Erodoto?
Ma sono passati 2500 anni, ci interessa ancora?
È il
primo storico.
Ha
fatto capire ai greci che il mondo va ben al di là della Grecia, e che forse la
Grecia non è neppure il centro del mondo, che gli altri popoli non sono “barbari”
ma portatori di altre culture, che vale la pena raccontare le storie perché l’umanità
non conosca l’oblio e la morte…
In
questi giorni ho sentito raccontare la sua storia da uno dei più grandi
giornalisti, Ryszard Kapuscinski, dopo aver letto
quel capolavoro che è Ebano.
Nel libro In viaggio con
Erodoto, Kapuscinski narra gli esordi del suo lavoro, spinto dal desiderio
di “varcare le frontiere”, stretto com’era dall’asfissiante regime comunista
dell’Est Europeo. Inizia il viaggio con in mano Le storie di Erodoto, che legge lungo i suoi percorsi in Asia e
Africa. In quell’autore e in quelle storie ritrova tanto di sé: la passione per
la ricerca, la curiosità, la voglia di apprendimento, di ascoltare, di vedere,
di raccontare, di dilatare interessi e conoscenze, di imparare i mondi degli
altri… E scopre un’umanità ricca di una grande diversità, ma sempre la stessa
umanità, con gli identici affetti, desideri, paure, speranze…
I viaggi di Kapuscinski si intrecciano con quelli di Erodoto e
vi si rispecchiano. Un libro fascinante, che interroga sul senso della storia il suo valore, le sue possibilità...
Fra le tante pagine mi ha colpito il modo originale con cui guarda la Grande Muraglia cinese, denunciandone la follia, sempre la stessa, nei secoli
andati come oggi, frutto del vano tentativo di isolarsi, proteggersi, escludere:
“Grande Muraglia. La Grande Muraglia! La
gente veniva dall’altro capo del mondo per vederla. Una delle meraviglie del
mondo, un’opera unica, quasi mitica e, in un certo senso, inconcepibile. Un muro al quale i cinesi,
a parte qualche interruzione, avevano lavorato per duemila anni. (…)
I cinesi hanno innalzato la Grande
Muraglia per difendersi dalle mire espansionistiche delle irrequiete tribù nomadi mongole (…).
La Grande Muraglia delimitava i confini
settentrionali dell’impero, ma esistevano muraglie interne anche tra regni in
guerra, tra regioni e province. (…) Calcolando
quindi che i cinesi abbiano costruito mura per centinaia e migliaia di anni e
considerata la numerosità della popolazione, il senso del sacrificio,
l’esemplare disciplina e la laboriosità da
formiche che li contraddistingue, otterremo centinaia di milioni di ore dedicate alla costruzione di mura, ore che in un paese povero come
questo avrebbero potuto essere dedicate all’apprendimento della lettura o di un
mestiere, alia coltivazione di sempre nuovi campi e all’allevamento di un sano bestiame.
E, invece, l’energia del mondo va a finire
nelle muraglie.
Che irrazionalità. Che spreco. (…) un
sintomo dell’aberrazione e della debolezza umana, di un terribile
errore della storia, dell’incapacità di questa parte del
pianeta di mettersi d’accordo, convocare una tavola
rotonda e decidere come sfruttare le risorse di energia e di intelligenza dell’uomo. (…) i cinesi hanno
sempre avuto la reazione opposta: quella di alzare un muro, di chiudersi, di
isolarsi. Qualsiasi cosa venisse da fuori non poteva che essere una minaccia, un presagio di disgrazie, la promessa di un male, anzi: il
male in persona.
(…)
Il muro diventa così scudo e trappola, riparo e gabbia”.
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