Anche noi dobbiamo
attraversare “le prove della vita”. I genitori farebbero di tutto per
risparmiarle ai figli, ma senza di esse questi verrebbero su viziati, incapaci
di affrontare le situazioni sempre nuove e a volte difficili del vivere umano.
Anche nel cammino
spirituale ci troviamo davanti alle prove, spesso vere e proprie tentazioni,
che si presentano sotto i volti più vari: perché continuare ad andare sempre
controcorrente? Non sarebbe meglio una volta tanto mollare tutto e fare come
fanno tutti? Perché non ribellarsi quando non ne possiamo più? Perché non
vendicarsi? Dietro ogni tentazione c’è il diavolo, che ha dichiarato guerra
all’umanità sperando, attraverso di essa, di colpire Dio, con il quale ce l’ha
a morte.
A volte, come nel caso di
Giobbe, Dio sembra lasciare carta libera al diavolo, anzi sembra che sia lui
stesso a “indurci in tentazione”, come diciamo nel Padre nostro. “Tentazione”: in greco, la lingua
dei Vangeli, è detto peirasmón, una parola che può essere tradotta
con “prova”. Mettere alla prova è un’azione propria di Dio. Egli mette alla
prova Abramo per saggiarne la fede, mette alla prova il popolo nella sua
traversata del deserto per educarlo.
Anche quando ci sentiamo soli
davanti alla tentazione, quasi che Dio ci abbia lasciato in mano al diavolo, sappiamo
che ci sta accanto, che segue quanto ci sta accadendo e che pone delle
restrizioni a Satana (cf. Gb 2, 6). Rivolgendosi ai
cristiani di Corinto Paolo li rassicura: «Dio è fedele e non permetterà
che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la
via di uscirne» (1 Cor 10, 13).
Bella la preghiera che Benedetto
XVI ha rivolto a Dio, parafrasando il Padre nostro: «So che ho bisogno di prove
affinché la mia natura si purifichi. Se tu decidi di sottopormi a queste prove,
se – come nel caso di Giobbe – dai un po’ di mano libera al Maligno, allora
pensa, per favore, alla misura limitata delle mie forze. Non credermi troppo
capace. Non tracciare troppo ampi i confini entro i quali possa essere tentato,
e siimi vicino con la tua mano protettrice quando la prova diventa troppo ardua
per me» (Gesù di Nazaret, 2007, p. 195).
Ed ecco allora, anche per chi
è tentato, una beatitudine, questa volta trasmessa dall’apostolo Giacomo: «Beato l’uomo che resiste
alla tentazione perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita,
che il Signore ha promesso a quelli che lo amano» (1, 12).
Ha aperto la sua lettera
con le parole: «Considerate perfetta
letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove» (1, 2). È un invito
a vivere nella gioia le prove/tentazioni che si abbattono giorno per giorno. È
un paradosso! Vengo bastonato e questo devo prenderlo come un invito alla
gioia? Sì, perché è un modo per condividere la vita di Gesù, come lui ha
condiviso la nostra; è diventare un po’ come lui, che è stato tentato e “le ha
passate tutte”; è vivere con lui ogni evento della nostra vita; è la verifica
della nostra fede, il nostro modo per essere diventare fedeli.
Si è beati se si rimane
fedeli, resistendo al male e alla tentazione, se si va avanti nonostante tutto,
se non ci si stanca mai di amare.
La ricompensa è una “corona”,
espressione che fa venire in mente il re, i vincitori delle gare; una immagine
che simboleggia successo, gioia, festa. Non una corona qualsiasi, ma la “corona
della vita”, parola che porta in sé la pienezza del Cielo.
Anche questa una
beatitudine legata a una promessa, è frutto dell’amore nostro per Dio e dona
l’amore di Dio.
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