Ho riletto una famosa poesia di Ungaretti dal pathos
struggente. Una delle sue prime poesie, in cui ricorda l’amico Moammed Sceb
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria.
Moammed Sceb muore perché
non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono.
M’è venuto d’impeto, forse perché l’ho da poco commentato,
il grido dell’abbandono di Gesù in croce. La differenza è che Gesù ha saputo sciogliere
il canto del suo abbandono. L’avesse tenuto per sé sarebbe finito come Moammed.
È bello questo Gesù che sa sciogliere il suo canto d’abbandono.
L’altro orizzonte della poesia che mi ha particolarmente
preso è la chiusura:
Riposa
Nel camposanto d’Yvry (…)
E forse io solo
so ancora
che visse.
In queste parole tutta la pietà umana.
Mi torna alla mente la sterminata distesa di croci, o bozzoni di croci o comunque
di segni anonimi, nel cimitero di Prima Porta a Roma. Legioni e legioni di
dimenticati, che si perdono all’orizzonte, senza nomi, senza nessuno che li
ricordi, e quindi morti davvero…
Eppure c’è chi li ricorda ancora, uno per uno, per nome…
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