venerdì 2 aprile 2021

È compiuto


Poiché è l’ultima parola nell’ultimo Vangelo, nell’elenco delle “sette parole”, è considerata l’ultima parola in assoluto del Crocifisso.

Tanto appare simile all’ultima parola riportata da Luca: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito», altrettanto appare lontana dall’ultima e unica parola riportata da Matteo e da Marco: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Alfred Loisy, all’inizio del Novecento, contrapponendo queste due parole, scriveva: «La morte del Cristo giovanneo non è una scena di sofferenza, di ignominia di desolazione universale [come in Matteo e Marco], è l’inizio di un grande trionfo». È così netta la differenza? Al punto da ignorare che anche in Giovanni c’è il grido sofferto di Gesù assetato?

Il racconto della Passione secondo il Vangelo di Giovanni era iniziato con un’intonazione particolarmente solenne: «Gesù, sapendo che era venuta l’ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (13, 1). Il momento del passaggio è arrivato, è questa l’ora tanto attesa: Gesù ha amato i suoi fino alla fine, in durata, fino all’ultimo istante, fino in fondo, e in intensità, donando il massimo, tutto, tutto se stesso.

In questo istante, sulla croce, ha già donato tutto. La sua opera è compiuta.

Ne è pienamente consapevole: «sapendo che ormai tutto era compiuto (…)». Sa che con l’affidamento del discepolo alla madre e della madre al discepolo “tutto è compiuto”. Gli rimaneva soltanto da compiere la Scrittura confessando la sua sete. Adesso, dopo la dichiarazione: “Ho sete”, può finalmente dire l’ultima parola: «È compiuto» (19, 30).

L’opera che il Padre gli aveva affidato è compiuta. Prima ancora è il Padre stesso che, in Gesù, ha compiuto l’opera: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato» (3, 16-17). Il primo agente del compimento – “È compiuto” – è dunque proprio il Padre. Gesù proclama che il Padre ha compiuto la sua opera e che egli ne è lo strumento obbediente: «Il Padre agisce sempre, e anch’io agisco» (5, 17). Perfetta sintonia.

«È compiuto!». Sì, tutto è compiuto, in pienezza, alla perfezione.

Ancora una volta l’ultima parola richiama la prima, quando Gesù, entrando nel mondo, proclamò: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà» (Eb 10, 9). Lungo tutta la vita egli ha compiuto la volontà del Padre. Il Vangelo di Giovanni lo ripete come un ritornello: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (4, 34); «sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» (6, 38). Ed è proprio nella crocifissione che appare in tutta verità la sua obbedienza: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. (…) faccio sempre le cose che gli sono gradite» (8, 28-29). Gesù non si è sottratto a bere il calice che il Padre gli offriva (18, 11; 12, 27). Ha compiuto la missione che gli aveva dato da compiere e adesso: “Tutto è compiuto”. Non è la fine, ma il compimento, il raggiungimento del fine che il Padre aveva proposto al Figlio e che il Figlio aveva accettato: la redenzione del mondo.  

Non gli resta che il suo spirito e lo consegna assieme all’ultima parola: «E, chinato il capo, consegnò lo spirito» (19, 30).

Nel Vangelo di Luca Gesù consegna lo spirito al Padre, nel Vangelo di Giovanni lo consegna a Maria e al discepolo amato che stanno ai piedi della croce. È l’effusione dello Spirito, “primo dono ai credenti”, come recitiamo nella quarta preghiera eucaristica, sulla Chiesa.

Gesù non “spirò”, ma “consegnò lo spirito”, unica volta in tutta la grecità in cui l’espressione parédôken to pnéuma sta a indicare la morte. In effetti qui, più che la morte, l’espressione indica il dono della vita: “consegnò lo spirito”. È una nuova creazione: nella prima lo «Spirito di Dio aleggiava» sul caos e dava forma al cosmo (Gen 1, 2), ora è effuso sull’umanità raccolta in Maria e Giovanni ed è generativo dei cieli nuovi e della terra nuova. Nella prima creazione Dio soffiò l’alito di vita nelle radici dell’uomo plasmato con la polvere del suolo e vi fu l’essere vivente (Gen 2, 7), in questa seconda creazione Gesù soffia il suo spirito e dà vita alla nuova umanità.

Ne è riprova il “sangue e acqua” che sgorgano dal costato trafitto. Gesù l’aveva predetto, attribuendo a sé le parole della Scrittura: «Dal suo grembo sgorgheranno fiumi d’acqua viva», commentato da Giovanni: «Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti» (7, 38-39).

Ai Padri della Chiesa la morte di Gesù ricorda il sonno di Adamo, quando dal suo seno fu tratta una costola per dare vita a Eva, carne della sua carne, ossa delle sue ossa. Perché l’altro sia occorre sempre dare del proprio. Anche a Gesù fu aperto il costato, diede del suo!, e ne uscì la nuova Eva, la Chiesa, il suo Corpo…

Davvero tutto “è compiuto”.

Come chicco di grano, caduto in terra e morto, germoglia e fa nascere la spiga, così Gesù, seminato sotterra, nel buio della tomba, risorge a vita nuova e con lui nasce il popolo di Pasqua (12, 24).

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