domenica 28 febbraio 2021

Risposta e chiamata

 


Nella grandissima chiesa dei Rogazionisti, capace di accoglierci nelle condizioni richieste della pandemia, sabato mattina Danilo Branda ha fatto la sua oblazione perpetua.

Tante volte torna il pensiero: avremo risposto alla chiamata di Gesù? Forse invece che pensare alla risposta è meglio pensare alla chiamata! Questa è la cosa più vera e più bella. È certezza.

Me lo conferma la Lettera a Diogneto: Dio “nella mitezza e nella bontà come un re ha inviato il re suo figlio, lo ha inviato come dio, come si conviene agli uomini per salvarli, per persuaderli, non per fare violenza. (…) Lo ha inviato per chiamarci, non per perseguitarci; per amarci, non per giudicarci”.

 

sabato 27 febbraio 2021

La visione e la parola

 


Tutti e tre i sinottici parlano delle vesti bianche e splendenti di Gesù nella Trasfigurazione. Matteo e Luca riferiscono anche del volto. Per Luca “cambiò aspetto”, per Matteo “brillò come il sole”. Marco non dice nulla del volto di Gesù: si ferma piuttosto alle vesti che “divennero splendenti, bianchissime”, precisando: “nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche”. Sembra di ascoltare una pubblicità di anni fa che proponeva un detersivo che lavava “così bianco, che più bianco non si può”. Per Marco il volto di Gesù sembra sparito, tanto è avvolto dalla luce.

Tutto questo splendore, accecante, è indice della bellezza di Gesù. Non a caso Pietro dice proprio: “è bello…”. È la bellezza del Risorto. Gesù parla con Mosè ed Elia proprio del suo esodo, e alla fine dirà ai tre di non raccontare niente fin quando non sarà risorto.

I tre vangeli registrano al riguardo una contraddizione. Tanta bellezza fa quasi paura, è troppo, perché lascia intravedere la grandezza di Dio. Nello stesso tempo attira, fino a far dire, ancora una volta a Pietro, che non si vorrebbe più andare via: “È bello per noi stare qui”.

Il volto di Gesù, le sue vesti, la bellezza… Verrebbe da dire, con Pietro, qui bisogna fare tre capanne e ristare a contemplare. Invece le parole del Padre cambiano registro: si passa dal vedere al sentire: “Ascoltatelo”. 

La vera bellezza di Gesù è nelle sue parole e il vero modo di stare con Gesù è obbedire alle sue parole: ascoltare e fare quello che egli dice.

Ora che è risorto e salito al cielo non possiamo più vedere la bellezza del suo volto, ma possiamo ascoltare la sua parola e vivendola ci incamminiamo anche noi verso il cielo dove lo vedremo e staremo sempre con lui.

venerdì 26 febbraio 2021

“In te s’aduna / quantunque in creatura è di bontate”



Continuiamo il nostro cammino con Maria, lungo la Divina Commedia, in questo settimo centenario della morte di Dante.

http://fabiociardi.blogspot.com/2021/02/dolce-maria.html

http://fabiociardi.blogspot.com/2021/02/la-compassione-di-maria.html

Il Purgatorio è la Cantica nella quale Maria è più presente. Le anime purganti sono raccolte nelle diverse “cornici” del monte che sale verso il cielo, divise in considerazione delle loro colpe. Ogni anima è posta davanti al proprio peccato e insieme alla virtù corrispondente che dovrà acquisire per passare in Paradiso. Il primo esempio di ogni virtù è Maria, che tutte le assomma in sé, in maniera eminente. Scorrendo ad una ad una le virtù di Maria qui descritte si potrà comprendere che davvero in lei «s’aduna / quantunque in creatura è di bontate». Ella raccoglie e sintetizza in sé tutta la bellezza e la bontà del creato.

La prima virtù evocata da Dante è l’umiltà, raffigurata nell’annunciazione, quando Maria pronuncia il suo “Ecce ancilla Dei”; ad essa guardano i superbi. Agli invidiosi Maria è modello di carità benevola: a Cana chiede a Gesù il miracolo del vino non per interessi personali, ma perché sollecita e premurosa verso gli sposi, così che nulla venga a mancare alle loro nozze: “Vinum non habent” (XIII, 29). Agli iracondi Dante propone come modello di mansuetudine ancora Maria, nel momento in cui ritrova Gesù intento a parlare con i dottori nel tempio; invece di rimproverarlo le pone davanti con dolcezza il proprio dolore e quello di Giuseppe per la sua comparsa: «Ecco, dolenti, lo tuo padre e io / ti cercavamo» (XV, 91-92).

Nella quarta cornice gli ignavi ascoltano le parole del Vangelo che richiamano la sollecitudine e la prontezza con cui la Vergine sale da Elisabetta: «Maria corse con fretta a la montagna» (XVIII, 10). Alla cupidigia degli avari e allo sciupio dei prodighi – quinta cornice – viene contrapposta la serena accettazione della povertà nella grotta di Betlemme: «Dolce Maria! / (…)  Povera fosti tanto, / quanto veder si può per quello ospizio / dove sponesti il tuo portato santo» (XX, 19-24). Con i golosi si torna alla scena evangelica di Cana, dove Maria è esempio di temperanza, mossa non dal desiderio di soddisfare il suo bisogno di cibo, ma di una festa onorevole e piena per gli sposi: «Più pensava Maria onde / fosser le nozze orrevoli e intere / ch’a la sua bocca» (XXII, 142-144). Nella settima e ultima corniche i lussuriosi gridano le parole con le quali Maria, rispondendo all’angelo, attesta la sua verginità: “Virum non cognosco” (XXV, 128).

Non mancano altri esempi di virtù lungo le varie cornici, tuttavia Maria le vive tutte ed in maniera eminente, secondo l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino che Dante conosceva bene: ella «esercitò ogni specie di virtù, mentre gli altri santi solo alcune speciali: chi l’umiltà, chi la castità, chi la misericordia, sicché ciascuno viene proposto come esempio di una particolare virtù… la Beata vergine invece viene portata come esempio di tutte le virtù». Ancora una volta appare la verità delle parole di Bernardo: «in te s’aduna / quantunque in creatura è di bontate».

Ella è l’esempio, più ancora, la forma del vivere cristiano, perché «faccia che a Cristo più si somiglia», come dirà Bernardo invitando Dante a fissare il suo volto (Paradiso XXXII, 85-99). Soltanto guardando Maria il Poeta può disporsi alla visione di Cristo, così come le anime sante del Purgatorio hanno acceso al Paradiso soltanto quando sono rivestite delle virtù che adornano Maria.

 

giovedì 25 febbraio 2021

Igino Giordani in coreano

 


Hye (Colomba) Kim mi ha mandato una copia del suo libro in coreano, appena pubblicato a Seoul: Fuoco ardente. La divina avventura di Igino Giordani. Ne traccia il profilo e, nel terzo capitolo, va alla radice della sua santità, puntando l’attenzione sui momenti più bui della sua vita e sul suo risorgere.

Nell’introduzione scrive: “Ho intrapreso l’avventura di scrivere un libro su una persona che non ho conosciuto personalmente, ma la provvidenza di Dio mi ha condotto in modo tale che c’è un “filo d’oro” che ci lega ormai da tanti anni, ed è diventato un compagno di viaggio inseparabile. (…)Nell’aprile del 1980, quando Giordani ha concluso la sua vita terrena, ero in Corea, avevo appena 21. Ho studiato teologia e dovevo fare una tesi di specializzazione in morale. (…)  Ho visto nella vita di Giordani e nel suo libro Maria modello perfetto, l’oggetto della mia tesi: Igino Giordani: “Maria modello” e la sua “imitazione” nella vita morale. (…) Dovendo fare il dottorato ho voluto continuare ad approfondire la figura di Giordani, così ho concluso la mia ricerca dottorale con il titolo: Il matrimonio, via di santità e la famiglia piccola chiesa, comunità d’amore in Igino giordani. Nel frattempo nel 2004, era iniziato ufficialmente il processo della sua causa di beatificazione, sono stata richiamata a far parte della Commissione storica. (…) Da quel momento Foco è diventato in un certo modo la “causa” della mia vita sia per lo studio, sia per il lavoro. (…) Questo piccolo libro è rivolto a tutte le persone che si sono imbattute nel Carisma dell’unità e che vogliono andare avanti nonostante tutte le difficoltà quotidiane”.


Tra le testimonianze riportate nel libro da Colomba noto con sorpresa anche un mio bigliettino a Igino Giordani e una lettera di p. Nicola:

“Padre Fabio Ciardi, già responsabile dei religiosi, attuale responsabile della Scuola Abbà, scrive a Giordani dopo aver partecipato al congresso dei gen-re (giovani novizi aderenti alla spiritualità dell’unità), ringraziando per la nuova comprensione avvenuta nella sua anima.

Ci siamo visti tante volte al Centro Mariapoli.  Prima della mia ordinazione ho avuto la gioia di stare una mezz’ora con te, nel tuo focolare.  Ma fino ad ora non ti avevo mai scritto.  Lo faccio adesso, perché oggi mi pare di avere scoperto un po’ di più: il tuo disegno e il mio rapporto con te. Come andiamo al Padre nello Spirito Santo, così oggi ho sentito che vado a Chiara in te. È tutto qui e non voglio sciuparlo con altre parole.  Voglio solo ringraziarti per aver seguito questa vergine.  Dietro a te ci sono anch’io.  Nel tuo patto d’unità con lei ci sono anch’io. Un’anima sola, l’Anima, un corpo solo, quello provocato dall’Eucaristia. (Lettera del 26 agosto 1977)

Un novizio della famiglia degli Oblati di Maria, ringrazia Giordani per l’incontro avuto con lui e gli comunica la sua esperienza.

Subito voglio dirti che quella mezz’ora circa passata insieme è stata per me un momento di Dio che mi ha fatto scoprire ancora di più la grandezza e la bellezza della tua anima.  Ho potuto constatare la tua “giovinezza” per cui irradiavi freschezza di vita evangelica ed ecclesiale. Perciò, per prima cosa sento di ringraziarti, non solo per il tuo necessario aiuto per la tesi, ma anche e soprattutto per quello che rappresenti per la Chiesa e per l’umanità di oggi. Anche tu come Chiara sei stato fedele al disegno di Dio, portando avanti l’Opera sua. E questa fedeltà è una forza per noi giovani che vogliamo donare la vita per quel mondo nuovo che è la realizzazione del testamento di Gesù.”

mercoledì 24 febbraio 2021

Cent’AMMI


Cent’AMMI ? Non sarà uno dei miei soliti refusi per “cent’anni”? No. Il libro di Marina Falcone si intitola proprio Cent’AMMI, perché cento sono gli anni dell’AMMI italiana.

Ho letto d’un fiato il libro nel quale Marina racconta la storia dell’Associazione Missionaria Maria Immacolata (AMMI) in Italia, in occasione del primo centenario dalla sua fondazione. Il racconto è affascinante. Passano davanti uomini, donne, giovani che si sono rimasti incantati dal carisma di sant’Eugenio e si sono lasciati trascinare da esso, condividendo il cammino degli Oblati, divenendo laici oblati, o oblati laici, non importa dove cade l’accento: pienamene Oblati, pienamente laici! Rispondono con generosità all’appello di sant’Eugenio “In nome di Dio, siate santi”, facendo proprio questo l’obiettivo, senza mezze misure. Una santità vissuta nel quotidiano, nelle scelte difficili in famiglia, sul lavoro, nell’ambito ecclesiale, nella convinzione che il sacerdozio che nasce dalla vocazione battesimale si esercita nel vivere e testimoniare il del Vangelo nelle realtà sociali, umane, là dove ognuno si trova inserito. Rispondono alla chiamata esigente della missione, a fianco degli Oblati. Alcuni li seguono all’estero, in contesti difficili, quasi tutti gli altri rimangono nel proprio ambiente. Che vocazione grande e totalitaria!

Non si tratta soltanto di progetti, idee, parole. La seconda parte del libro è un susseguirsi di testimonianze sincere, personali e di gruppo, da tutta Italia, che mostrano la concretezza di una vita donata e di come la partecipazione autentica a un carisma è capace di dare pienezza alla vita. Che la proposta dell’AMMI sia anche, o prima di tutto, un cammino di santità lo mostrano pure i brevi ed efficaci profili di quanti sono già partiti per il cielo: il libro ne presenta sei soltanto, ma potremmo enumerarne molti altri. Il libro raccoglie anche le testimonianze dei presidenti dell’Associazione e degli assistenti, ad ulteriore conferma che l’AMMI è un corpo concreto, vivo, con volti concreti.

La prima parte ripercorre le tappe della storia centenaria dell’Associazione, nonché della sua “preistoria”, che risale a sant’Eugenio stesso, soffermandosi soprattutto sul percorso compiuto in Italia, a partire dal 1° maggio 1921, quando il Superiore Generale, p. Dontenwill, stabilisce a Napoli la sede dell’Associazione per l’Italia.

Dopo aver tracciato le finalità e le linee della spiritualità dell’AMMI, Marina segue in maniera dettagliata il cammino che si snoda a partire dal convegno di Collevalenza, nel 1991, che ha segnato l’inizio di una nuova tappa, fino alla realtà di oggi.

Un racconto appassionante, partecipato dall’Autrice, come quando, introducendo le varie esperienza degli associati, offre, in filigrana, la propria esperienza, definendoli: “Uomini e donne, padri e madri che cercano di incarnare nel quotidiano il dono ricevuto; e il quotidiano di un laico, se non consideriamo quello ecclesiale, è costituito dalla famiglia, dal lavoro, dall’impegno nel sociale”.

Verso la fine del libro leggo: “Oggi l’Ammi italiana conta 11 comunità sparse per l’Italia da nord a sud. Gli associati sono attualmente 264 ma in tutte le comunità sono presenti anche numerose persone che seguono il cammino formativo offerto dalla comunità e ne condividono i momenti di comunione, gli impegni pastorali e tutti gli eventi organizzati”. 264 persone? Leggendo il libro mi era sembrato di camminare assieme ad un esercito sterminato, tanto sono alti gli ideali, coinvolgenti i progetti, commoventi le storie… Ma è vero che per rendere saporosa una vivanda basta un po’ di sale e un pugnetto di lievito fa fermentare tutta la pasta.

Cent’anni – Cent’AMMI ! – che spingono in avanti e lasciano intravedere sviluppi nuovi per il carisma di sant’Eugenio condiviso come realtà comune da laici e consacrati.

martedì 23 febbraio 2021

Quando avevo i capelli...



Raffaele Grasso, calvo come un uovo, amava ripetere: "Il fascino dell'uomo calvo...". Chissà... in ogni caso, almeno io, una volta avevo i capelli. Me lo ricorda Renzo Andrich che oggi mi manda una foto, tratta dall'albo di famiglia, che lo ritrae, ragazzino, insieme a noi più grandi (per chi non mi riconosce, sono il primo seduto in basso a sinistra). 

Indimenticabili quei giorni - luglio 1970 - passati a Vallada sulle Dolomiti...

Grazie Renzo e grazie a tuo fratello Orazio, lì seduto accanto a me, che ci ha accompagnato tante volte in cordata sulle cime... Ormai di quella allegra brigata siamo rimasti soltanto noi tre. Gli altri ci guardano con affetto da altre cime. 


lunedì 22 febbraio 2021

Andrea Riccardi e i martiri oblati di Spagna

 


Il volume di Andrea Riccardi, Il secolo del martirio. I cristiani nel Novecento, ha fatto conoscere al grande pubblico le tragiche e capillari persecuzioni dei cristiani nel secolo scorso. 

Mi sarebbe piaciuto che il fondatore di Sant’Egidio mettesse la sua competenza storica a servizio anche degli Oblati, come aveva già fatto introducendo l’antologia di padre Marcello Zago. Per questo lo avevo invitato a partecipare al convegno sui martiri oblati di Spagna, che abbiamo tenuto a Pozuelo due anni fa. Non poté venire, in ogni caso qualche mese fa gli ho fatto omaggio degli atti di quel convegno. 

L’ho incontrato di nuovo pochi giorni fa e questa volta ho potuto donargli (assieme all'ultimo numero di "Oblatio") la biografia dei martiri oblati di Spagna che ho avuto la gioia di pubblicazione nella collezione “Oblatio studia”. Mi ha subito detto che il volume degli atti lo aveva già citato in una sua recente opera, poi ha scorso con calma e attenzione l’indice della voluminosa biografia. Adesso è in buone mani, e la farà certamente fruttare.

domenica 21 febbraio 2021

Le COMI compiono 70 anni

 

Il 25 gennaio 1948 il nuovo e dinamico Superiore generale degli Oblati, p. Léo Deschâtelets, scrisse una Lettera circolare sul «prolungamento della nostra Congregazione tra i fedeli», sui laici chiamati a diventare «gli apostoli ausiliari dei missionari oblati».

Pochi giorni dopo padre Gaetano Liuzzo arrivava a Firenze come Direttore nazionale dell’Associazione Missionaria dei laici legati agli Oblati, considerandoli “Oblati in veste secolare”: stavano per lasciare le “Sorelle Oblate” che, passando attraverso varie denominazioni, diventeranno le Cooperatrici Missionarie di Maria Immacolata, le COMI.

La nascita dell’Istituto secolare viene tradizionalmente datata 22 agosto 1951, giorno in cui 18 delle 23 Sorelle Oblate, a conclusione del secondo convegno AMMI, fecero la loro consacrazione a Maria nella chiesa della Santissima Annunziata a Firenze.

Nell’Archivio generale degli Oblati ho trovato una ventina di documenti di quel periodo. Ho pensato fosse utile renderli di pubblico dominio per comprendere lo spirito che animava il gruppo alle sue origini. Alla trascrizione di quei documenti ho premesso una breve introduzione, per facilitare la collocazione storica e la loro lettura, senza la pretesa di delineare la storia dell’Istituto.

Ho così potuto offrire un libretto in occasione del convegno che si è tenuto in questi due giorni per celebrare i 70 anni della fondazione dell’Istituto e i 20 anni dell’approvazione pontificia.

Due giorni ricchissimi di testimonianze che hanno mostrato il profondo legame con gli Oblati, il profondo radicamento evangelico delle COMI, la loro fortissima passione missionaria.

Il 22 agosto 1951 e la città di Firenze, scriverà p. Liuzzo, «sono la data e il luogo “teologico” della nascita dell’Istituto, con un proprio carisma che è la prima irradiazione in Italia del carisma oblato tra i laici. Nasceva il “piccolo incendio” ed era incendio “mariano”. Gloria a Dio che lo ha ispirato e voluto… La storia mostrerà che era un progetto profetico, ispirato da Dio».

sabato 20 febbraio 2021

Scacciato nel deserto, nel deserto rimase


 

Nella lettura liturgica anche questa domenica il vangelo inizia con il laconico “In quel tempo…”, privando così il testo della parola originaria con la quale inizia la frase: “E subito…”. Non è un tempo generico, “in quel tempo…”, ma un momento ben preciso, proprio quello successivo alla proclamazione da parte del Padre: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”. “E subito lo Spirito lo spinse nel deserto”. A Gesù non è dato neppure un momento per godere di quello che si è appena sentito dire dal Padre, che “subito…”.

Anche l’azione dello Spirito che “sospinse” (quanta dolcezza nel verbo di questa traduzione) nel deserto Gesù tradisce l’originale greco, dove viene usata la stessa terribile parola che descrive l’azione che Gesù compie nei confronti del diavolo: “scacciare”. Gesù è “scacciato” dallo Spirito Santo nel deserto, buttato quasi in braccia al diavolo. 

Lo Spirito Santo da una parte, il diavolo dall'altra. E in mezzo Gesù, solo, nel deserto. Occorre scegliere da che parte stare: seguire i suggerimenti dello Spirito o quelli di Satana, pensare come Dio e fare la volontà del Padre che prevede un messianismo di servizio e di morte o lasciarsi andare ad una vita più facile a cui arride il successo.

Anche noi così: lo Spirito da una parte il diavolo dall'altra. Chi ascoltare? Quale voce seguire?

La parola “deserto”, nel racconto d’una sola frase, ricorre ben due volte: “scacciato nel deserto e nel deserto rimase”. Gesù non fugge, accetta fino in fondo la situazione del deserto.

Il deserto: luogo di tentazione. Gesù vi rimane quaranta giorni, quasi a ripercorre il cammino di una vita, il cammino di Adamo, il cammino del popolo di Dio. Si sottopone alla prova, come ricorda anche la Lettera agli ebrei (2, 18; 4, 15), e a differenza di Adamo e del popolo di Dio ne esce vincitore. La frase inizia con lo Spirito che scaraventa Gesù nel deserto e termina con Satana che lo tenta. È la grande battaglia tra il bene e il male: l’umanità perde, Gesù, umanità nuova, vince. Lo Spirito è più forte di Satana. Gesù è tutto noi e in lui – lui in noi – possiamo gridare vittoria.

Il deserto: luogo dell’intimità con Dio. “La sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”, dice Dio al suo popolo-sposa (Osea 2, 16). Il deserto, grazie alla presenza di Gesù, che “rimase” in esso, condividendo fino in fondo le nostre prove, diventa un paradiso terrestre: egli sta tranquillamente con le bestie che non sono più feroci e con gli angeli che lo servono. Il giardino dell’Eden, grazie al peccato di Adamo, si trasformò in deserto; adesso il deserto torna ad essere un giardino. Gesù, superando la prova, inaugura i cieli nuova e la terra nuova: è la nuova creazione.

Chissà che questo Vangelo non getti un po’ di luce nella situazione tragica creatasi con la pandemia. Non so se è proprio lo Spirito che ci ha condotti in questo “deserto”, certo che anche in questo ci sarà una Provvidenza, la presenza di Colui che sa trarre il bene dal male. Forse anche noi, se sappiamo “rimanere” in questo deserto e vincere la logica di Satana entrando nel pensiero di Dio e cogliendo in tutto il suo disegno d’amore, potremo ritrovare un rapporto nuovo con la natura (le bestie selvatiche) e con la sopra natura (gli angeli), aprendoci a un mondo più giusto e più vero.

venerdì 19 febbraio 2021

Chiara Lubich: Oltre il 900


 

Che visione ampia! In due giorni mi si è aperto davanti il Novecento, il “secolo breve”, che non mi è apparso per niente breve, piuttosto ricchissimo di iniziative e di lanci ideali, travagliato e creativo, propositivo e audace, non chiuso in se stesso ma aperto in un “oltre”, promessa di futuro. Indovinato dunque il titolo: “Oltre il 900”, per parlare di “Chiara Lubich in dialogo con il nostro tempo”.

Un convegno che chiude il centenario della nascita della fondatrice del Movimento dei Focolari e che si è tenuto in un luogo prestigioso, degno di una donna che è stata anche feconda scrittrice: la Biblioteca nazionale di Roma. Un convegno che ha ottenuto l’alto riconoscimento del Presidente della Repubblica che le ha conferito la sua Medaglia.

Sui canali tematici come YouTube e quelli d’informazione si può ormai trovare tutto su questo convegno, sugli ambiti storici, letterari, sociopolitici che l’hanno caratterizzato, in un dialogo planetario, svoltosi in via telematica.


Quello che personalmente mi ha più impressionato è vedere quanto questa donna semplice e riservata si è calata nel suo tempo, le affinità con i suoi contemporanei. Sorprendenti i saggi di confronto con Bonhoeffer, Cristiana Campo, Simone Weil, La Pira, ma anche Gandhi, Luther King, Gorbaciov… Non c’è stato bisogno che queste persone si siano incontrare tra di loro. C’è come una osmosi, il respiro di un’aria comune, la tensione dialogica tra fenomeni omogenei o divergenti, la capacità di interpretare il sentire di un’epoca.

Mai come in questo convegno ha visto Chiara Lubich così aderente al suo tempo, capace di far proprie le passioni più profonde che l'hanno attraversato, di dare voce alle istanze più varie, letterarie, spirituali, sociali, politiche… Eppure non ha fatto studi speciali, non si è trovata nei luoghi strategici in cui si elaborava e manovrava la storia. Dove ha trovato la capacità di lettura del mondo nel quale viveva, di esprimerne le esigenze più profonde, e soprattutto di aprire vie di risposta?

La sua è stata indubbiamente una visione dall’Alto. Una luce l’ha investita e le ha dato luce per vedere. E l'amore! E' amando che si è trovata coinvolta pienamente nella vita dell'umanità. È stata infiammata da un carisma, che le ha infuso la forza propositiva e attuatrice. Per questo la sua proposta è profetica, si protrae “Oltre il 900” e la fa abitare tra noi che continua ad accompagnare con la sua luce e la sua forza.

giovedì 18 febbraio 2021

Cottolengo: la carità in atto


2 settembre 1827. Don Giuseppe Benedetto Cottolengo ha 41 anni ed è un bravo prete, come tanti. Ma quel giorno succede un fatto particolare che gli cambiò la vita. Una donna sta per morire, ha con sé tre bambini ed è in attesa del quarto. Non è stata accolta in nessun ospedale di Torino perché non aveva le carte in regola. Don Giuseppe Benedetto se la vede morire davanti tra la disperazione del marito e dei figli.

Decide allora di dare inizio a una piccola infermeria per evitare il ripetersi di casi simili. In un alloggio preso in affitto in via Palazzo di Città ricovera ammalati che non trovano accoglienza negli ospedali cittadini. Inizia così la grande avventura del Cottolengo…

Scusate, ma non avevamo detto che avrei parlato dei santi della carità di oggi? Qui torniamo indietro di 100 anni. No, no, non parleremo di una storia di 100 anni fa, ma di cosa sono oggi le cittadelle del Cottolengo. Sì, proprio la carità oggi!!! E lo faremo con tre testimoni d’eccezione…


Scusate, ma non avevamo detto che avrei parlato dei santi della carità di oggi? Qui torniamo indietro di 100 anni. No, no, non parleremo di una storia di 100 anni fa, ma di cosa sono oggi le cittadelle del Cottolengo. Sì, proprio la carità oggi!!! E lo faremo con tre testimoni d’eccezione…


Entra nella riunione in Zoom - 19 febbraio, ore 21.00:


https://us02web.zoom.us/j/87565214022?pwd=S2Vxb2Z5Z2NhMnltUHYyd0x5TVlKdz09


ID riunione: 875 6521 4022  -  Passcode: 040251

mercoledì 17 febbraio 2021

“In te s’aduna quantunque in creatura è di bontate”


All'inizio della Quaresima Dante ci invita a guardare a Maria come modello di tutte le virtù.

Il Purgatorio, la Cantica della Divina Commedia nella quale ella è più presente. Le anime purganti sono raccolto nelle diverse “cornici” del monte che sale verso il cielo, divisi in considerazione delle loro colpe. Ogni anima è posta davanti al proprio peccato e insieme alla virtù corrispondente che dovrà acquisire per passare in Paradiso. Il primo esempio di ogni virtù è Maria, che tutte le assomma in sé, in maniera eminente. Lungo il Purgatorio sono così già disseminati i tratti della Vergine che san Bernardo raccoglierà, come in un mazzo di fiori, nell’ultimo canto del Paradiso.

La prima virtù è l’umiltà, raffigurata nell’annunciazione, quando Maria pronuncia il suo “Ecce ancilla Dei”. Agli invidiosi è modello di carità benevola: a Cana chiede a Gesù il miracolo del vino non per interessi personali, ma perché sollecita e premurosa verso gli sposi. Agli iracondi Dante propone come modello di mansuetudine ancora Maria, nel momento in cui ritrova Gesù intento a parlare con i dottori nel tempio; invece di rimproverarlo le pone davanti con dolcezza il proprio dolore e quello di Giuseppe per la sua comparsa. Gli ignavi, accidiosi, tiepidi e tardi nel compiere il bene, ascoltano le parole del Vangelo che richiamano la sollecitudine e la prontezza con cui la Vergine sale da Elisabetta: «Maria corse con fretta a la montagna» (XVIII, 10). Alla cupidigia degli avari e allo sciupio dei prodighi viene contrapposta la serena accettazione della povertà nella grotta di Betlemme. Con i golosi si torna alla scena evangelica di Cana, dove Maria è esempio di temperanza, mossa non dal desiderio di soddisfare il suo bisogno di cibo, ma di una festa onorevole e piena per gli sposi: «Più pensava Maria onde / fosser le nozze orrevoli e intere / ch’a la sua bocca» (XXII, 142-144). I lussuriosi gridano le parole con le quali Maria, rispondendo all’angelo, attesta la sua verginità: «Virum non cognosco» (XXV, 128).

Soltanto scorrendo ad una ad una le virtù di Maria qui descritte si potrà comprendere che davvero in lei «s’aduna / quantunque è di bontade». Ella raccoglie e sintetizza in sé tutta la bellezza e la bontà del creato.

Paolo VI ha scritto una esortazione apostolica «Sulla necessità di venerare e imitare la Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa ed esempio di tutte le virtù»: «È, quindi, dovere di tutti i cristiani di imitare con animo riverente gli esempi di bontà lasciati ad essi dalla loro celeste Madre. (…) l’imitazione della Vergine Maria, lungi dal distrarre gli animi dalla fedele sequela di Cristo, rende questa più amabile, più facile. (…) Vale, perciò, anche dell'imitazione di Cristo la norma generale: A Gesù per Maria».

 

martedì 16 febbraio 2021

"Ritorno alla normalità": quale?

 


Grande dibattito: “ritorno alla normalità”, arrivo di una “nuova normalità”… Louis Lougen, il superiore generale degli Oblati, in una lettera a tutta la Congregazione si è chiesto se per caso anche noi siamo coinvolti in questo dibattito.

Infine si è così espresso: «Questo dibattito non tiene conto della realtà, perché la maggior parte delle persone nel mondo non ha mai sperimentato il concetto di "normalità" di cui stiamo parlando. Le persone con cui lavoriamo in tutto il mondo vivono senza acqua, senza il minimo necessario, senza cure mediche, ecc. La pandemia deve aprire gli occhi del mondo a questa grande ingiustizia: la maggior parte delle persone sulla terra non ha mai vissuto una vita cosiddetta “normale”».

Ieri, prima che mi arrivasse la lettera di p. Louis, scrivevo sul blog che non dobbiamo “aspettare che passi”, ma vivere il presente. Adesso questa lettera mi invita a guardarmi attorno. Sarà il modo migliore per vivere la Quaresima.

lunedì 15 febbraio 2021

Non aspettiamo che passi...

 


Ab immemorabili questo è il primo anno che il 15 febbraio non andiamo nella chiesa di santa Maria in Campitelli per celebrare l’anniversario di quando, in quel giorno del 1826, sant’Eugenio passò la mattinata in chiesa a pregare per l’approvazione della sua Regola che era in discussione nel palazzo di fronte.

https://fabiociardi.blogspot.com/2014/02/la-forza-unificante-della-memoria.html

Quante consuetudini cambiano con il Covid… Il guaio sarebbe se aspettassimo che passi. Certo, speriamo che passi, ma intanto… Intanto per vivere non possiamo aspettare che passi. Faremo altro, faremo diversamente, ma dobbiamo continuare a vivere, non come prima, ma meglio di prima. Con nuova creatività, con fantasia, con fiducia.

Auguri!

domenica 14 febbraio 2021

La predica di san Francesco


Sono entrato nella cella di san Francesco, dove il santo abitava quando veniva a Roma, ospite di Jacopa dei Settesoli. Ora è trasformata in cappella, così come la cella di san Domenico sull’Aventino, quella di San Giovanni di Matha al Celio, solo per rimanere ai contemporanei. La pala dell’altare è il famoso ritratto di san Francesco di Margheritone d’Arezzo, del XIII secolo. È un luogo santo… si sente.


Davanti alla chiesa, san Francesco a Ripa, la strada conduce dritta fino alla basilica di santa Maria in Trastevere. La percorro con fra Alessandro recitando insieme il rosario. Un rosario con molte interruzioni perché la gente saluta, scambia una parola… Metà rosario all’andata, sosta davanti all’immagine di santa Maria, metà rosario al ritorno.


“Abbiamo fatto la predica di san Francesco”, mi dice Alessandro, ricordando quando il santo chiese al suo compagno di andare con lui a fare la predica in città e tornarono senza aver detto una parola: erano loro la predica!

sabato 13 febbraio 2021

Se vuoi! Lo voglio!

 


“Se vuoi puoi purificarmi!”

“Lo voglio, sii purificato!”

Mi colpisce la simmetria di questo dialogo secco, essenziale, senza retorica, nello stile di Marco.

Una domanda chiara. Una risposta altrettanto chiara. 

Perché abbiamo complicato il rapporto con Dio quando invece basta guardarsi negli occhi e dire le cose come sono, con semplicità, con fiducia reciproca?

venerdì 12 febbraio 2021

La compassione di Maria


Cos’è quella “selva oscura” nella quale Dante si ritrova nel bel mezzo della sua vita?

Quante interpretazioni lungo la storia! Fino all’ultima, recentissima, che prende le mosse da un commento al Pentateuco redatto dal monaco alto-medievale, Bruno di Segni, che parla della difficoltà nel commento al libro dell’Esodo, riuscito grazie all’aiuto di Dio “che fino a qui mi ha guidato sulla via dritta, come credo, per questa selva oscura assai fitta”; una selva che definisce “aspra” e “amara”.

Dante, nella lettera XIII nella quale dedica a Cangrande della Scala la Cantica del Paradiso, spiega qual è il fine della sua Commedia. Esso “consiste nell'allontanare quelli che vivono questa vita dallo stato di miseria e condurli a uno stato di felicità”. È l’itinerario di Dante e insieme quello di tutta l’umanità dalla miseria – la selva oscura – alla felicità: la dimora nella Trinità. È per questo che chiama la sua opera “commedia”, perché a differenza della tragedia “inizia dalla narrazione di situazioni difficili, ma la sua materia finisce bene. (…) all'inizio essa è paurosa e fetida perché tratta dell'Inferno, ma ha una fine buona, desiderabile e gradita, perché tratta del Paradiso”. Sembra di ascoltare l’Itinerarium mentis in Deum di Bonaventura, che il poeta conosceva bene.

Dante, e con lui tutta l’umanità, all’inizio della sua “commedia”, si trova quindi in una situazione di peccato, di buio, di decadenza morale e di errore, ed è incapace di uscirne perché la strada sbarrata da “impedimento”. Ed ecco Maria, la “donna gentil”, che escogita un piano per salvare l’uomo. Un piano molto articolato, fatto di mediazioni: parla con Lucia, che a sua volta parla con Beatrice, che a sua volta parla con Virgilio che si precipita nella selva oscura dalla quale trae Dante a salvezza “per lo cammino alto e silvestro” (Inferno, II).

Vergilio è mosso da Beatrice e questa da Lucia e questa dalla Vergine Maria. Ma Maria da chi è mossa? Forse che Dante ha gridato a lei la sua condizione, l’ha invocata? Il testo dice semplicemente che ella “si compiange” della situazione nella quale si trova il poeta, ossia prova compassione e dolore.

È davvero la “Madre della misericordia”. Non ha bisogno di essere pregata. La nostra condizione di sofferenza è già sufficiente perché si senta attratta e si operi per farci uscire dalle nostre selve oscure. È l’amore materno per noi suoi figli che la muove. Alla fine della Commedia Dante spiegherà perché Maria interviene fin dal principio. Lo farà dire a Bernardo:

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia…”

Non c’è bisogno di pregarla: soccorre “liberamente”, di sua iniziativa, proprio per la “benignità”, per la “misericordia” che è in lei. Ecco perché è possibile il cammino fino alla “felicità”. La Commedia di Dante continua con noi.

giovedì 11 febbraio 2021

Dolce Maria


 

“Donna è gentil nel ciel che si compiange
di questo impedimento…” (Inferno, II, 94-95).

Li occhi da Dio diletti e venerati…
… all’etterno lume si drizzaro” (Paradiso, XXXIII, 40.43)

Maria all’inizio e alla fine della Divina Commedia. Fa quasi da inclusione, come per accompagnare il cammino di Dante e dell’umanità intera dallo smarrimento al pieno ritrovamento, dal peccato alla santità, dalla terra al cielo.

In questo giorno dedicato a Maria – e anno centenario del poeta – inizio a cercare il suo nome nel poema di Dante.

Quanti i titoli che le rivolge! Più tra tutti mi piace il nome, Maria, nome che nell’Inferno non viene mai pronunciato, e come lo potrebbe, e che troviamo ripetuto in Purgatorio e in Paradiso. Mi piace soprattutto quando è rivolto direttamente a lei, chiamandola proprio per nome.

Maria è l’ultima parola che pronuncia Bonconte da Montefeltro morendo nella battaglia di Campaldino: “Quivi perdei la vita, e la parola / nel nome di Maria fini’…” (Purgatorio, V, 100-101). È bello morire con questo nome sulle labbra…

“Dolce Maria”, mormora Ugo Capeto nel XX canto del Purgatorio, con chiaro riferimento alla chiusura del Salve Regina: “O dulcis Virgo Maria”. Naturalmente a me piace quel dolce direttamente legato a Maria, senza la mediazione del Vergine, perché mi ricorda Eugenio de Mazenod – che non ha letto la Divina Commedia – quando nella sua Regola invita gli Oblati ad avere una particolare devozione per la “Dolce Maria”.

In Paradiso Piccarda Donati si rivolge ancora alla Vergine chiamandola per nome e intona l’Ave Maria (III, 121-122).

Come non ricordare l’invocazione di Bernardo, Respice stella? In ogni difficoltà invita a invocare Maria: 

Se insorgeranno i venti delle tentazioni
se incorrerai negli scogli delle tribolazioni
guarda la stella invoca Maria…
nell'abisso della disperazione
pensa a Maria…

Nei pericoli, nelle angustie, nelle cose dubbie
pensa a Maria, invoca Maria.

Sarà proprio Bernardo a rivolgere la preghiera a Maria al termine del Paradiso.

mercoledì 10 febbraio 2021

Padre Santino e Igino Giordani

 

Dopo Madre Teresa, ecco una lettera di Igino Giordani in occasione dei 25° di professione religiosa di p. Santino. Tra santi ci si intende… Ed è bello ascoltare da un servo di Dio di tale calibro, nella festa della Madonna di Lourdes, l'affermazione che siamo un po' tutti oblati di Maria.

7.X.1977

Carissimo Santino,

la tua lettera mi commuove. Te ne ringrazio assai. Ti ho telefonato per farti le congratulazioni a tempo; ma non ti hanno trovato.

Puoi pensare con quanto affetto io partecipi alla tua gioia per la ricorrenza del 25mo della tua professione religiosa. Hai fatto una bella offerta, e hai ragione di ringraziare Dio. Io lo ringrazio per te e con te, dopo che Egli ci ha legati in questa divina solidarietà e comunione.

In essa cresciamo. Spero in una preghiera tua al Signore per me, per esser degno di convivere con tali anime, quali la tua, che dà così bell’impulso giovanile all’opera degli oblati di Maria… Siamo un po’ tutti oblati della Vergine: ma tu e i tuoi ci insegnate la via.

Auguri dunque di core e un abbraccio in G.A.

Tuo

Foco

martedì 9 febbraio 2021

Primerear


Primerearuno dei tanti neologismi di papa Francesco. Una parola del “porteño”, di chi vive sul porto di Buenos Aires, e che si fa largo per arrivare sempre primo, ad ogni costo, anche quando occorre pestare i piedi agli altri. Non è proprio sinonimo di lealtà, ma al Papa torna utile, durante la Veglia di Pentecoste con i Movimenti, il 18 maggio 2013, per ricordare che anche Dio prende l’iniziativa sempre e comunque: «quando noi andiamo verso di Lui, Lui ci sta già aspettando. Lui è già lì e, userò un’espressione che usiamo in Argentina: il Signor ci “primerea”, ci anticipa, ci sta aspettando: pecchi e lui ti sta aspettando per perdonarti. Lui ci aspetta per accoglierci, per darci il suo amore, e ogni volta la fede cresce».

Perché non imparare da Dio? Ripropone dunque la parola pochi mesi più tardi nell’Evangelii gaudium: «La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano. “Primerear – prendere l’iniziativa”». È l’invito a fare il primo passo, ad accorciare le distanze senza paura, ad andare incontro all’altro anche quando costa. Per il cristiano “primeggiare” è collocare l’altro al primo posto, e mettersi a suo servizio con creatività e fantasia.

Chiara Lubich aveva sintetizzato l’“arte di amare” in tre parole: “amare per primi, amare tutti, amare sempre”, e proprio il primo passo è «forse il più impegnativo di tutti», perché mette alla prova l’autenticità e la purezza dell’amore, prende l’iniziativa e non aspetta che l’altro faccia il primo passo: «Lanciarsi sempre ad amare per primi. Che vita meravigliosa!».

lunedì 8 febbraio 2021

Padre Santino e Madre Teresa di Calcutta



Tra le carte di p. Santino vi è un dossier voluminosissimo riguardante il Sinodo sulla vita consacrata del 1994 a cui egli aveva partecipato. I documenti sono raccolti e annotati con cura, infittiti da schede, fogli, intere pagine vergate a mano… Credo che abbia offerto un contributo notevole ai lavori, soprattutto nei circoli minori. 

Durante le sessioni nell’Aula del Sinodo il suo posto era a fianco di Madre Teresa di Calcutta. Ne era orgoglioso. Gli piaceva parlare con lei. C’è una bella foto che li ritrae seduti accanto.

Del Sinodo p. Santino ha conservato anche alcuni piccoli ricordi, come la croce che Giovanni Paolo II regalò a tutti i partecipanti, e soprattutto un biglietto che fece scrivere a Madre Teresa per i novizi che avevano pronunciato i voti in quei giorni:

“Amore. Roma 8/10/94

Custodite la gioia di avere Gesù nei vostri cuori e condividete questa gioia con tutti quelli che incontrare, specialmente la vostra comunità.”

Le chiese anche di lasciargli una dedica sulla prima pagina del Messaggio finale del Sinodo (Nuntius):

“Sii solo tutto per Gesù attraverso Maria. Dio ti benedica. M. Teresa m.c. Sinodo, 28.X.1994”.

domenica 7 febbraio 2021

Passaggio del testimone

 


“Ut omnes unum sint”. È il desiderio ultimo di Gesù che Chiara Lubich ha raccolto e fatto proprio. Esso continua ad essere il nostro sogno: anche noi viviamo per l’unità e la fraternità universale. È un ideale esigente, per il quale Gesù ha dato la vita, fino al grido dell’abbandono. Quel grido ha trovato eco nel cuore di Chiara, decisa ad andare per il mondo cercando in ogni attimo della sua vita colui che era diventato il suo Sposo, l’unico grande amore, e che ritrovava nei volti di quanti sono soli e sofferenti. Anche noi continuiamo a seguirla in questo suo “andare per il mondo”, consapevoli delle nostre debolezze, ma certi della presenza di Gesù in mezzo a noi, speranza, gioia e salvezza dell’umanità e di ogni persona…


Nessuno ha detto queste parole, ma mi è sembrato di udirle al termine dell’Assemblea del Movimento dei Focolari. Ho assistito al passaggio dal periodo carismatico a un periodo nuovo, pienamente partecipativo, con linguaggi diversi, coraggiose aperture verso le realtà odierne. Un passaggio che si è espresso nella scelta della nuova Presidente, ormai di un’altra generazione, proveniente da fuori Europa. Quanto amore nell’atteggiamento della precedente generazione, espressa da Maria Voce, orgogliosa di presentare al Papa colei che è stata chiamata a succederle, come una madre che dà spazio alla figlia… Un passaggio nella maturità, non facile, ma necessario perché tutto cresca.

sabato 6 febbraio 2021

Oblati, avanti così!




A continuazione di quanto ho scritto ieri: questa mattina udienza privata di papa Francesco all’Assemblea del Movimento dei focolari. Vale la pena vedere il video completo…

Alla fine sorpresa: il Papa ha voluto salutare, ad uno ad uno, tutti i presenti. Così anch’io mi sono trovato a tu per tu con lui. “Sono un Oblato di Maria Immacolata – gli ho detto. Anche noi viviamo in comunione con questi nuovi carismi”. Con me p. Salvo, in alta uniforme, gli ha ripetuto più o meno le stesse cose. E il Papa: “Avanti così!”. Allora… avanti così!


E il Vangelo della domenica? Forse basta la prima pagina del l

ibro che ho regalato al Papa:

Era un sabato come oggi quando entrò nella mia stanza. Da giorni la febbre mi aveva domata. Distesa sul giaciglio sentivo venir meno le forze. Ero spossata. L’arsura m’aveva bruciato le labbra ed ero madida di sudore. Mia figlia non si scostava dal letto, mi vegliava giorno e notte con amore di madre. Era madre per me ed io sua figlia. Ma la sentivo sempre più lontana, la intravedevo appena, gli occhi appannati dall’ombra di morte.

“Sono come acqua versata – mi dicevo mentre mi assentavo da quanto m’era intorno –, sono slogate le mie ossa, il mio cuore è come cera fusa nelle mie viscere, la mia gola inaridisce come coccio di creta, la mia lingua si attacca al palato… Ma tu, Adonai, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto”.

Quando la vita mi stava ormai abbandonando Lui entrò nella mia stanza. Non lo vidi. Da ore non aprivo più gli occhi. Non lo sentii neppure. Stavo scivolando verso lo Sheol senza più la forza per resistere.

Una mano mi trattenne dall’ultimo passo. Mi aveva preso per mano. La sua mano forte e delicata. La presa decisa. Mi sollevò, mi trasse a sé.

Fu un risveglio dolce, come quando hai riposato bene e a lungo, senza incubo alcuno. Mi trovai seduta sul letto. Mia figlia accanto, Simone, Andrea, il nostro servo fedele e Lui. Non l’avevo mai visto prima d’allora. Anche gli altri era come li vedessi per la prima volta. Ero morta ed ora ero viva. Tutto era nuovo attorno a me. Io stessa era un’altra.

Mi teneva ancora per mano. Me la teneva stretta. Da mano a mano passava la vita. Vivevo d’una vita mai vissuta prima.

Mi fiorirono sulle labbra le parole del nostro re David: “… e tu mi prendi per mano, mi guiderai secondo i tuoi disegni e poi mi attirerai nella tua gloria”. Le pronunciai guardando a Lui nella penombra della stanza ridivenuta fresca e familiare. Guardavo a Lui, ma lo sentivo tutto nella sua mano, nella mia mano.

“Con braccio possente hai fatto uscire il tuo popolo dall’Egitto”, gli mormorai. Ora sapevo qual era la mano forte che aveva liberato i nostri padri. La stessa che mi teneva stretta e mi stava liberando dalla morte. Ero scesa nella tenebra dello Sheol, e la sua mano mi aveva afferrato, mi aveva riportato in vita.

Ripercorse lo stesso cammino più tardi, per tutti voi, per tutti noi. In Gerusalemme, fuori le mura della città, sulla collina, per Lui s’aperse il baratro della morte e Lui scese sotterra e con braccio possente e con la presa salda della sua mano afferrò ogni uomo, ogni donna che giaceva nella fossa della morte. Con il Signore risorto siamo tutti risorti.

Ma questo non lo sapevo ancora. Allora sentivo soltanto un sangue nuovo che mi pulsava nelle vene, un soffio di vita che m’entrava nelle narici. Mi sentii viva, viva, viva.

Ero in piedi e Lui mi teneva ancora per mano.

Quando lasciò la sua presa ero già viva, ero tutta viva.

Avevo la forza di quand’ero ragazza in casa di mio padre, la forza della moglie giovane quando governavo la casa di mio marito. E cominciai subito a preparare il pranzo per Lui e gli altri di casa. La casa, che s’era addormentata con me, con me si risvegliò.