non sapeva, il povero nuovo arrivato, che “cuocere il riso” significava convivere. Allora niente convivenza? Niente convivenza, o diventerai cieco come prima. Santiago non lasciò la sua donna e divenne nuovamente cieco. Ed ecco la seconda conversione, la terra negli occhi, la vista riacquistata. 20 anni più tardi padre Collin incontra ancora Santiago. Ha lasciato la sua donna e non si è più risposato.
Racconti come questo scorrono a centinaia attorno a Madu.
Nelle feste della Madonna i pellegrini arrivato da tutto lo Sri Lanka e anche dall’India. Leggo le antiche statistiche che una volta i missionari redigevano accuratamente: nel 1880 i pellegrini furono 12.000, nel 1890 30.000, nel 1924, in occasione dell’incoronazione della Madonna, 150.000. I missionari, che arrivavano in gran numero e confessavano giorno e notte. Il 15 agosto di quest’anno i pellegrini erano 400.000.
Non avrei mai pensato di giungere fino in questo posto sperduto, nel bel mezzo della giungla.

domenica 25 agosto 2013

Dambulla: un anticipo del Nirvana? o del Paradiso?

Da Kandy a Madu. Un’altra giornata intera di viaggio verso il nord. Dalle foresti lussureggianti alla giungla arida e spinosa.
Lascio Kanky, con il suo bel tempio, grandioso reliquiario del dente del Buddha giunto miracolosamente in Sri Lanka nel 313, nascosto tra i capelli di una principessa indiana; un dente che conobbe molte peripezie prima di approdare a Kandy. La città diventò così il centro culturale e spirituale del buddismo srilankese, rivivificato dagli Olandesi. Esso stava quasi estinguendosi, benché tanti secoli prima proprio da qui fossero partiti i missionari buddisti: lo Sri Lanka aveva portato il nuovo pensiero in Tailandia, in Birmania… Nell’intento di distruggere la Chiesa cattolica gli Olandesi mandarono dodici giovani monaci di Kandy nel Siam a studiare per poi tornare e far rinverdire in buddismo in patria.
Le vestigia gloriose dell’antico buddismo le ho ritrovate lungo il cammino, a cominciare dal monastero di Aluvihara, dove nell’anno 88 avanti Cristo, per la prima volta cinque monaci misero per iscritto, su foglie di palma, l’insegnamento buddista, fino ad allora trasmesso soltanto oralmente (ma anche adesso i monaci imparano a memoria i lunghissimi testi).
Ma è soprattutto a Dambulla che il monastero nella roccia testimonia l’arte e la spiritualità che il buddismo ha saputo creare. Fondato nel primo secolo avanti Cristo, vi si accede dopo aver salito una lunga scalinata che porta sulla cima di una collina, a oltre 500 metri di altezza, dove l’orizzonte si apre su laghi e foreste. È ricavato nella roccia, in caverne interamente affrescate, con un’infinità di statue una più bella dell’altra, a cominciare da un Buddha disteso, lungo 15 metri, scolpito nella roccia.
Vi si respira un’ora… di Paradiso? O di Nirvana?
Nelle scritture buddiste il Nirvana è descritto, oltre che in negativo (non è questo, non è quello…), in modo positivo, come: Porto di riparo, fresca grotta, isola in mezzo ai flutti di mare, luogo beato, emancipazione, liberazione, sicurezza, la realtà più grande, trascendente, increata, il silenzio, casa della gioia, pace, fine del dolore, mezzo di salvezza da ogni male, realtà imperturbabile, nettare, realtà immortale, realtà immateriale, realtà duratura, realtà stabile, l’altra sponda, ciò che non finisce mai, beatitudine, quiete dalle fatiche, la gioia più alta, l’indicibile, l’abbandono di ogni apparenza, la città santa…

Che sia davvero l’intuizione del Paradiso?

sabato 24 agosto 2013

Perahera: la processione con il dente di Buddha

Eccomi di nuovo a Kandy. Settimana scorsa, quando era ancora qui, una sera ho partecipato alla festa di Perahera, che ogni anno ha luogo attorno alla lune piena di agosto. È una celebrazione che risale a circa 2000 anni fa. Consiste in una processione con la reliquia del dente di Buddha, che si ripete per una decina di giorni. Parte a sera, dal famoso Tempio del Dente, e si snoda per due ore nelle vie della città.
Giungo due ore prima, per trovare il posto lungo la strada. Le persone vengono a migliaia da tutta l’Isola, passano alcuni giorni qui, come in un santuario, e prendono posto molte ore prima della processione. È una vera festa. Tutti sono seduti per terra su teli, con quanto occorre per mangiare…
Al suono del cannone la precessione parte, una delle feste più spettacolari dell’Asia. Aprono la sfilata una serie di giovani che fanno schioccare grande frusti con rumori assordanti. Poi i portatori e i mangiatori di fuoco che fanno roteare le fiamme. Inizia quindi la sfilata vera e propria: gruppi di centinaia di suonatori di tamburi e di danzatori in costume si alternano a una ottantina di elefanti bardati interamente dalla testa ai piedi con palandrane di seta e di velluto riccamente ricamati. Finché arriva l’elefante più grande, affiancato da altre due elefanti, che porta il reliquiario d’oro con il dente del Buddha, seguito dai vari dignitari, sempre negli antichi costumi. Il tutto illuminato da torce che ardono con noci di cocco.
Uno spettacolo grandioso, che tanti seguono con devozione, le mani giunte.
Certamente uno spettacolo che immette nel magico mondo orientale. Tra l’altro penso sia la più grande orchestra di tamburi del mondo.
Molto più sobria, al confronto, la cerimonia di oggi, l’ordinazione di un giovane Oblato nella cattedrale di Kandy. La cattedrale, chiesa ordinaria stile ’700, non può minimamente reggere il confronto con il tempio buddista… Le persone mostravano tuttavia la medesima devozione. Un centinaio i concelebranti, soprattutto religiosi dei più diversi ordini. Tre ore in lingua singalese… ho capito perché una volta, durante la messa in latino, si recitava il rosario…

venerdì 23 agosto 2013

Con le raccoglitrici di tè e gli incantatori di cobra

Da Bandarawela a Kandy, dal noviziato allo scolasticato, dove domani parteciperò all’ordinazione di un giovani Oblato. Un’altra giornata di viaggio nel cuore dello Sri Lanka, tra le montagne più alte, nei luoghi più belli; la vecchia guida che leggo in questi giorni lo definisce uno dei paesaggi più belli al mondo. Viene da ringraziare il Creatore: Laudato sii, o mi Signore, per tutte le sue creature.
La prima metà del viaggio mi porta a Nuwara Eliya, quella che chiamano la Svizzera dell’Est. Dopo una vita passata in Svizzera posso dire che è tutta un’altra cosa, due bellezza incomparabili. La città è a 2000 metri, sotto la più alta montagna dello Sri Lanka, Pidurutalagata, 2754 metri. Era il luogo di villeggiatura degli inglesi quando occupavano il Paese; continua ad esserlo anche adesso, con gite sul bel lago, campi da golf, escursioni con i cavalli. Qui i srilankesi possono finalmente sfoggiare un maglione, se non addirittura una giacca a vento.
Per fare una piccola passeggiata lungo il lago dobbiamo pagare il biglietto. Da queste parti non c’è l’idea della passeggiata, si cammina soltanto per muoversi da un posto all’altro, una passeggiata è quindi un bene di lusso… e bisogna pagarlo.
La strada fino a Nuwara Eliya passa tra montane che sono un autentico giardino: terrazze lavorate con cura, piantagioni intense, a piccoli fazzoletti, di verdure, coltivazione di fiori…
Da Nuwara Eliya a Kandy la discesa è molto graduale e passa tra dirupi, picchi, vallate, cascate, laghi, torrenti e fiumi... La visione più originale sono le montagne coperte di tè, una scena che non avevo mai visto. Mi fermo a guardare da vicino le donne che lavorano il gruppo alla raccolta delle foglie di tè, sotto la sorveglianza degli uomini che organizzano i lavori. Con i loro costumi tipici riportano indietro di secoli.

Accanto a quella della natura appare così un’altra bellezza, quella della natura umana. Quante persone ho incontrato oggi lungo il viaggio, soprattutto ai cigli delle strade: ragazzi con un mazzo di fiori in mano, tutto il capitale che hanno da vendere; vecchi che chiedono una foto in cambio di poche rupie; venditori di ortaggi e di frutta con le loro capannucce di frasche; l’incantatore di cobra; il ristoratore con una pentola sul fuoco… Un’umanità semplice e povera con la quale preghiamo ogni giorno: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Laudato sii, o mi Signore, per tutte le sue creature.

giovedì 22 agosto 2013

A Basulla, da Michael Rodrigo, martire




La cerimonia dei voti degli undici novizi è iniziata presto, alle 7.30, nello spiazzo dietro la casa, riparato dalle tende fornite dall’esercito. Presenti un bel gruppo di parenti e amici. Si è pregato, cantato e parlato in singalesi, tamil, urdu e inglese. Non è mancato un tocco d’italiano: il ritornello del famoso cantico di san Francesco, che nel libretto era scritto così: “Laudato sii, Omi Signore”.
Subito dopo sono disceso per una strada ripida verso la cittadina di Badulla passando per Ella, sui 1.900 metri, tra picchi, dirupi, cascate, in uno dei più belli scenari del Sri Lanka.
A Basulla la casa e la tomba di padre Michael Rodrigo, l’Oblato ucciso il 10 novembre 1987. Dopo essere stato per 20 anni professore nel seminario di Kandy, nel 1975 scelse di lavorare al “centro per la Società e la Religione” di Colombo e nel 1980 fondò proprio a Buttala un centro di dialogo cristiano-buddista. Detto così sembrerebbe chissà che opera, invece era andato ad abitare in un poverissimo villaggio interamente buddhista e con un gruppo di amici si era dato ad aiutare i contadini, a insegnare, a prendersi cura degli ammalati.
Perché dalla parte dei poveri la sua fine era segnata fin dall’inizio. Ho visto la minuscola cappellina dove gli hanno sparato, nella minuscola casa dove abitava. Gli Oblati oggi continuano la sua opera. Non posso visitare i villaggi perché sono sparsi nella foresta, senza luce, senza strade, senza istruzione…
Per p. Rodrigo il sacerdote era, come l’eucaristia, “un uomo divorato, consumato in ogni giorno della vita”. Fu ucciso proprio quando stava per terminare la messa.
Il 28 settembre del 1987, poco più di un mese prima sella sua morte, scriveva alla sorella Hilda: “La Croce non è qualcosa che noi appendiamo alla parete o che portiamo al collo. Gesù vi è stato appeso per primo... Così noi dobbiamo essere pronti a morire per la nostra gente se l’ora arriva e qualora essa arrivi. Gesù è morto a 33 anni perché si è impegnato per il suo popolo, per i poveri, per gli abbandonati, per gli oppressi”.