venerdì 26 febbraio 2021

“In te s’aduna / quantunque in creatura è di bontate”



Continuiamo il nostro cammino con Maria, lungo la Divina Commedia, in questo settimo centenario della morte di Dante.

http://fabiociardi.blogspot.com/2021/02/dolce-maria.html

http://fabiociardi.blogspot.com/2021/02/la-compassione-di-maria.html

Il Purgatorio è la Cantica nella quale Maria è più presente. Le anime purganti sono raccolte nelle diverse “cornici” del monte che sale verso il cielo, divise in considerazione delle loro colpe. Ogni anima è posta davanti al proprio peccato e insieme alla virtù corrispondente che dovrà acquisire per passare in Paradiso. Il primo esempio di ogni virtù è Maria, che tutte le assomma in sé, in maniera eminente. Scorrendo ad una ad una le virtù di Maria qui descritte si potrà comprendere che davvero in lei «s’aduna / quantunque in creatura è di bontate». Ella raccoglie e sintetizza in sé tutta la bellezza e la bontà del creato.

La prima virtù evocata da Dante è l’umiltà, raffigurata nell’annunciazione, quando Maria pronuncia il suo “Ecce ancilla Dei”; ad essa guardano i superbi. Agli invidiosi Maria è modello di carità benevola: a Cana chiede a Gesù il miracolo del vino non per interessi personali, ma perché sollecita e premurosa verso gli sposi, così che nulla venga a mancare alle loro nozze: “Vinum non habent” (XIII, 29). Agli iracondi Dante propone come modello di mansuetudine ancora Maria, nel momento in cui ritrova Gesù intento a parlare con i dottori nel tempio; invece di rimproverarlo le pone davanti con dolcezza il proprio dolore e quello di Giuseppe per la sua comparsa: «Ecco, dolenti, lo tuo padre e io / ti cercavamo» (XV, 91-92).

Nella quarta cornice gli ignavi ascoltano le parole del Vangelo che richiamano la sollecitudine e la prontezza con cui la Vergine sale da Elisabetta: «Maria corse con fretta a la montagna» (XVIII, 10). Alla cupidigia degli avari e allo sciupio dei prodighi – quinta cornice – viene contrapposta la serena accettazione della povertà nella grotta di Betlemme: «Dolce Maria! / (…)  Povera fosti tanto, / quanto veder si può per quello ospizio / dove sponesti il tuo portato santo» (XX, 19-24). Con i golosi si torna alla scena evangelica di Cana, dove Maria è esempio di temperanza, mossa non dal desiderio di soddisfare il suo bisogno di cibo, ma di una festa onorevole e piena per gli sposi: «Più pensava Maria onde / fosser le nozze orrevoli e intere / ch’a la sua bocca» (XXII, 142-144). Nella settima e ultima corniche i lussuriosi gridano le parole con le quali Maria, rispondendo all’angelo, attesta la sua verginità: “Virum non cognosco” (XXV, 128).

Non mancano altri esempi di virtù lungo le varie cornici, tuttavia Maria le vive tutte ed in maniera eminente, secondo l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino che Dante conosceva bene: ella «esercitò ogni specie di virtù, mentre gli altri santi solo alcune speciali: chi l’umiltà, chi la castità, chi la misericordia, sicché ciascuno viene proposto come esempio di una particolare virtù… la Beata vergine invece viene portata come esempio di tutte le virtù». Ancora una volta appare la verità delle parole di Bernardo: «in te s’aduna / quantunque in creatura è di bontate».

Ella è l’esempio, più ancora, la forma del vivere cristiano, perché «faccia che a Cristo più si somiglia», come dirà Bernardo invitando Dante a fissare il suo volto (Paradiso XXXII, 85-99). Soltanto guardando Maria il Poeta può disporsi alla visione di Cristo, così come le anime sante del Purgatorio hanno acceso al Paradiso soltanto quando sono rivestite delle virtù che adornano Maria.

 

Nessun commento:

Posta un commento