“Dovevo giungere alla vigilia di Natale del 2020, mentre ero ricoverato da dodici giorni per una severa polmonite da Covid-19, per capire che la felicità è respiro. Come se tutto il mio ricovero acquistasse in quell’istante il suo senso. Sì, respiro, semplicemente respiro…”
Inizia così il breve libro di Gianni Cervellera nel quale
racconta quello che ha vissuto con il virus: La felicità è respiro. La doppia guarigione dal Covid-19.
Doppia guarigione perché oltre a quella fisica è come se in Gianno fosse
sopraggiunta anche una nuova vita affettiva e spirituale.
Una storia drammatica, quella vissuta da questo mio
amico. La storia di tante persone aggredite dall’epidemia. La descrive attimo per
attimo, i sintomi, la corsa in ospedale, la degenza in terapia intensiva, la solitudine, ma anche la presenza
competente, carica di umanità di quanti lo hanno assistito. In una lettera
indirizzata al personale sanitario dell’ospedale, e riportata alla fine del libretto, parlando
delle dottoresse, scrive, tra l’altro: “Mi occupo di formazione sanitaria da
quasi 30 anni, ma da loro c’è solo da imparare per competenza unita ad una
spiccata capacità empatica di comunicare. Alcuni anni fa organizzai un
convegno, proprio nel vostro ospedale, dal titolo Felici di prendersi cura.
Ecco, loro mi sembrano l’incarnazione di quel titolo”.
C’è la presenza costante, anche se non fisica, della moglie,
dei figli, degli amici. Ma anche la paura di non respirare più. La presenza di
Dio, ma anche il suo silenzio che sembra assenza, e gli interrogativi
angoscianti che questo comporta.
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