Bugiardo e petulante come sempre, anche questa volta è riuscito a farmi sganciare un po’ di soldi.
La
prima volta che mi si presentò davanti aveva per mano una bambina. Comincia a
farfugliare la solita nenia, con la solita cadenza piagnucolosa, in un italiano
stentato. Tira su la maglia della bambina. Mi mostra il pancino e mi fa capire
che deve essere operata...
Sempre
le stesse storie, mi viene spontaneo pensare. E poi ora ho un sacco di cose da
fare. Mi dispiace... Anzi, se vuoi vengo a trovarti a casa, appena ho un attimo
di tempo, anche domani. Basta che tu mi dica dove abiti.
Il
giorno dopo sono nel campo nomadi. È un brulichio di vita: bambini seminudi che
corrono giocando, donne avvolte nei sottanoni colorati che fanno il bucato, cani
che razzolano tra l’immondizia...
Domando
del capo.
Il
capo è seduto sul sedile di un’auto che lì, in mezzo al campo, sembra un trono.
È solenne come un patriarca, il capo. Con due baffi enormi, e la giacca
sbottonata, incapace di contenere tutto il suo corpo.
Chiedo
notizie dello zingaro che ieri è venuto a trovarmi. Inesistente.
Lo sapevo! La solita truffa. Meno male che non ho abboccato.
Un
mese dopo mi ritrovo davanti alla porta lo zingaro con la bambina. È eccitato.
Ha un volto radioso e non sa come contenere la gioia. “Ma allora sei venuto
veramente. Sei venuto al mio campo. Ma allora ti interessi veramente di me...”.
Mi
racconta che proprio dopo aver bussato alla mia porta la polizia, di notte,
aveva fatto irruzione nel campo. Lui, senza documenti, era riuscito a fuggire
con la famiglia. I compagni del campo nomadi lo avevano protetto, anche da me,
individuo sospetto... In Bosnia era riuscito finalmente ad avere i documenti.
Ed eccolo di nuovo lì, con la bambina, sempre più malata.
Metto
in moto le mie amicizie: un’assistente sociale, un medico, il personale
dell’ospedale san Giovanni... La bambina è operata. Si ristabilisce alla
svelta. Ma ora occorre continuare a seguire la famiglia. Ed ecco che comincia
un via vai sempre più intenso col campo nomadi.
Mi
si apre un mondo ignoto. Gli zingari li ho sempre visti per strada, ai
semafori. Oppure a zonzo con le loro Mercedes sgangherate. Ma loro, io non li
conosco. Entrare nelle baracche, nelle roulotte, camminare tra i panni distesi,
chiacchierare del più e del meno, bere insieme la grappa, mi introduce in nuovi
rapporti, prima impensati.
I
miei amici sono coinvolti più di me. Decidiamo di comprare una roulotte e la installiamo
nel campo nomadi, per essere più vicini ai nostri zingari.
Lo
zingaro che ho incontrato per primo continua a venirmi a trovare. Gli faccio
fare la doccia. Gli do abiti puliti per cambiarsi. Ascolto le sue storie.
Riesce sempre a rubarmi ciò che ho di più prezioso: il tempo.
La prima volta che bussò alla mia porta, una decina d’anni fa, era uno zingaro. Ora è Nènad. Ha un nome! È un amico.
Ripenso
a lui ogni volta che la televisione ci mostra l’invasione di popoli nuovi che
giorno dopo giorno sbarcano, clandestini, sulle nostre coste. Non è un fatto
che riguarda soltanto i politici o la polizia. Ci interroga tutti. Che fare con
questi cosiddetti extra-comunitari?
Non
ho una formula per risolvere un problema di proporzioni immani. Ma forse le
cose cominceranno ad andare meglio quando invece di curdi, albanesi,
senegalesi, cinesi, conosceremo Alì, Fatima, Sherasade, Kastriot, Alexander,
Chung...
Quando qualcuno ha un volto, un nome, non è più uno straniero. Può diventare un amico.
Scrissi
questa pagina il 5 marzo 1993. Nènad è morto pochi giorni fa…
Sull'immaginetta è scritto: "Ebbe da Dio il gran dono di una immensa bontà e consacrò tutta la sua vita per il bene della famiglia. Chiamato dalla terrena alla Celeste Patria Serenamente si addormentò nel Signore lasciando il più caro ricordo della sua bontà e rettitudine. N. 17-2-1956 M. 3-4-2021"
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