Eccomi
sull’Aventino, il più silenzioso e appartato dei sette colli di Roma.
Sono alle
prese con il ritiro sul tema del Cenacolo.
Chissà
perché i Vangeli non dicono chi fosse il padrone della casa presso il quale
Gesù mandò i sui discepoli a chiedere di essere alloggiato per fare la cena
pasquale. Matteo lo indica semplicemente come “un tale”: «Andate in città da un
tale». Forse perché ognuno possa identificarsi con quel “tale” e sentirsi rivolgere
le stesse parole: «Farò la Pasqua da te con i miei discepoli» (26, 18). Gesù
non gli chiede se può andare da lui, si annuncia direttamente, come aveva fatto
con Zaccheo (cf. Lc 19, 5). Fa come
fosse a casa sua. Dice infatti: «Dov’è la mia stanza?».
Facevo anch’io
lo stesso quando attraversavo l’Italia e telefonavo a casa mia: “Passo a pranzo
con gli amici”. Per i miei non era mai un problema, era piuttosto una gioia, un
onore, una festa potermi accogliere e preparare da mangiare per tutti, quanti numerosi
fossimo.
Siamo
disposti ad accogliere il Signore e i fratelli? La casa nostra è casa sua, è
casa loro.
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