Ma
questa distinzione non sembra faccia il suo caso. In ogni edificio “profano” ha
inscritto il sacro: la croce con i quattro bracci, il nome di Gesù Maria e
Giuseppe oppure il nome di Gesù. Così nel Parco Guël e nella Casa Battlo, che
sono quelle che ho visitato.
Ma
non c’era nemmeno bisogno di siglare l’opera con questi sorbii e quasi
impercettibili segni religiosi. L’architettura stessa è un inno alla bellezza
di Dio, grazie alle originali linee mosse, alla ricreazione di un ambiente
selvatico e mistico insieme.
In
Gaudí, sia nella vita personale che in quella d’artista, sacro e profano non si
confondono e nello stesso tempo si compenetrano e si armonizzano tra loro,
quasi a dire che il bello è già testimonianza del divino.
È vangelo.
Ricorda i gigli del campo…
Diceva
che avrebbe voluto morire povero. Quando fu investito dal tram fu creduto un
barbone e soccorso alla meglio. Povertà – evangelicità - e bellezza si erano
sposate.
E sempre
la tensione al meglio, alla perfezione: “In generale la gente, quando fa una
cosa, quando questa cosa è fatta bene, rinuncia ad andare in profondità e si
accontenta del risultato ottenuto. Questo è un errore: quando una cosa è sulla
via della perfezione, bisogna andare fino in fondo finché non sia fatta bene
del tutto…”.
Un
insegnamento di cui è stato maestro e che merita il riconoscimento della sua
santità.
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