Dalla
Sagrada Familia alla cattedrale di Barcellona. Un salto indietro nei secoli, lo
stesso presente di bellezza e di fede.
Quando
entri in una cattedrale medievale come questa sei subito attratto dall’architettura,
dalla visione d’insieme che ti prende per la sua eleganza e la sua finezza. Colonne
possenti che si alzano agili, in armonia; gli archi che si incrociano e si
rincorrono sempre più in altro e si perdono tra una navata e l’altra verso
spazi che sembrano infiniti e insieme sapientemente misurati.
Dopo
la prima impressione le forme si compongono e si armonizzano tra le navi, il
transetto, il coro. Poi guardi indietro e il rosone appare in tutta la sua lucente
maestosità. Vedi aprirsi le cappelle, varchi nascosti, l’organo.
La
chiesa comincia infine a popolarsi di santi e di storie bibliche: statue, affreschi,
quadri che raccontano di martirii, di miracoli…
Puoi
passare delle ore ad abbracciare l’insieme e a lasciti abbracciare dalle linee
che s’innalzano, s’incrociano, si perdono lontane.
Solo
più tardi, quando ti sei ambientato e l’occhio si è adattato alla luce mistica,
emergono i particolari, infiniti. Sono capitelli, figure minuti, ceselli. Le grate,
le pietre, le lampade, i legni, gli intarsi. Ti viene in evidenza un dettaglio,
poi un altro, un altro ancora, un altro ancora. Lavoro di secoli, di artigiani
competenti e amanti del loro mestiere. Quella piccola scultura, autentica miniatura,
è posta lassù in alto, appena visibile, persa allo sguardo. Eppure lo
scalpellino l’ha pensata e studiata a lungo assieme ai suoi compagni, ha fatto
i disegni, forse un modello in argilla, l’ha scolpita per giorni. Poi l’hanno
collocata in quell’arco, accanto a un’altra…
Occorrono
giorni e giorni per scoprili, ammirarli, lasciarli parlare…
La contemplazione
nasce anche da questo. I nostri antichi sapevano fermarsi e guardare, non
andavano in fretta come noi oggi.
Capisco meglio il passaparola di oggi: “Fare
piccole cose con grande amore”.
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