Primerear, uno dei tanti neologismi di papa Francesco. Una parola del “porteño”, di chi vive sul porto di Buenos Aires, e che si fa largo per arrivare sempre primo, ad ogni costo, anche quando occorre pestare i piedi agli altri. Non è proprio sinonimo di lealtà, ma al Papa torna utile, durante la Veglia di Pentecoste con i Movimenti, il 18 maggio 2013, per ricordare che anche Dio prende l’iniziativa sempre e comunque: «quando noi andiamo verso di Lui, Lui ci sta già aspettando. Lui è già lì e, userò un’espressione che usiamo in Argentina: il Signor ci “primerea”, ci anticipa, ci sta aspettando: pecchi e lui ti sta aspettando per perdonarti. Lui ci aspetta per accoglierci, per darci il suo amore, e ogni volta la fede cresce».
Perché non imparare da Dio?
Ripropone dunque la parola pochi mesi più tardi nell’Evangelii gaudium: «La Chiesa “in
uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si
coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano.
“Primerear – prendere l’iniziativa”». È l’invito a fare il
primo passo, ad accorciare le distanze senza paura, ad andare incontro all’altro
anche quando costa. Per il cristiano “primeggiare” è collocare l’altro al primo
posto, e mettersi a suo servizio con creatività e fantasia.
Chiara Lubich aveva sintetizzato l’“arte di amare” in tre parole: “amare per primi, amare tutti, amare sempre”, e proprio il primo passo è «forse il più impegnativo di tutti», perché mette alla prova l’autenticità e la purezza dell’amore, prende l’iniziativa e non aspetta che l’altro faccia il primo passo: «Lanciarsi sempre ad amare per primi. Che vita meravigliosa!».
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